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    1- QUIRINO CONTI ANALIZZA TRE CASI DI MALAMODA: FORMIGONI, LORENZA LEI E MARCEGAGLIA 2- “INDOSSATORE ANNI CINQUANTA”? BOY DI WANDA OSIRIS? VITELLONE FELLINIANO? IL PERCORSO INTRAPRESO DAL VERGINE CELESTE È STRATEGIA DADAISTA, INCONSAPEVOLEZZA O, PIUTTOSTO, DEL TRACIMARE DI UN’OMBRA DEL CUORE DIVENUTA ORMAI INGOVERNABILE? 3- COME SI SCOMBINA EMMA. PASSATA DA UNA TURBOLENTA E INGOVERNABILE TESTA LUIGI XIV; DA UN ROVO, CIOÈ, SENZA REQUIE A UNA SPIOMBATISSIMA CASCATA DI SPAGHETTI AL SOLE 4- CON I PRIMI ZEFIRI DI PRIMAVERA, OPUS LEI MOLLA IN ARMADIO LE SUE INSPIEGABILI FISSE “PSEUDOCHANELLIANE”, CON UN PRECISO GUSTO PER LA FERRAMENTA (DA TIRA LA CATENA), PER ABBANDONARSI A UN INSPIEGABILE RIGURGITO DA CRESIMANDA: PIZZI E MERLETTI


     
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    Quirino Conti per Dagospia

    Quirino Conti ph Graziella VigoQuirino Conti ph Graziella Vigo

    Il caso rischia di finire negli annali: tre fra le personalità più autorevoli (o almeno fra le più in vista) di questo paese, culla del made in Italy e, si vorrebbe, dello Stile, rivestite - è proprio il caso di dirlo - del più caparbio e indefesso ottenebramento formale: fino all'incredibile, al mirabile; e all'oscuro.

    MARCEGAGLIAMARCEGAGLIA

    A cominciare dalla signora Marcegaglia, ex presidente di Confindustria e giovane, combattiva donna di mondo. Passata da una turbolenta e ingovernabile testa Luigi XIV, 1701 circa, a una, sempre al maschile, stiratissima e citazionista Frans Hals, 1664 in punto; da un rovo, cioè, senza requie a una spiombatissima cascata di spaghetti al sole. Nell'uno come nell'altro caso, con scarsissimo vantaggio per il suo costante broncio combattivo.

    MARCEGAGLIAMARCEGAGLIA

    Infatti, a voler confrontare nella memoria le sue immagini, è come se il presidente uscente avesse partecipato tutto il tempo a una sfida; o, che so, a un reality: vince chi non ne azzecca mai una! E, con molto impegno, com'è dell'imprenditrice, come se passasse il tempo a setacciare l'universo dello Stile per cavarne il peggio: così da "scombinarlo" con tutto il resto già "scombinatissimo".

    MARCEGAGLIAMARCEGAGLIA

    Ed è persino sorprendente come su di lei, sempre così assennata e concisa, si possano riscontrare eccezionali pezzi di dissennato squilibrio e d'inestinguibile logorrea formale. Sempre, immancabilmente ogni qual volta i media devono raccogliere un suo passaggio o le sue reazioni: senza che un cenno di ravvedimento o di conversione la soccorra.

    Lorenza Lei - foto AnsaLorenza Lei - foto Ansa

    Nell'unito come, il cielo ne scampi, nelle fantasie: scelta, quest'ultima, praticata - parrebbe - almeno con disattenzione; se non con evidente gusto per le sciarade, gli ossimori o la dislessia figurativa. E un metaforico, inconsapevole daltonismo. Assalita, nel pesante come nel leggero, da volumi e proporzioni mai deludenti in una simile strategia di refusi formali. E di malamoda.

    Del direttore generale Lei avevamo già avuto occasione di occuparci per alcune sue inspiegabili "pseudochanelliane": piuttosto addobbate e con un insolito e preciso gusto per la ferramenta. Mai immaginando che i primi zefiri di primavera le avrebbero portato un inspiegabile rigurgito da cresimanda.

    LORENZA LEILORENZA LEI

    Infatti la signora, forse incapace di contenere un'anima da fanciulla e una tenerezza da Figlia di Maria, appare ultimamente in un giacchino - sempre in quella proporzione su di lei assassina -, stavolta concepito però in un candido materiale direttamente mutuato da quegli indimenticabili abiti da Iniziazione cristiana.

    Insomma, un niveo merletto, un sangallo presumibilmente, che, non troppo diverso da quelli tornati ultimamente in grande auge presso gli elegantoni vaticani, pur tuttavia così visibilmente "profuma" ancora di pasticceria: simile a un lavoro di zucchero filato, o a una di quelle tenere carte ritagliate sulle quali si pongono succulenti Mont Blanc, liquorosi babà e tremule gelatine. O decoratissime cassate!

    FORMIGONIFORMIGONI

    Ecco, per il suo difficile e ruvido compito, la primavera deve aver consigliato al direttore generale Lei un inconfondibile profumo di gigli o di zuccherose delizie pasticciere.
    Decriptare quell'insolito giacchino sarebbe troppo facile; meglio passare al prossimo reo confesso.

    Anche di lui, del governatore Formigoni, ci eravamo dovuti occupare in precedenza: anche nel suo caso, mai immaginando che il percorso intrapreso, da "indossatore anni cinquanta", lo avrebbe condotto a simili vertici di assoluta, caparbia determinazione. Ora il problema è se trattasi di strategia dadaista, intenerente inconsapevolezza o, piuttosto, del tracimare di un'ombra del cuore divenuta ormai ingovernabile.

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    Giacché, vederselo comparire in tal modo, obbliga ogni volta a un esercizio sempre più difficile: per contenere uno stupore, troppo spesso ormai alla soglia dell'ilarità. Ma uno stupore persino dolente: così conciato, stentoreo, sorridente e allampanato. A causa di qualcosa che traspare tanto eccessiva e impietosa sul suo corpo da sembrare l'ignara aggressione di segnali incontrollabili e di certo autolesionisti. Che nessuno oserebbe: neppure con un allegro passato da boy accanto ai celebri scaloni della Osiris. O sulla Riviera romagnola, in un bozzetto di Danilo Donati, per un film di Fellini.

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    Per il Memores Domini, una smemoratezza quasi sofferente. Da neppure più commentare. Perché imbarazzante; e per certi versi impietosa.
    Quale deriva - stilistica - vi sia infatti dietro tre casi del genere, è interrogativo che è bene lasciare nell'ombra della discrezione; e alle loro rispettive, tolleranti autoassoluzioni. Per tanta loquacissima malamoda.

    "Sentivo che le cose stavano per mettersi male, e ripresi precipitosamente a parlare di vestiti" (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La prigioniera).

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