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Paolo Galassi per “il Venerdì di Repubblica”
Questa è la storia di un amore. Amore per la libertà e il capitalismo, l'unico sistema in grado di creare benessere e sconfiggere una volta per tutte i flagelli del nostro tempo: la povertà, il socialismo e lo Stato, perfido Leviatano che da secoli opprime l'homo oeconomicus con la più subdola delle sue armi, le tasse.
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Aprite gli occhi, arcaici detrattori della proprietà privata, ingenui servi della Res Publica: date una carezza ai vostri bambini e riguardate con loro il Robin Hood di Walt Disney, con l'avido Principe Giovanni, leone senza criniera, che affonda le mani nell'oro sottratto al popolo di Nottingham gridando «Tasse! Bellissime, adorabili, tasse!».
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Le tasse sono un sopruso. Ma in Argentina, se le pagate, c'è qualcuno che ogni mese proverà a restituirvele: Javier Milei, libero leone in libero pollaio.
LO STIPENDIO IN PALIO
«L'interpretazione socialista vi dice che Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri. Falso! Rubava all'esattore delle tasse, che aveva sottratto quel denaro alla gente con la forza».
L'aveva promesso, e così è stato: il deputato argentino Javier Milei, leader della coalizione di ultradestra La libertad avanza, ha donato per intero il suo primo stipendio da legislatore di Buenos Aires. «Lo rifarò ogni mese. Sono soldi rubati al popolo, che devono tornare al popolo. Se le tasse sono un furto, non posso trarne beneficio» ha spiegato.
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«Sto donando qualcosa che è mio. Contesto l'origine di questo denaro, e lo restituisco». In pochi giorni, per il sorteggio della sua prima busta paga, la sua pagina web registra 5 milioni di visite e 750 mila iscritti. L'evento è trasmesso in diretta social da Playa Grande, la spiaggia di Mar del Plata dove migliaia di adolescenti si ritrovano al calar del sole per l'after-beach che accende la notte.
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Il luogo non è casuale. Dopo due anni di obblighi e restrizioni, il suo slogan "Viva la Libertà" fa presa soprattutto su di loro. Una libertà che finisce però dove comincia la proprietà privata degli altri. Facciamo ciò che vogliamo con ciò che ci appartiene (Milei lo fa col suo stipendio). Se qualcuno ce lo prende con la forza (esempio: le tasse), commette un crimine.
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ANARCO-CAPITALISMO
Viva la Libertà! è anche il titolo del suo primo libro tradotto in italiano, una raccolta di saggi «in difesa delle libertà individuali e del diritto di proprietà», una dimostrazione della superiorità morale (ed estetica) del capitalismo, in quanto macchina per promuovere il benessere e ridurre la povertà. «Minarchista a breve termine, anarcocapitalista sul lungo periodo» si definisce Milei, docente di Microeconomia folgorato dagli scritti del newyorchese Murray Rothbard, discepolo dei libertari austriaci Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek e padre dell'anarco-capitalismo.
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«L'idea è minimizzare lo Stato, perché si occupi solo di sicurezza e giustizia, e poi eliminarlo» suggerisce. «Tra Stato e mafia, meglio la mafia. Perché ha regole, le rispetta e non mente. E soprattutto, compete». Il suo rimpianto accademico è l'aver ingannato per anni i suoi alunni con le menzogne stataliste di John Maynard Keynes.
«La mia missione è prendere a calci in culo i keynesiani e i collettivisti hijos de puta che ci vogliono rovinare la vita!» grida nel febbraio del 2019 a un raduno di comic giapponesi, dove piomba a sorpresa mascherato da generale AnCap, supereroe in rigoroso costume giallo-nero, i colori anarco-capitalisti che Milei riprende per i simboli della sua campagna, dal leone in cui si rispecchia all'antica bandiera di Gandsden con il serpente a sonagli che intima "Non calpestarmi", storico vessillo del Tea party yankee riapparso l'anno scorso a Washington durante l'assalto al Campidoglio.
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CONTRO LA CASTA
Lo scorso 14 novembre, allo stadio Luna Park di Buenos Aires, il volto di Javier Milei compare sulle bandiere dei suoi seguaci insieme a quello di Donald Trump e Jair Bolsonaro. La tribù libertaria accoglie il neoeletto legislatore al grido di "La casta ha paura", con cui condanna sia gli incorreggibili peronisti, da sempre colpevoli di alimentare i poveri a suon di sussidi (con il fine di mantenerli tali), quanto la tiepida destra di Mauricio Macri, che tra il 2015 e il 2019 si è rivelata incapace di proteggere gli interessi privati, provocando il nefasto ritorno del kirchnerismo.
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A proposito, kirchnerista è risultato essere anche il vincitore del sorteggio del primo stipendio di Milei, per il quale non poteva esistere spot migliore: un piccolo imprenditore del mattone che userà quei soldi per coprire i debiti con la banca, un perfetto spaccato della classe media argentina, cronicamente castigata da imposte e inflazione, e oggi delusa dalle promesse di ripresa di Alberto Fernandez e Cristina Kirchner.
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Con quegli occhi azzurri - a volte freddi, a volte stralunati - e quella criniera scapigliata che dice di non pettinare mai (affidandola ogni giorno alla mano invisibile del mercato) Milei può ricordare il Joker di Joaquin Phoenix: da protagonista di bizzarri talk show e scadenti spettacoli teatrali a leader di una ribellione. Non di emarginati però, ma di centennial di classe medio-alta, giovani quanto basta per evitare gli anni delle peggiori destre latinoamericane e grandi abbastanza per conoscere i fallimenti del neoliberismo degli anni 90, forse troppo imbrigliato da vincoli statali che ormai è ora di tagliare.
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Con il suo lungo giaccone di cuoio nero poi, Milei potrebbe anche essere il Morpheus di Matrix, che offre ai suoi uomini la famosa pillola rossa per ribellarsi al sistema e alla dittatura del politicamente corretto: «in un Paese infettato dal socialismo, essere ribelli vuol dire essere liberali», la sua sintesi preferita. Parafrasando Gramsci, che in Argentina ha sempre suscitato interesse (e non solo a sinistra): il vecchio peronismo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.
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