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    IL CINEMA DEI GIUSTI - TUTTI IN PIAZZA MAGGIORE A BOLOGNA, STASERA, PER IL RESTAURO DI “QUIEN SABE?”, CAPOLAVORO DEGLI SPAGHETTI WESTERN, ANZI DEI TORTILLA WESTERN, QUELLI CIOÈ LEGATI ALLA RIVOLUZIONE MESSICANA – DAMIANO DAMIANI LO HA SEMPRE DEFINITO COME FILM “STORICO”, MA È ANCHE IL TRIONFO DEL WESTERN POLITICO – VENNE PRESTO ABBONDANTEMENTE TAGLIATO E VENNERO SEGATE DELLE SCENE CON MARTINE BESWICK CHE SI FINGE PUTTANA, E UNA BATTUTA CHIAVE: “TE LO METTO NEL CULO, NEL CULO CHE È QUESTA PATRIA!” - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    gian maria volonte quien sabe? gian maria volonte quien sabe?

    Tutti in Piazza Maggiore a Bologna stasera per il restauro di un capolavoro degli spaghetti western, anzi dei tortilla western, quelli cioè legati alla rivoluzione messicana, “Quien Sabe?” diretto da Damiano Damiani, scritto da Franco Solinas con Gian Maria Volonté come El Chuncho, peone cialtrone e rivoluzionario, Lou Castel come yankee traditore, la bellissima Martine Beswick (quella di "Ultimo tango a Zagarol") come la mitica Adelita, Klaus Kinski come il monaco bombarolo, El Santo e Jaime Fernandez, fratello di Emilio "El Indio" Fernandez come generale Elias.

     

    Quando venne mostrato per la prima volta, non tanti anni fa, a Città del Messico durante il convegno universitario “La revolucion mexicana en el cine”, i professori messicani rimasero sbigottiti della accuratezza storica del film e dal fatto che i messicani fossero gli eroi, i buoni, e non viceversa.

     

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    Il film, come tanti tortilla western europei, non era mai arrivato in Messico, perché i messicani si sentivano derisi dai nostri film con personaggi stereotipati di cialtroni, ladri e fetenti vari. E per questo i nostri western uscivano in tutto il mondo, ma non in Messico.

     

    Eppure né El Chuncho né il Cuchillo di Tomas Milian sono personaggi negativi, anzi, ma eroi terzomondisti. Damiani però lo ha sempre definito come film “storico”, lontano dal genere, anche se noi, ragazzini al tempo, lo vedemmo proprio come grande western, mentre Leone aveva sempre detto che la rivoluzione messicana per i registi italiani era stata sempre una grande metafora per parlare di rivoluzioni, guerre e conflitti di classe più moderni e attuali. Il produttore del film era tal Bianco Manini, piccolo industriale emiliano di tortellini passato al cinema un po’ per gioco, che fondò per questo film la M.C.M., un titolo così smaccatamente copiato dalla M.G.M., che la Metro Goldwyn Mayer gli fece subito causa, vincendola.

     

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    Con le riprese del film e col treno che si era comprato per girare una serie di lunghe scene, Manini proverà più volte a costruire altri film e ce la farà pure, anche se non con esiti eccelsi (Partirono preti e tornarono curati, che dirige lui stesso).

    Girato in mezzo a un caldo infernale in Almeria, con la fotografia di gran classe di Toni Secchi, mentre Leone poco lontano gira C’era una volta il West, è anche il trionfo del western politico di solito attribuito, come invenzione, a Franco Solinas.

     

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    Lo sceneggiatore non negava, ma neanche sosteneva troppo questa tesi. Ricordava che Damiani gli fece leggere la sceneggiatura che Salvatore Laurani aveva scritto per Volonté con l’idea di girarla lui stesso. Solinas cambia la storia, anche se il personaggio di Volonté rimane più o meno simile. “C’era il solito rapporto che c’è nella Battaglia di Algeri, che c’è in Queimada: da una parte la civilizzazione e dall’altra la cosiddetta barbarie.

