Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
VITTORIO FELTRI
Gli scaffali delle librerie dovrebbero avere un ripiano apposito dedicato ai volumi sul Corriere della Sera.
Ne sono usciti a valanga Evitate però di chiedere la localizzazione di questi titoli al commesso: se non sono al macero, sono in deposito altrove, nelle cantine degli autori, ansiosi di fame dono a chiunque passi da loro o abbia l'avventura disgraziata di invitarli a cena.
Pierluigi Allotti e Raffaele Liucci - Corriere della Sera. Biografia di un quotidiano
Comprensibile il disinteresse del popolo. Si tratta per lo più di memorie che interessano solo a chi le ha scritte, e servono a far sapere: io c'ero. Infatti i giornalisti in Italia si dividevano (adesso non so) tra quelli che sono stati al Corriere e quelli che avrebbero voluto andarci, tra «corrieristi» e resto del mondo.
Uno status, prima ancora che un mestiere. Lo so perché io pure c'ero. Ho rinunciato all'insano proposito. Anche perché non riuscirei neppure a sfiorare la qualità letteraria e l'efficacia cristallina della testimonianza di Enzo Bettiza: Via Solferino. La vita del Corriere della Sera dal 1964 al 1974, Rizzoli.
eugenio torelli viollier
Qualcuno mi ha suggerito: racconta il decennio successivo, sei stato in quel turbine.
No, grazie. Partire nella certezza di arrivare al massimo secondo è una delusione che risparmio ai lettori ma anzitutto alla mia vanagloria.
ANNI INFUOCATI
Detto questo, confessato il mio scetticismo, non ho resistito e ho acquistato Corriere della Sera. Biografia di un quotidiano (il Mulino, pagg. 528, . 30) un volume che promette per l'autorevolezza scientifica della casa editrice, Il Mulino, e per il curriculum degli autori, Pierluigi Allotti e Raffaele Liucci, cattedratici di storia del giornalismo, di essere un bel modo - finalmente non ideologico - di rileggere anni infuocati non solo della mia biografia, ma di quella degli italiani, perché specie allora quel che accadeva al Corriere, omicidi compresi, con le lotte proprietarie e politiche per il suo indirizzo, aveva un peso rilevantissimo per la vita comune degli italiani. Influiva sul potere romano, ma soprattutto un po' rifletteva, un po' dirigeva i costumi quotidiani.
Pierluigi Allotti
Il grosso tomo si legge bene. Racconta a partire dal primo direttore, il napoletano Eugenio Torelli Viollier, e dal primo numero, il 5 marzo 1876, il succedersi di altri 28 direttori, e può far scorgere in profondità anche le vicende finite sepolte negli archivi vastissimi di via Solferino, che i due studiosi hanno esplorato per anni. Grosse scoperte? Non credo.
FRANCO DI BELLA
Alla fine i giornali, qualunque cosa si svolga nelle segrete stanze, sono esattamente descritti e interpretabili da quello che vi si legge. Ci sono, marginalmente anch' io, nelle pagine degli autori. Si citano certi documenti da loro rinvenuti a proposito del mio contenzioso con Alberto Cavallari.
Scrivono Allotti e Liucci: «Le carte d'archivio conservano traccia dei numerosi attriti sorti fra il direttore e alcuni colleghi (Giovanni Raimondi, Enzo Passanisi, Giulio Nascimbeni, Sebastiano Grasso, Vittorio Feltri, Paolo Isotta, Piero Ostellino)».
Non si dice però il merito della vicenda. I due danno la colpa al «carattere spigoloso» e «impossibile» del personaggio. A essere impossibile era la sua tigna ideologica. Non erano fatti personali.
IL PRIMO NUMERO DEL CORRIERE DELLA SERA
Semplicemente Alberto Cavallari era un comunista e praticava una selezione razziale confinando nel gulag del silenzio le firme sgradite. A danno del Corriere che perse 100mila copie. Eppure gli autori si profondano in elogi di questo devastatore delle praterie.
L'uomo era stato scelto, dopo Franco Di Bella, ignobilmente liquidato per la sua innocua iscrizione alla P2, proprio perché comunista, con la pantomima imposta all'editore Angelo Rizzoli, tenuto lì con la pistola alla tempia, di lasciare a un garante, un giurista senatore della sinistra indipendente, di sceglier lui il direttore.
IL MALLOPPO DI AGNELLI
Tutto così innocente e trasparente? Non mi pare. Di certo, grazie a Luigi Bazoli, banchiere della sinistra democristiana, Agnelli si portò a casa un patrimonio per quattro soldi.
ALBERTO CAVALLARI
La scorreria è ben descritta nel libro, e - citando Massimo Mucchetti si evidenzia la cospicuità del malloppo, ma il tono generale è di chi ritiene tutto questo inevitabile per impedire l'ascesa di Craxi, che si dà per scontato avrebbe impedito al Corriere di essere libero come ai tempi di Piero Ottone...
