COVER LIBRO CIRINO POMICINO
di Tina A. Commotrix per Dagospia
Nella sua soave prefazione al libro, Giuliano Ferrara dichiara all’istante di “non essere d’accordo” con l’autore e amico del cuore, “se non in rare occasioni”. E pur dichiarando il suo amore sofferto per il “furbo” e “tignoso” Paolo Cirino Pomicino, l’Elefantino consiglia di leggere comunque “La Repubblica delle giovani marmotte” (Utet). I mémories scritti, appunto, dall’ex ministro del Bilancio democristiano. Il titolo del volume fa riferimento, ovviamente, allo scout Matteo Renzi, arrivato al potere senza un voto popolare e con al seguito i nanetti e i grembiulini del “Giglio tragico”.
CIRINO POMICINO
Già, l’ultimo arrivato nella “Repubblica dei dilettanti”. L’ex ducetto Dc di Rignano sull’Arno, che va a occupare Palazzo Chigi (e dintorni) a conclusione di un ventennio che Pomicino ripercorre da politico-testimone di lungo corso (andreottiano) non rinunciando alla sana autocritica.
POMICINO E ANDREOTTI mages
Forse con qualche imperdonabile vuoto mentale: la mancata elezione di Forlani al Quirinale nel ’92, anche per colpa dei franchi tiratori fedeli a Divo Giulio; e l’ascesa impetuosa e scandalosa dell’impresa napoletana Icla nel campo delle costruzioni, che nel ’91 provocò una forte reazione (annuncio di “spallata” alla Casta politica) da parte dei Poteri marci (Romita in testa, che si sentì espropriato della Cogefar-Impresit del gruppo Fiat). Tant’è.
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Ma nel prefezionato neppure l’acuto fondatore del Foglio, che da ex togliattiano, craxiano e berlusconiano da ultimo si è preso una cotta per il Royal Baby di Rignano sull’Arno, se la sente di sfidare quella faccia tosta di Paolo sul campo della storia politica analizzata da Pomicino. Gli rimprovera certe ingenuità come “la perenne ermeneutica della congiura” (Trilateral e Bilderberg). Insomma, lo splendido Giuliano non ha voglia di contraddire, magari con robusti argomenti, il racconto-saggio sine ira et studio di Paolo sulla “rovinosa rotta” intrapresa dall’Italia.
CIRINO POMICINO BERTINOTTI FRANCO MARINI ANDREOTTI FOTO LA PRESSE
E ce n’è per tutti nel diario delle marmotte vergato da ‘O ministro, con la narrazione delle tante “malefatte” (alcune inedite) che riguardano soprattutto quelli che una volta si chiamavano i Padroni del vapore. Ecco l’Italia “sfarinata” che affida la sua economia ai tecnici: Barucci, Ciampi, Tremonti, Siniscalco, Grilli Padoa Schioppa, Padoan…
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Tutti responsabili di “fallimenti drammatici che sono sotto gli occhi di tutti”. Illustri pifferai accademici che hanno finito per rovinare anche la propria reputazione accademica. Ce n’è soprattutto per il “primo mondo” dell’imprenditoria e del giornalismo che non disdegna le donne (“la famosa patonza da far girare”): Agnelli, De Benedetti, Tronchetti Provera, Scalfari…
BERLUSCONI CARLO DE BENEDETTI
Pomicino ricorda la “corte” fattagli dall’Ingegnere quando era ministro della Funzione pubblica (1985) con due ambasciatori di eccezione che vanno a fargli visita nella sua villa sull’Appia: il giornalista economico Mario Pirani e un insospettabile Beniamino Placido, arguto saggista e firma illustre de “la Repubblica”. Dopo quel fallito “reclutamento”, annota l’autore, gli ambienti di Bankitalia, legati al quotidiano di Scalfari, “rividero”, a cominciare dal governatore Ciampi, il giudizio sul ministro fino allora apprezzato e “divennero ostili”.
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Ma nel ’94 pure i Poteri marci - riuniti nel salotto buono del “burattinaio” Cuccia e impegnati (leggi referendum Segni 1991) a far saltare il sistema dei partiti -, “furono azzannati dalla bestia che avevano aizzato” (Tangentopoli). “Romiti fu condannato a due anni per falso in bilancio, De Benedetti arrestato per un pomeriggio con l’ira funesta del suo mentore Scalfari…”.
Fino allora, aggiungiamo noi, i magistrati milanesi di Mani pulite si erano ben guardati dal toccare gli editori-padroni che suonavano la carica contro i corrotti e facevano da cassa di risonanza alle imprese degli inquisitori capitanati dal procuratore capo Saverio Borrelli.