     

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    Da una parte c’era Lou Castel, americano civilizzato che rispetta le regole del gioco individuale non di quello storico, e dall’altra questa specie di bruto istintivo, Volonté” (Solinas). Ma rispetto ai due film scritti da Solinas per Gillo Pontecorvo, che possono più o meno piacere ma appartengono al cinema considerato “alto”, qui il tutto funziona direttamente dentro il genere, voglia o non voglia Damiani.

     

    È anche un grande momento di lavoro di gruppo con Solinas sul set accanto al regista, come tutti ricordano. “Con Solinas, che era un mio caro amico ed era molto interessato a Pancho Villa e alla rivoluzione messicana, siamo stati vicini anche durante la lavorazione. Di solito non ho lo sceneggiatore che mi segue, ma con Solinas discutevamo quello che facevo, un paio di volte mi ha fatto una critica, e ho rispettato le sue idee.” (Damiani).

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    Anche Volonté ricordava Solinas attentissimo sul set: “Non si accontentava di consegnare la sceneggiatura, il suo lavoro non finiva lì. Tendeva a vivere sul set del film che aveva scritto, per intervenire, per modificare dei passaggi, delle battute, per adattarlo alle situazioni talora imprevedibili che le riprese comportavano.

     

    Aveva con gli attori, oltre che con i registi, un rapporto dialettico continuo, fatto di discussioni, di esposizioni di punti di vista, di dialogo, di contrapposizione. Quando girammo Quien sabe? restammo insieme per mesi, in Spagna, e lui seguiva, giorno per giorno la lavorazione, intervenendo, correggendo, discutendo”.

     

    Il film viene quindi riscritto quasi giorno per giorno in Almeria. Lo ricorda anche l’assistente regista Enrico Bergier: “Il copione è Solinas, Solinas, Solinas e un po’ Damiani. Laurani aveva scritto il soggettino di un western con degli indiani, che non c’entra niente con la storia. Siccome aveva registrato il titolo, per ragioni contrattuali hanno dovuto mettere il suo nome nel film.” (Enrico Bergier, da “Regia Damiano Damiani”).

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    Lou Castel ricorda invece qualcosa di diverso, almeno all’inizio dell’operazione. “Lo sceneggiatore del film era Solinas, un comunista che usava la tecnica degli opposti. Lo fece anche in La battaglia di Algeri. Già questo mi stimolava. Però lo sceneggiatore originale era Salvatore Laurani: era lui che mi aveva contattato.” (da “Nocturno”). Laurani non si avvicinò mai più al western dopo questo tentativo che per lui non andò affatto bene.

     

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    Lou Castel, che avevamo già visto in Requiescant, in un ruolo di pistolero del popolo, mano della rivoluzione e degli oppressi, diventa qui il vero cattivo, ambiguissimo. “Il personaggio di Quien sabe? era fatto a pennello per me, perché potevo esplicitare l’antagonismo di un personaggio cosiddetto negativo, rispetto a quello che ne è l’opposto, un rivoluzionario. Sono partito, per le scelte dei miei personaggi, dall’opposizione. Damiani era di grande rigore professionale nell’impostare il mio personaggio, e poi era molto umano.” (Castel, da “Nocturno”).

     

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    Riguardo all’attore, Damiani lo ha descritto come un “simpatico zombi”. Insomma Castel “fece tutto quello che gli dissi di fare, puntualmente, anche bene. Non saprei dire di più.” Di certo la forza del film, che deve non poco al Viva Villa di Jack Conway e al Viva Zapata di Elia Kazan, sta nella grande costruzione dei due personaggi di Volonté e Castel, ma è notevolissima anche la ricostruzione d’epoca e la carica picaresca del film, di certo tra i migliori di Damiani, anche rispetto ai suoi più celebrati polizieschi civili.

     

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    La lavorazione, a quel che tutti ricordano, fu però un inferno. “Ricordo solo che fu una lavorazione molto faticosa. Faceva un caldo pauroso, non avevamo modo di ripararci. La lite con Damiani? Io e Damiani avremmo litigato? Non me ne ricordo, bisogna che gli telefoni e gli chieda come andò” (Gian Maria Volonté).