WALTER TOBAGI E ALDO MORO
Per parlar bene di Walter Tobagi, essendo craxiano ma anche morto, ammazzato per le sue idee di socialista cristiano anticomunista, i professori di giornalismo citano un episodio in cui il mio amico Walter criticò aspramente un'intervista non firmata e pubblicata da Di Bella per Servilismo a Bettino. Giusto.
Ma erano ben altre le cause del formidabile e pericoloso impegno di Tobagi per smantellare democraticamente il soviet comunista che Ottone aveva consentito si insediasse in via Solferino. A proposito di quegli anni, in svariati articoli e libri ho raccontato questo o quell'episodio, sfidando la noia altrui e i ghiribizzi dei detentori a prescindere della verità storica, naturalmente progressista.
vittorio feltri
Fatica inutile visti i risultati. Mi sono impuntato infatti a raddrizzare le gambe ai cani, contraddicendo cioè la vulgata corrente sugli anni della direzione di Franco Di Bella. Un grande cronista. Un giorno sventurato si fece mettere in testa un ridicolo cappuccio, ma più che i garbugli del potere conosceva il guazzabuglio dei cuori umani.
FRANCO DI BELLA, BARBIELLINI AMIDEI E BERLUSCONI
Con il suo «vicario» Gaspare Barbiellini Amidei si accorse che non di sola politica vivono i popoli, e aprì il giornale al «privato», a vicende cioè di amori e di corna, ma anche al dolore di Giovanni Testori per i figli di nessuno abbandonati nell'obitorio. Il tutto fu bollato come mediocre «deflusso» dagli intellettuali di Repubblica, che poi rincorsero questo filone con la solita prosopopea.
Corriere della sera - articolo sulla P2
Si capisce che gli autori tifano, con molto garbo, per il progressismo, sotto il manto dell'obiettività, fatti separati dalle opinioni eccetera. Ma con tutte le buone intenzioni a questi scienziati del giornalismo slitta qualche volta la frizione. Capita quando raccontano della direzione di Piero Ostellino, che ospitò con risalto il famoso articolo di Leonardo Sciascia «I professionisti dell'antimafia», e lo difese dalle critiche.
sede del corriere della sera in via solferino a milano 1
Allotti e Liucci al riguardo forniscono elementi idonei a formulare su Sciascia e il suo complice Ostellino un giudizio infamante. Sostengono che fu quel testo, titolato con esagerata enfasi, a provocare l'isolamento di Falcone e Borsellino, la loro mancata promozione da parte del Csm a posti chiave, e alla fine - lasciano intendere - il loro assassinio.
falcone borsellino
Dimenticano, lor professori, che a opporsi e a schiacciare nella solitudine Falcone non fu certo la limpida critica di Sciascia furono prima i giuristi comunisti sull'Unità, indi il plotone di esecuzione di Magistratura democratica in Csm. Questo però chissà perché non lo dicono, e non è una mia opinione, ma un fatto. Il libro comunque è un utile vademecum.
Allotti e Leucci consentono, con un poderoso apparato di note, di leggere pagine bellissime e dimenticate. Ce n'è una che riscatta le segnalate sbandate a sinistra. Sul finire del 1987, sotto la direzione di Ugo Stille, Giuliano Ferrara intervistò Renzo De Felice a proposito del fascismo, di cui è stato il sommo storico.
In essa il professore «suggeriva di abolire le norme che vietavano la ricostituzione del partito fascista. Secondo De Felice, era giunto il momento di guardare con maggiore serenità al passato littorio, ormai archiviato per sempre». Non esiste più, che senso ha vietare ciò che non esiste. Non ricordavo, ma sono orgoglioso in questi giorni di avergli rubato l'idea. «Per questo», sostenne De Felice «la contrapposizione fra fascismo e antifascismo non aveva più (già allora! ndr) ragion d'essere e Craxi aveva fatto bene a incontrare, per un'ora e mezza di dialogo sulle riforme istituzionali, Gianfranco Fini, giovane delfino di Giorgio Almirante».
corriere della sera
Scoccarono fulmini e saette. A cui lo storico rispose con un'altra intervista. È quasi irridente: gli avevano mostrato «una rivista in cui è comparsa una fotografia di una nipote di Mussolini completamente nuda: mi pare che siamo ormai davvero lontani dal momento mitico del fascismo europeo e italiano». Concludeva: «L'opposizione concettuale fascismo-antifascismo, nella nostra realtà storica, impedisce proprio di fare un discorso positivo sulla democrazia e di individuarne i veri valori». Me lo intesto come editoriale.
Alberto Cavallari
franco di bella eugenio torelli viollier