Fulvio Fiano per corriere.it
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Erano vere e credibili le minacce rivolte a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione dagli avvocati del clan dei Casalesi, nel corso dell’appello del maxi processo Spartacus, che metteva alla sbarra tutta l’élite criminale della camorra casertana. Per quelle minacce, aggravate dal metodo mafioso, la procura di Roma ha ottenuto oggi due condanne a carico del boss Francesco Bidognetti, un anno e sei mesi, e del suo avvocato Michele Santonastaso, un anno e due mesi. Assolto invece il collega di quest’ultimo, Carmine D’Aniello che difendeva l’altro boss, Antonio Iovine «‘O Ninno».
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«Ci sono voluti tredici anni per concludere questo processo molto delicato, che ha raccontato come un clan ha cercato di intimidire, isolare e fermare il racconto del suo potere. La sentenza mi ridà speranza ma non mi restituisce gli anni sotto scorta. Sono contento anche per Rosaria Capacchione, sono stati anni feroci sotto attacco da tanti. È la dimostrazione che i clan non sono invincibili»: ha commentato Saviano emozionato all’uscita dall’aula e poi in un video pubblicato sul sito del Corriere della Sera. Lo stesso scrittore aveva definito nella sua testimonianza quel proclama: «un atto storico da cui non si torna più indietro ».
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E come ha ricordato nella sua memoria l’avvocato Antonio Nobile che lo assiste, obbiettivo di quel irrituale documento «erano magistrati, intellettuali e giornalisti, che venivano espressamente individuati quali responsabili della rovina prossima ventura del clan dei Casalesi, coincidente con la conferma in appello delle 5 pesantissime condanne inflitte in primo grado poiché ne mettevano in risalto la dimensione ultraprovinciale, nazionale ed internazionale, circostanza quest’ultima da ritenersi particolarmente invisa ai capi del clan »
rosaria capacchione
Col boss Bidognetti, capo di una delle quattro famiglie nel cartello camorrista, recluso in regime di carcere duro, l’avvocato Santonastaso lesse un documento che sembrò subito diverso nel suo significato rispetto al senso letterale delle parole. Una richiesta di ricusazione della Corte che si sarebbe fatta influenzare dal libro «Gomorra» di Roberto Saviano e dagli articoli della giornalista del «Mattino», Rosaria Capacchione. Che oggi commenta: «Chi ascoltò in aula quelle frasi non ebbe dubbi sul loro significato, conoscendo il linguaggio del clan, il contesto e il clima in cui venivano pronunciate. Se ne accorse subito il pg Galgano che lanciò l’allarme e non ha avuto dubbi la Dda di Napoli che ha condotto le indagini. L’unico punto da capire era solo quello di dimostrare tutto questo in aula e oggi, anche se la sentenza mi lascia quasi indifferente, è stato stabilito un principio. Da 13anni, due mesi e 11 giorni la mia vita è stata invece stravolta, non è più mia. Avevo 48 anni e senza la notorietà avuta da Gomorra io sarei morta. Posso dire che mi ha salvato la vita».
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Era il 13 marzo del 2008 e i pm della Dda di Napoli interpretarono quell’intervento come un proclama di minacce indirizzate allo scrittore, alla cronista e ai pm che condussero le indagini, Raffaele Cantone e Federico Cafiero De Raho. Saviano viveva già sotto scorta e nei giorni successivi la protezione fu assegnata anche a Capacchione. Questo processo è una sorta di «riedizione» di quello già tenutosi a Napoli e concluso con un anno di condanna a Santonastaso e l’assoluzione di Bidognetti e e D’Aniello, prima che la corte d’Appello dichiarasse la propria incompetenza territoriale per la presenza dei magistrati Cantone e De Raho, inviando gli atti a Roma: «Non si può pensare che l’avvocato dei camorristi possa prendere un’iniziativa personale senza interloquire con i capi. Se così fosse davvero non abbiamo capito niente della camorra», commentò allora Saviano. Il pm capitolino Alberto Galanti ha riassunto nella sua requisitoria:
FRANCESCO BIDOGNETTI
«Rosaria Capacchione è stata una spina nel fianco dei clan dei Casalesi e Roberto Saviano con il suo libro ‘Gomorra’ ha acceso i fari sulla provincia di Caserta: questo per una consorteria mafiosa è un colpo al cuore. Entrambi erano da considerare nemici giurati del clan dei Casalesi». Come parte civile erano presenti la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania.
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