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    IL DIVANO DEI GIUSTI/1 – “NOI TEDESCHI SAPPIAMO FARE MOLTE COSE, MA NON SIAMO DIVERTENTI” - IERI SERA MI SONO SPARATO SU DISNEY+ LE PRIME QUATTRO PUNTATE DI “BECOMING KARL LAGERFELD”, BIOPIC PIUTTOSTO RICCA SUL CELEBRE STILISTA - A UNA SERIE EUROPEA BASTA UN GRANDE ATTORE INTERNAZIONALE, DUE SFILATE, UN PO’ DI BATTUTE DANDY-GAIE, QUALCHE RAGAZZOTTO CARUCCIO, DEI REGISTI NON PROPRIO IGNORANTI, E IL GIOCO È FATTO - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Che vediamo stasera? Non so voi, ma io ieri sera mi sono sparato su Disney+ le prime quattro puntate, e aspetto stasera per spararmi le ultime due, di “Becoming Karl Lagerfeld”, biopic piuttosto ricca sul celebre stilista, diretta da Jérôme Salle e Audrey Estrougo, scritta da Raphaëlle Bacqué, Jennifer Have, Isaure Pisani-Ferry, con un bravissimo Daniel Brühl come il contorto Karl Lagerfeld, Théodore Pellerin come il suo amore (platonico), ma amore anche di Yves Saint-Laurent, Jacques de Bascher, Arnoud Valois come Yves Saint-Laurent, la favolosa Lisa Kreuzer (“Nel corso del tempo”, “Alice nelle città”) come mamma Lagerfeld, Agnes Jaoui come Gabrielle Aghion, Sunnyi Melles (“Triangle of Sadness”) come Marlene Dietrich.

     

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    Ci sono anche attrici italiane, Sara Serraiocco come Graziella Fontana, Giorgia Sinicorni come Carla Fendi e Carmen Giardina come Anna Piaggi. Non so se è una grande serie. Forse è un po’ ovvia, come queste serie europee dedicate ai grandi stilisti, da quella su Balenciaga a quella su Christian Dior, inferiori ai due film su Yves Saint-Laurent pensati per il cinema. A una serie europea basta un grande attore internazionale, e Daniel Brühl lo è, come lo era Ben Mendelsohn come Dior, un po’ di bozzetti, due sfilate, un po’ di battute dandy-gaie, qualche ragazzotto caruccio, dei registi non proprio ignoranti, e il gioco è fatto.

     

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    Il pubblico femminile e il pubblico gay lo hanno di sicuro. Certo. Le serie italiane, davvero troppo povere, su comici e cantanti, meglio non far titoli, sono decisamente inferiori. Non ci credi mai. Qua a Daniel Brühl, capace di interpretare qualsiasi ruolo in qualsiasi lingua, anche se non ha alcuna corda comica (“Noi tedeschi sappiamo fare molte, cose, come costruire auto, ma non siamo divertenti”), qui tedesco che vive con la mamma parlando in tedesco e si mette la pancera per non apparire grasso e soffre d’amore perché non riesce a scopare l’uomo che ama ci credi. Sempre. Credi anche a Marlene Dietrich che gli spiega che non metterà mai il suo abito bruttissimo rosso e blu come la bandiera francese e che voi stilisti, anzi… voi sarti, siete solo degli specchi rispetto alla donna che ci si riflette.

     

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    E credi a quando Pierre Bergé spiega al baldo Jacques, amante di Yves e fidanzato di Karl, che è solo un vibratore per maniaci del lavoro. Ma credo che il lavoro più complesso della serie, costruita in sei puntate che seguono anni diversi, dal 1972 al 1978, è proprio il tentativo di capire qualcosa di un personaggio così chiuso e complesso come Karl Lagerfeld, che non riesce a uscire dalla casa dove vive con la mamma, che si nasconde dietro qualsiasi trucco per farsi riconoscere. Anche il prêt-à-porter, diventa una maschera per non mostrare la propria autorialità e il proprio stile. Glielo dice anche la mamma. Qual è il tuo stile? Ce ne sono venti? Da vedere.

     

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