Francesco Borgonovo per “La Verità”
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La Banca d'Italia, come ricordava ieri Dario Di Vico sul Corriere della Sera, ha calcolato che le famiglie e le coppie italiane spendono la bellezza di 640 euro al mese per il mantenimento di un figlio.
Ai più poveri (perché, nonostante gli eufemismi, questo sono: poveri) lo Stato allunga al massimo 175 euro a pargolo, meno della metà della cifra necessaria, nel migliore dei casi. Studiosi autorevoli come lo statistico Roberto Volpi ci informano che l'inverno demografico ormai in corso da anni si è trasformato in un'era glaciale e l'idea della scomparsa degli italiani non è poi così folle. Giancarlo Blangiardo, presidente dell'Istat, poche settimane fa ha spiegato che «il Covid-19 ha lasciato un segno pesante sulle famiglie italiane. L'effetto pandemia si è sentito in modo forte anche sul fronte della diminuzione della natalità. Il 2021 è stato un anno molto negativo con una diminuzione della natalità e dell'investimento nel progetto familiare come non si vedeva da tempo». I dati a questo proposito sono impietosi: secondo l'Istat in 20 anni il numero medio di componenti delle famiglie italiane «è passato da 2,7 (media 1999-2000) a 2,3 (media 2019-2020), per effetto dell'incremento del numero di famiglie unipersonali. Le famiglie monocomponente rappresentano circa un terzo del totale delle famiglie (il 32,9 per cento): sono infatti cresciute di dieci punti nell'arco di 20 anni».
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Dulcis in fundo, «si è ridotta anche la quota di famiglie di almeno 5 componenti che è passata dal 7,5 per cento del biennio 1999-2000 ad appena il 5,2 per cento nell'ultimo biennio». Al di là delle cifre, gli effetti sono evidenti nella vita di tutti i giorni. Un esempio? In Friuli Venezia Giulia, riporta la stampa locale, il nuovo anno scolastico si aprirà con 2.481 alunni e 54 classi in meno. Sembra la storia di una estinzione. E infatti persino un inquietante stramboide come Elon Musk si è accorto del dramma demografico in corso.
Questo il quadro della situazione. Eppure sapete qual è il problema che morde le coscienze di tanti commentatori e - come si definiscono - influencer italiani? Il fatto che dalle nostre parti non si abortisca abbastanza facilmente. Ieri La Stampa ha pubblicato in prima pagina l'intervento della modella Giorgia Soleri, nota per essere la fidanzata di Damiano, cantante dei Maneskin. Il titolo era eloquente: «Vi racconto il dramma del mio aborto. Aggredita e colpevolizzata dai medici».
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Capito? Il dramma non è la gravidanza interrotta, ma il fatto di aver incontrato un dottore sgarbato. Non ci permettiamo certo di giudicare le scelte di una giovane donna che, come tanti, ha sicuramente cicatrici dolenti e brutti ricordi con cui convivere, per carità. Ma poiché ha deciso di rendere pubblica la sua vicenda, e lo ha fatto per uno scopo politico, ci dev'essere almeno concessa qualche riflessione. La prima riguarda l'ossessione contemporanea per la spettacolarizzazione del trauma.
Oggi la sofferenza va messa in piazza, perché i nuovi eroi sono le vittime. Non c'è Vip che non racconti il suo tormento, gesto utile ad acquisire spessore umano, «autenticità». Beh, signori, da che esiste il mondo gli uomini soffrono. E questa venerazione della vittima conduce il più delle volte a una sovrastima del trauma, che diviene il metro con cui valutare tutto (come dimostrano le rabbiose minoranze ferite in cerca di un riscatto sotto forma di nuovi diritti, che spesso diritti non sono).
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Nel caso della Soleri l'esperienza traumatica è la seguente. A 21 anni, nel 2017, è rimasta incinta e ha deciso di abortire. Il medico le ha fatto la paternale: «Ah voi giovani che scopate senza precauzioni e poi pensate di usare l'aborto come contraccettivo...». Poi, la legge le ha imposto di parlare con un assistente sociale e di aspettare addirittura una settimana prima di procedere all'intervento, periodo che la modella ha vissuto come «un castigo».
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Esperienza spiacevole? Di sicuro. Il dottore poteva essere più dolce? Può anche darsi. Ma è curioso che il medico che fa la morale sia sgradito solo quando c'è di mezzo l'aborto e non, per dire, il Covid. Ed è curioso anche che a tale impatto con il personale sanitario la Soleri attribuisca la responsabilità esclusiva della depressione che l'ha investita successivamente, e che l'ha portata per due anni a sognare di partorire feti morti. Chissà, magari questo stato di sofferenza aveva persino qualcosa a che fare con l'interruzione di gravidanza, che non è esattamente una passeggiata, no?
E proprio qui sta il nodo della questione. E proprio qui sta il nodo della questione. Sul fatto che non si debbano maltrattare o perseguitare le donne che abortiscono siamo tutti d'accordo, e dobbiamo esserlo perché lo impone la legge. Ma la modella pretende che l'aborto sia presentato a tutti i livelli come un atto normalissimo da svolgersi in tutta serenità.
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Qualcosa che si può fare senza problemi o ricaschi. Una formalità. Ed è ovviamente libera di farlo, esattamente come sono liberi di esistere gli ormai numerosi siti Web creati proprio per ribadire - specie alle ragazze più giovani - che spegnere una gravidanza è un gesto come un altro: «Ho abortito e sono felice». Qualcosa però non torna. La promozione della cultura dello scarto è non solo considerata più che legittima, ma pure incentivata. Però appena Pro Vita organizza una campagna di sensibilizzazione contro l'aborto, ecco che scatta rapida la censura.
In Italia abortire è possibile ovunque, ma ogni anno si assiste alla criminalizzazione dei medici obiettori di coscienza, che pure - chissà perché - sono sempre di più.
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Oggi, per paradosso, non sono i movimenti pro vita a minare la legge 194: sono le varie transfemministe che regolarmente tentano di smontarla per sostituirla con qualcosa di più permissivo, spesso appoggiate dalle istituzioni che si impegnano a sdoganare la pillola abortiva in ogni dove. Viviamo una crisi demografica devastante, la sterilità è in aumento a causa dello stile di vita, chi riesce ad avere figli affronta micidiali difficoltà economiche. Eppure il problema è che non si raschiano via abbastanza feti. Si pretende di elevare a norma la deresponsabilizzazione, si rivendica il diritto a depotenziare la morte, medicalizzandone la mistificazione. Si esibisce e si celebra il trauma proprio - per quanto piccolo - ma la vita altrui, soprattutto se appena sbocciata - non ha alcun valore. In fondo, una civiltà di eterni bambinoni fragili come fiocchi di neve non ha certo bisogno di altri bambini.
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