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    IL DIRITTO UNIVERSALE ALLA SALUTE RESTA UN MIRAGGIO - CINQUE MILIARDI DI PERSONE, CHE VIVONO IN STATI A MEDIO E BASSO REDDITO, NON HANNO DIRITTO A OPERAZIONI SICURE E DI ROUTINE COME UN’APPENDICITE O UN CESAREO: SU CIRCA 300 MILIONI DI INTERVENTI ESEGUITI OGNI ANNO SOLO IL 6% VIENE EFFETTUATO NEI PAESI PIÙ POVERI – MANCANO UN MILIONE TRA CHIRURGHI, ANESTESISTI E OSTETRICHE, MA NON BASTA INVIARE MEDICI IN ZONE POVERE: SERVE UNA TASK FORCE PER…


     
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    Estratto dell’articolo di Chiara Daina per il "Corriere della Sera"

     

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    In un mondo ancora ferito dalle guerre, la pace e l’umanità passano anche attraverso il diritto universale alla salute.

    Che in molti Paesi dilaniati dalla povertà significa poter avere accesso alle cure di base contro le malattie più comuni, come diarrea e polmonite, e agli interventi chirurgici essenziali, per un’appendicite o un taglio cesareo salvavita.

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    L’associazione Italian global health action, nata ad aprile, sensibilizza opinione pubblica, professionisti del settore (medici, infermieri, ostetrici) e autorità sanitarie, sulla necessità di promuovere la salute globale.

    Anche perché nella società globalizzata neanche le malattie hanno confini e qualsiasi problema di salute (malattie trasmissibili come Hiv e Covid, non trasmissibili come diabete e cancro, resistenza agli antibiotici, e così via) richiede soluzioni transnazionali […]

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    Al primo congresso promosso dalla neonata organizzazione per la salute globale è stata denunciata la forte diseguaglianza nell’accesso agli interventi chirurgici tra aree ricche e povere del Pianeta. I dati sono quelli del report della Lancet Commissione on Global surgery del 2015, il più grande studio sulla chirurgia nel mondo: 5 miliardi di persone, provenienti soprattutto da Stati a medio e basso reddito, non hanno diritto a operazioni sicure e sostenibili, neanche quelle di routine. Su circa 300 milioni di interventi eseguiti ogni anno solo il 6% viene effettuato nel Sud del mondo, dove vive un terzo della popolazione totale.

     

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    Con il risultato che in questi posti si muore più facilmente per infezioni causate da fratture non trattate, un’ernia, un’appendicite, un parto complicato, un tumore al seno o al collo dell’utero non rimosso. Nel 2010 sono stati stimati quasi 17 milioni di decessi per mancanza di cure chirurgiche (un numero superiore a quelli per Hiv, tubercolosi e malaria insieme).

     

    «Ci sono diversi motivi per cui le persone nelle aree più povere del mondo non hanno ricorso ai servizi di chirurgia. Uno di questi - sottolinea Mauro Zago, direttore del dipartimento di chirurgia dell’ospedale Manzoni di Lecco e vicepresidente della commissione formazione della Società italiana di chirurgia - è la carenza di personale sanitario competente. Un altro è l’incapacità di far fronte alle spese per l’intervento […]

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    È chiaro che non basta inviare dei medici a turno in questi luoghi, perché non riuscirebbero mai a soddisfare l’enorme carico di prestazioni. È stato calcolato che servirebbe almeno un milione tra chirurghi, anestesisti e ostetriche. È necessario, quindi, far crescere le competenze e l’organizzazione sul campo».

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    Ed ecco l’idea: «Abbiamo pensato di creare una task force italiana di chirurghi e anestesisti con il compito di realizzare dei progetti di formazione del personale locale […]».

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