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    IL COMPLESSO DEL CAV – LA SOLITA SINISTRA CONSERVATRICE CHE APPENA SENTE PARLARE DI PRESIDENZIALISMO TEME IL TRIONFO DI SILVIO BANANA


     
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    Fabrizio Rondolino per "Il Giornale"

    dalema berlusconidalema berlusconi DALEMA E BERLUSCONIDALEMA E BERLUSCONI

    E anche questa volta, anche ora che, per un capriccio della cronaca, destra e sinistra sono costrette a compiere un tratto di strada insieme e hanno l'occasione di varare le riforme costituzionali che tutti dicono di volere e attendono da anni, anche in questa occasione la sinistra si tira indietro, denuncia catastrofi imminenti, erige barricate, e s'appresta a schierarsi orgogliosamente all'opposizione.

    MASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONIMASSIMO D ALEMA E SILVIO BERLUSCONI

    La Costituzione, che nei convegni e nei talk show è oggetto da almeno vent'anni di critiche continue e puntuali, da sinistra come da destra, diventa im­provvisamente «la più bella del mondo» quando le riforme diventano possibili e praticabili. E la colpa è di una parola sola. Nel lessico familiare della sinistra italiana, infatti, «presidenzialismo » significa né più né meno governo autoritario. Che importa se la prima, la più antica e la più solida democrazia del mondo è nata e cresciuta presidenzialista, e che importa se tutti a sinistra applaudono il presidente Obama e ne invidiano la leadership.

    Letta e BerlusconiLetta e Berlusconi

    Che importa se da un quindicennio almeno votiamo simboli di partito che recano al proprio interno, stampato a caratteri cubitali, il nome del candidato premier, e che importa se i poteri del Quirinale si sono nel tempo dilatati e gonfiati al punto da spingere qualche studioso a parlare di «semipresidenzialismo all'italiana».

    Non c'è niente da fare: il riflesso conservatore, unito all'amore inconfessato per le pratiche barocche della nostra democrazia dei partiti, spinge ogni volta la sinistra sulle barricate. Con argomenti francamente incongrui, e di certo estranei al diritto costituzionale: primo fra tutti quello in base al quale gli italiani, per chissà quale condizione genetica o climatica o spirituale, «non sono pronti» a eleggere direttamente il capo dell'esecutivo.

    ENRICO LETTA E SILVIO BERLUSCONIENRICO LETTA E SILVIO BERLUSCONI

    Ma il motivo sottaciuto di tanta ostilità si chiama in realtà, tanto per cambiare, Silvio Berlusconi: è stupefacente che la sinistra abbia così poca fiducia nei propri candidati da scommettere fin d'ora su una vittoria del Cavaliere, ma effettivamente è così.

    Tan­to che persino i più aperti sulla questione presidenzialista s'affrettano subito a precisare che andrà regolamentato il conflitto d'interessi: il che natural­mente è giusto, ma vale per qualsiasi forma di governo (e anche per qualsiasi forma di conflitto).

    Qualcosa del genere era capitato a Bettino Craxi, che nel '79, conclusa l'esperienza della solidarietà nazionale, propose una «Grande riforma» di stampo presidenzialista che avrebbe dovuto porre fine alla cronica instabilità dei governi e delle coalizioni per restituire agli elettori il potere di scelta. Il Pci sferrò una campagna violentissima contro Craxi, che proprio allora cominciò ad essere dipinto come un pericoloso autoritario, se non come una reincarnazione di Mussolini (Forattini, del resto, lo dipingeva con gli stivali).

    BERLUSCONI NAPOLITANOBERLUSCONI NAPOLITANO

    La colpa principale di Craxi fu, agli occhi del Pci, la volontà di spezzare il legame consociativo che univa democristiani e comunisti: e lo spauracchio del presidenzialismo- già agitato negli anni Sessanta contro le proposte di Pacciardi e del suo movimento- servì a mobilitare apparato e militanti contro la presunta «deriva personalistica e autoritaria » del Psi.

    prodi romanoprodi romano

    È da allora, è dalla chiusura conservatrice di Berlinguer che la sinistra italiana appare prigioniera di se stessa, incapace di scegliere, timorosa di ogni novità. Se l'adesione di Occhetto ai referendum di Mario Segni che aprirono la strada al maggioritario fu subìta dal Pci-Pds soltanto perché contro il referendum si erano schierati Craxi e Forlani, a D'Alema e alla sua Bicamerale le cose andarono molto peggio.

    epifani-cadutaepifani-caduta

    E proprio allora nacque l'idea, oggi largamente riproposta dal partito di Repubblica, che la Costituzione a conti fatti non si possa e non si debba cambiare, almeno finché dall'altra parte del tavolo ci sarà Berlusconi. E quando il Cavaliere lo fece saltare, il tavolo della Bicamerale, tutta la sinistra che piace alla gente che piace tirò un sospiro di sollievo, confortata nella convinzione che nessuna vera riforma s'ha da fare. Oggi gli eserciti sono di nuovo schierati, i trombettieri suonano la carica e i generali leggono proclami bellicosi.

    Eppure basterebbe rileggersi Pietro Calamandrei, che alla Costituente, presentando il programma del Partito d'Azione, propose senza successo il presidenzialismo per «porre fine allo spirito di quel parlamentarismo degenerato che ha dato origine al fascismo».

     

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