     

    Ricorda bene la situazione Enrico Berger, l’aiuto regista. “Con Volonté invece è stata una lotta, e la colpa non è stata di Damiani. Volonté ha cominciato vestendosi con ottanta cose, ma man mano che andava avanti la lavorazione le cose gli pesavano e cominciava a togliersele. Alla fine dovevamo girare una scena e si è presentato quasi nudo, non raccordava con nulla. Damiani si è infuriato e l’ha buttato giù dal cavallo; lo voleva menare, ma non l’ha fatto: sono testimone”.

     

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    Lo scontro lo racconta benissimo lo stesso regista: “Mi seccai moltissimo, tanto che a un certo punto gli dissi: Gian Maria, vattene perché altrimenti io meno. Lui rispose: bene, mena, mena! A questo punto ci sono varie versioni. Alcuni sostengono che lo tirai giù da cavallo. Onestamente non so quello che accadde.

     

    Sergio Leone – che si trovava in zona per un suo film – mi raccontò tempo dopo di aver chiesto a Volonté cosa era successo e che Volonté, molto spiritosamente, gli aveva detto: Io non lo so, perché ancora scappo.” A Duccio Tessari, nel suo programma televisivo, Damiani ha ricordato che fu un certo Felix, il padrone del ristorante dove andavano sempre a mangiare, a bloccarlo prima che colpisse sul serio Volonté.

     

    Sono notevolissimi tutti gli esterni, mentre qualche interno non ci pare totalmente riuscito. Ad esempio il buffo cameo di Carla Gravina e di Andrea Checchi ci pare provenire da un altro tipo di cinema italiano, molto lontano dal genere. Carla Gravina fece il suo ruolo perché si trovava lì, appresso a Volonté, come ha sempre dichiarato. “Girava in Almeria, io in quel momento non facevo niente, ed ero andata a trovarlo…”.

     

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    Luis Bacalov fece un gran lavoro sulla musica, che venne “ufficialmente” supervisionata dal suo amico e vicino di casa Ennio Morricone: “Avevo già composto la colonna sonora di Django di Corbucci, ma avevo capito che Quién sabe? si distaccava da questa tradizione; è stato un grande errore commerciale e critico quello di considerare questo film uno spaghetti western.

     

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    Qui a essere importante era il Messico, non gli Stati Uniti. (..) In quel momento Morricone era una star internazionale. Il produttore disse all’editore della musica: “Bacalov mi va bene, però voglio il nome di Morricone in qualche modo, almeno come supervisione”. Con Morricone eravamo amici, lavoravamo entrambi alla RCA come arrangiatori. Fu lui a dirmi che gli chiedevano questa cosa. “A te dispiace?” E io. “per carità, mettano pure quello che vogliono”. Dopo aver inciso la musica, mi chiese, per curiosità, di fargliela sentire. Io ammiro Morricone, e so quanto sia severo, nei giudizi. “Bravo, hai fatto un bellissimo lavoro”, mi disse. E quello mi bastava.” (da “Regia Damiano Damiani”).

     

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    Il film è giustamente adorato da tutti, anche da molti registi, come Enzo Barboni che lo ritiene il migliore degli western rivoluzionari, un film commovente. Anche per Alex Cox è il migliore e il modello di tutti i tortilla western. “Nessun altro gli si può avvicinare per intelligenza, interessa e profondità”.

     

    Vietato in un primo momento ai 18 anni, con grande dispiacere di tutti i ragazzi del tempo, venne presto abbondantemente tagliato per passare almeno ai 14 anni. Vennero così segate delle scene con Martine Beswick che si finge puttana, la sequenza con il giornalista, cioè Damiano Damiani stesso, una battuta chiave tra El Chunco e El Nino: “Te lo metto nel culo, nel culo che è questa patria!”, un’altra di El Santo, cioè Kinski che spiega la sua visione religiosa: “Cristo è morto tra due banditi... Dio è con i poveri e gli oppressi, se sei un buon prete devi saperlo”. Tutte cose che gli spettatori di stasera di Piazza Maggiore a Bologna vedranno.

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