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    IL CINEMA DEI GIUSTI - “WONKA” HA TUTTE LE CARTE IN REGOLA PER FARE GRANDI INCASSI E PIACERE AI RAGAZZINI DI MEZZO MONDO - TIMOTHÉE CHALAMET È UNO SPETTACOLO, È ADULTO E BAMBINO ALLO STESSO TEMPO E BALLA E CANTA QUANTO BASTA PER FARCI SCORDARE JOHNNY DEPP CHE PENSAVA DI ESSERE MICHAEL JACKSON - NON C’È TANTO DEL MONDO DI DAHL, MA I COSTUMI, SCENOGRAFIA E FOTOGRAFIA SONO PERFETTI - VIDEO


     
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    timothee chalamet in wonka 2 timothee chalamet in wonka 2

    Marco Giusti per Dagospia

     

    Vi domanderete, vedendo questo “Wonka” di Paul King, fantasioso, ma a suo modo riuscito prequel ideato dallo stesso regista assieme a Simon Farnaby del capolavoro per l’infanzia di Roald Dahl “Charlie and the Chocolate Factory” , già portato al cinema due volte, da Mel Stuart con Gene Wilder protagonista nel 1971, “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato”, e da Tim Burton con Johnny Depp protagonista nel 2005, “La fabbrica di cioccolato”, che fine abbia fatto il piccolo protagonista, Charlie Bucket.

     

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    Essendo un prequel, con un Willy Wonka ancora molto giovane, in effetti, ci sta che scompaia il ragazzino Charlie che va col nonno, Grandpa Joe, a visitare la fabbrica di cioccolato che domina la città. Ma vi ricordo che per Roald Dahl la presenza di Charlie era importante. Al punto che quando uscì il primo film si infuriò che il protagonista fosse diventato Willy Wonka e il personaggio di Charlie fosse quasi scomparso.

     

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    Al punto che negò clamorosamente i diritti per il sequel del romanzo, cioè “Charlie and the Great Glass Elevator”, che infatti non è mai stato girato, e dove Charlie torna a essere fondamentale. Ma devo dire che nella versione di Tim Burton, che a me sembra così recente, ma che è in realtà di vent’anni fa, fu l’ultimo film della Warner Bros a uscire in vhs, pensate, Charlie e Grandpa Joe hanno il loro giusto peso.

     

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    Paul King, che ha dimostrato coi due bellissimi “Paddington”, di avere una vera sensibilità per il romanzo dell’infanzia inglese del secolo scorso, anche se addolcisce sempre un po’ troppo i suoi racconti e punta spesso a facili effetti che, però, piacciono molto ai ragazzini, penso che abbia voluto qui unire Charlie, cioè il ragazzino, allo stesso personaggio di Willy Wonka, grazie all’incredibile presenza di Timothée Chalamet, che ha la grazia necessaria per essere sia un po’ adulto un po’ bambino, è questo il suo maggior fascino, magari sdoppiandolo un po’ con il personaggio, non certo scritto da Dahl, dell’orfanella Noodle di Calah Lane, che in effetti diventa quasi protagonista del film.

     

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    Scompare il meraviglioso personaggio di Grandpa Joe, che nel film di Tim Burton interpretava David Kelly, purtroppo, e sia Willy che Noodle, orfanelli, pensano solo alla loro mamma. Non c’è proprio il padre di Willy, che nei romanzi e nel film di Tim Burton era ben presente. Penso, ripeto, per rendere Willy un orfano, un simil Charlie, un simil Noodle.

     

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    E Willy diventa, malgrado i suoi sette anni di viaggi in tutto il mondo, un giovane mago, un giovano fabbricante di cioccolata di genio, ma anche un povero orfano, per giunta analfabeta, con un abito, un filo charlottiano, le scarpe grosse, i pantaloni a zompafossi, una redingote troppo stretta, una tuba che nasconde meraviglie come il berretto di Paddington, che ancora soffre per la scomparsa della mamma. Ma non ha un padre né una figura paterna alla Grandpa Joe.

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    Ovvio che, come accade a Paddington, anche Willy si ricostruisca in fretta una nuova famiglia, sono gli abitanti-schiavi-operai della pensione dell’orrenda Mrs Scrubitt di Olivia Colman e del non meno pessimo Mr Bleacher di Tom Davis. Oltre a Noodle, che diventa il cervello del gruppo, ci sono i personaggi necessari per la costruzione della fabbrica di cioccolato. E ci sono dei cattivi, come nei film di Paddington, che vogliono Willy Wonka morto.

     

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    Sono i tre padroni delle cioccolaterie che fanno cartello in città (ma dove siamo? L’avete capito?) e che stabiliscono i prezzi della cioccolata, non certo adatta ai poveri, e che, assieme al capo della polizia, Keegan Michael Key, e al prete, uno strepitoso Rowan Atkinson alias Mr Bean, mantengono un potere capitalistico che non prevede l’arrivo del democratico Willy Wonka che vuole distribuire la cioccolata al popolo a prezzi bassi. Rispetto a Dahl, che vedeva il lato terribile del crescere in una città operaia inglese dove una fabbrica di cioccolata, la Cadbury, sperimentava i propri prodotti sui ragazzini poveri usati come cavie, una rivoluzione.

     

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    Un po’ di anticapitalismo d’antan che sta bene a tutti e non disturba certo i venditori di cioccolata di oggi ben pronti a sponsorizzare il film. Non era questa la storia di Dahl. Devo dire che col personaggio di Oompa-Loompa interpretato qui magistralmente da Hugh Grant, un piccolo essere arancione con capelli lunghi che ruba nella notte la cioccolata a Willy, il film fa davvero centro. E omaggia sia Dahl sia il primo film di Mel Stuart. Mentre l’oompa-loompa di Tim Burton, interpretato dall’indiano Deep Roy, digitalmente moltiplicato come operaio ideale non funzionava benissimo.

     

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    Aveva qualcosa di meccanico, oltre che di politicamente scorretto. L’inglesissimo Hugh Grant ne fa un homunculus alla E.T.A.Hoffmann di gran divertimento. In generale, insomma, questo “Wonka” ha tutte le carte in regola per fare grandi incassi, piacere ai ragazzini di mezzo mondo, Timothée Chalamet è uno spettacolo, è adulto e bambino, balla e canta quanto basta, senza essere Gene Kelly, per farci scordare Johnny Depp che pensava di essere Michael Jackson, ha la grazia di fare coppia senza sovrastare la coprotagonista ragazzina Calah Lane.

     

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    Non c’è tanto del mondo di Dahl, dei quartieri operai descritti nel suo libro, della follia di Willy Wonka, della sua scorrettezza. C’è una mamma morta, Sally Hawkins, sempre fantastica, ma non c’è il vecchio nonno. Ci sono costumi, scenografia e fotografia perfetti, una gioia per gli occhi, ma non mi viene mai voglia di mangiar cioccolata, pur vedendola sullo schermo. Ma, a corto di musical da parecchio tempo, me lo sono visto come se avessi avuto 12 anni. E questo mi basta. In sala.

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