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Compreso Silvio Berlusconi, che si sarebbe ubriacato, secondo i suoi detrattori, di affari anche immobiliari proprio nella Milano da bere craxiana. E non è casuale che lo stesso Borrelli chiuda sul nascere, e a sorpresa, anche lo scandalo “penne pulite” (1993) provocato dalle confessioni di Carlo Sama (Enimont-Ferruzzi) con un liquidatorio: “Per quello che ci risulta si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di lavoro”.
GIULIANO FERRARA MARIO PIRANI
Così nasce la seconda Repubblica con Berlusconi premier. Ma germina “sulla base di un grande fallimento, e in una promessa che si sarebbe presto rivelata una grossa bugia”. Con buona pace dei direttori Scalfari e Paolino Mieli che ne avevano annunciato trionfanti l’arrivo sulle prime pagine di “Repubblica” e del “Corriere della Sera”. E la cattiva memoria, diceva Paul Valery - come nel caso evocato da Pomicino -, spesso “fabbrica mentitori” di professione e impenitenti.
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‘O ministro non dimentica le “balle sulla instabilità politica” della prima Repubblica scritte dai giornaloni e mai sanata dalla seconda con i suoi “governicchi” di sinistra e di destra: dal 1992 a oggi ben 15 esecutivi si sono succeduti a palazzo Chigi in nome della presunta governabilità invocata dai Vari&Avariati Panebianco, Della Loggia&C. Peggio che nel deprecabile passato. L’autore ricorda anche le vere ragioni - cioè salvare la Fininvest carica di debiti (600 miliardi di vecchie lire) -, che indussero nel ’94 Berlusconi a gettarsi in politica. Silvio era convinto che lo tsunami di Mani pulite avrebbe travolto oltre al “suo” Psi craxiano anche la Dc.
BERLUSCONI E GERONZI
Il Cavaliere temeva di essere messo sul lastrico da Mediobanca com’era già accaduto pochi mesi prima con la famiglia Ferruzzi di Raul Gardini, morto suicida prima di essere interrogato da Di Pietro.
Un bis annunciato, insomma, con la sollecitazione di Mediobanca alle banche creditrici di “chiudere i rubinetti per potersene poi impadronire trasformando i propri crediti in capitali di rischio”. Ma a salvare (“giustamente”) l’azienda, rievoca ancora Pomicino, furono la Comit presieduta da Luigi Fausti (banchiere nelle simpatie di Craxi) e la Banca di Roma di Cesare Geronzi (andreottiano di ferro) “che respinsero al mittente i desideri di Cuccia”.
RENZI NAPOLITANO 1
A dispetto di Giuliano Ferrara, però, le accuse di Pomicino sul ruolo malefico svolto nel capitalismo italiano da Enrico Cuccia non è figlio soltanto dell’”ermeneutica della congiura” di cui il nostro sarebbe prigioniero.
“C’era sempre una Mediobanca pronta a realizzare le perdite e privatizzare i profitti, così garantendo, un equilibrio tra pubblico e privato nell’economia e nel potere visibile e invisibile italiano…”, sostiene da qualche tempo l’eccellente Giulio Sapelli, docente di storia economica alla Statale di Milano.
SCALFARI MIELI
Le idee di Pomicino sul sistema cucciano non sembrano allora un cactus solitario fiorito nel deserto delle congiure. E le stesse cifre (raccolte in tabella) sulle false privatizzazioni - con la svendita di aziende per oltre duecentomila miliardi di lire -, non hanno realizzato sicuramente una maggiore efficienza e concorrenzialità. Né hanno raddrizzato i conti pubblici: “il debito pubblico è quasi triplicato dagli 839 miliardi di euro del 1991 al record storico di 2200 miliardi toccato nell’estate 2015”.
Dalema Scalfari e Mieli
Poi ci sono i capitoli sulla contestata trattativa Stato-Mafia, con il deputato, Luciano Violante del Pci che a sorpresa si alza nell’aula di Montecitorio per opporsi al decreto Andreotti-Vassalli che avrebbe impedito la scarcerazione di alcuni appartenenti al Gotha mafioso.
Una ferita, ancora aperta per gli andreottiani dopo il presunto bacio di Riina al Divo Giulio che forse gli costò la presidenza della Repubblica.
OSCAR LUIGI SCALFARO E CARLO AZEGLIO CIAMPI
E alla vecchia ferita ancora sanguinante per le accuse al leader scomparso, se n’è aperta un’altra per il tignoso Paolo: lo strappo con l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano dopo una “lunga storia di amicizia e di stima”. Il Bellanapoli che a novant’anni non si rendeva conto del “disastro che stava costruendo” intorno a Renzi. Così, con l’unico attrezzo che possiede ormai, il martello della memoria e dell’intelligenza, Pomicino pianta il suo ultimo chiodo sulla croce dell’Italia finita ahimè sulle spalle delle giovani marmotte.
CIAMPI SCALFARO COSSIGA E NAPOLITANO
sca21 eugenio scalfari carlo azeglio ciampi