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    IL DUBBIO AMLETICO DI OBAMA: SOSTENERE LA PADELLA AL SISI O RISCHIARE LA BRACE DELL’INSTABILITÀ (PERDENDO L’ACCESSO AL CANALE DI SUEZ)


     
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    Paolo Mastrolilli per "la Stampa"

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    Gli Stati Uniti hanno cominciato i primi passi formali per bloccare gli aiuti economici all'Egitto, ma per ora si tratta solo dei finanziamenti destinati ai progetti civili, non il grosso dei soldi che va invece ai militari. È un passo che aumenta la pressione, in un contesto interno e internazionale che però resta molto diviso su come procedere per fermare le violenze.

    Washington manda al Cairo 1,55 miliardi di dollari ogni anno, dall'epoca della firma della pace con Israele a Camp David. Di questa somma, 250 milioni vengono distribuiti dall'Agency for International Development allo scopo di finanziare iniziative come l'istruzione e l'addestramento professionale; il resto va alle forze armate, che poi acquistano armi, mezzi e pezzi di ricambio dagli Usa.

    GENERALE EGIZIANO AL SISSIGENERALE EGIZIANO AL SISSI

    Il governo americano, secondo il «New York Times», sta pensando di fermare la prima voce degli aiuti, anche se il dipartimento di Stato ha detto che non sono state prese decisioni e ha invitato Il Cairo a «non mettere al bando i Fratelli musulmani». Dello stesso tenore le dichiarazioni del capo del Pentagono, Chuck Hagel, che ha esortato a «politiche più inclusive».

    Il governo, però, non ha ancora deciso cosa fare dei 585 milioni di dollari che restano ancora da consegnare ai militari, come ultima rata dell'anno, anche se ha sospeso la consegna di 4 caccia F-16, ha annullato un'esercitazione congiunta e sta valutando il rinvio della spedizione di elicotteri Apache.

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    L'amministrazione Obama continua a muoversi con prudenza, evitando la rottura frontale, per una serie di motivi interni ed esterni. Sul fronte domestico, sono soprattutto alcuni parlamentari repubblicani come i senatori McCain e Graham a spingere per lo stop completo degli aiuti. I due colleghi sono appena stati insieme al Cairo, e si sono convinti che il generale Abdul-Fattah el-Sisi è «intossicato dal potere» e vuole solo consolidarlo. I media stanno con loro, ma il resto dei repubblicani e i democratici frenano. Il motivo è che considerano ancora l'esercito come un alleato da non perdere, per la stabilità dell'Egitto e dell'intera regione.

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    Gli americani poi temono di perdere l'accesso al canale di Suez, da cui passano il 7% del petrolio e il 13% del gas liquefatto trasportati via mare in tutto il mondo. Chiuderlo vorrebbe dire aggiungere 2.700 miglia di navigazione, per doppiare il Capo di Buona Speranza. Non a caso, giovedì il prezzo del Brent è salito al livello record degli ultimi quattro mesi, con 111,23 dollari al barile. Il Cairo, inoltre, controlla le rotte aeree che consentono al Pentagono di raggiungere l'Afghanistan e l'intera regione mediorientale.

    Sul piano internazionale ci sono anche altre resistenze che frenano gli Usa. L'Arabia Saudita ha ribadito per bocca del ministro degli Esteri Saud alFaisal che sta dalla parte dei militari, rimproverando ai Paesi occidentali di fomentare le violenze con le loro critiche, e avvertendo di essere pronta a colmare qualunque buco si dovesse aprire negli aiuti economici. Israele è su posizioni simili.

    Canale di SuezCanale di Suez

    Il problema adesso sta diventando proprio l'atteggiamento del Cairo. Forte di questi sostegni, infatti, il governo militare ha fatto sapere che ora sarà lui a rivedere i rapporti con i Paesi occidentali, partendo dall'Unione Europea, ma minacciando anche l'alleanza con gli Stati Uniti. La Russia, infatti, osserva il caos quasi con soddisfazione, pronta a infilare di nuovo il suo piede nella porta.

     

     

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