Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della sera”
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Cominciamo con una domanda: in Italia, il 70 per cento dei carcerati, una volta scontata la pena, torna a delinquere. Cosa non funziona visto che lo scopo della pena è proprio quello di riabilitare? Nelle 190 carceri italiane ci sono 60.552 detenuti che costano, incluse le spese per la sicurezza, 4.000 euro al mese a testa. Complessivamente il sistema penitenziario pesa sul bilancio dello Stato per 2,9 miliardi l' anno. In Europa solo Russia e Germania spendono più di noi. I condannati in via definitiva sono 41.103, che devono pagare le spese di giustizia e quelle per il loro mantenimento in carcere.
Ma solo poco più del 2% salda il conto, gli altri i soldi non li hanno, e le richieste pendenti di carcerati che, una volta fuori, chiedono la cancellazione del debito sono oltre 4.300 l' anno. L'articolo 15 dell' ordinamento penitenziario, individua nel lavoro uno dei pilastri rieducativi, e stabilisce che deve essere assicurato, incentivato, remunerato.
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Vuol dire che durante la detenzione i condannati in grado di lavorare, e che lo desiderano, devono seguire corsi di formazione e svolgere con regolarità un mestiere che li aiuti a reinserirsi nella società. Con la retribuzione potranno così rimborsare lo Stato, aiutare un po' la famiglia, e non trovarsi le tasche vuote a fine pena. La paga è fissata a due terzi di quanto stabilito dai contratti collettivi. Lo stanziamento dello Stato per le retribuzioni dei carcerati nel 2018 ha raggiunto i 110 milioni di euro, (erano 60 fino al 2016). Negli ultimi 2 anni sono aumentate anche le paghe, ferme dal 1994: più 80 per cento.
Nel 2018 i detenuti impiegati in un lavoro erano 17.614 (in calo del 4,3% in numeri assoluti rispetto al 2017). Di questi, il 25% lavora fra le 3 e le 4 ore al giorno, e a rotazione, ovvero un giorno si e due no. Si tratta di attività alle dipendenze dell' amministrazione penitenziaria: addetti alle pulizie e alla cucina, alla manutenzione ordinaria del fabbricato, lavanderia, spesa, cuochi e aiuto cuochi, oppure piantoni, scopini e scrivani.
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Anche la remunerazione individuale di conseguenza varia ed è difficilmente quantificabile, se non attraverso i parametri di riferimento: dai 150 euro al mese per uno scopino impiegato 3 ore al giorno, ai 650 euro per il cuoco che ne lavora 6. Dallo stipendio viene trattenuto il vitto: 3,60 euro al giorno. I detenuti che svolgono invece un’attività regolare sono soltanto 2.386 (il 3,9%). Lavorano in carcere per conto di ditte esterne, oppure alle dipendenze di società e cooperative, uscendo la mattina e rientrando la sera. Come avviene in tutta Europa, per chi assume carcerati, la legge prevede sgravi fiscali: i 4 milioni di euro a disposizione nel 2019 sono stati richiesti da 9 società.
In totale quindi circa il 29% svolge una mansione, il grosso una tantum, e fa mestieri difficilmente spendibili una volta scontata la pena. Gli altri sono tenuti per anni a giocare a carte o a guardare la tv, e non bastano le lodevoli, e pur indispensabili, attività culturali date in gestione alle cooperative o quelle del volontariato. Se si esclude il modello avanzato del carcere di Bollate, dove su 1.288 detenuti lavorano in 500, e il tasso di recidiva non supera il 18%, il risultato è un costo sociale incalcolabile. Le statistiche sono chiare: il 68,4% di chi non ha svolto nessuna attività torna a delinquere, il tasso si riduce all' 1% per chi è stato inserito in un circuito produttivo.
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Il problema è che i 110 milioni stanziati dallo Stato per le retribuzioni non bastano a far lavorare tutti. E chi, pur di non stare a far niente è disponibile a lavorare anche gratis, non ne ha la possibilità, proprio perché in assenza di remunerazione, ogni impiego è considerato «lavoro forzato».
Eppure affidare lavori di regolare manutenzione carceraria, per esempio, eviterebbe quel degrado che poi viene tamponato con appalti esterni, e sarebbe utile anche per ridurre il sovraffollamento per cui l' Italia paga multe all' Europa.
Nelle nostre carceri ci sono 10.000 detenuti in più rispetto ai posti disponibili, anche a causa di camerate o intere sezioni fuori uso per inagibilità o lavori in corso: al 14 febbraio 2019 quelle inutilizzabili sono pari al 6,5% del totale. I casi limite: ad Arezzo da più anni su 101 posti solo 17 sono disponibili, a Gorizia 24 dei 57 previsti, e in Sardegna il 13% dei posti ufficiali è inutilizzabile.
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Le carceri francesi e tedesche non sono messe molto meglio delle nostre, però riescono a far lavorare rispettivamente quasi il 50 e il 65% dei detenuti. Sta di fatto che il tema dei soldi per le retribuzioni è comune in tutti i Paesi occidentali, ma in Olanda, Irlanda, Austria e alcuni Stati americani hanno affrontato la questione con un altro ragionamento: siccome devo far lavorare tutti, ma i soldi per pagarli non li ho, l'Amministrazione penitenziaria calcola uno stipendio virtuale, dal quale trattiene le spese di giustizia e di mantenimento, e dà al detenuto la differenza.
Dentro al carcere vengono organizzate attività che rendono la struttura indipendente (muratori, falegnami, sartoria) e stipulati accordi con aziende private. L'Amministrazione incassa il dovuto e retribuisce il detenuto applicando lo stesso meccanismo. Quasi tutti accettano il programma, e in cambio ottengono sconti di pena, più visite, permessi e un mestiere in tasca quando escono. Il risultato: recidive bassissime. In Italia si fa il contrario.
Uno degli obiettivi della riforma dell' ordinamento penitenziario dell' ottobre 2018 è di incentivare i lavori di pubblica utilità presso i Comuni o altri enti pubblici.
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I detenuti ricevono un corso di formazione qualificante e dopo un primo periodo di attività volontaria e gratuita potranno ottenere un sussidio finanziato dalla Cassa Ammende. Ma i numeri sono ancora bassi: i detenuti coinvolti dai Comuni sono stati 4.500 di cui 1.000 a Roma. La Capitale li sta impiegando a rotazione per la manutenzione stradale, la pulizia del verde e il rifacimento delle strisce pedonali. Ma la maggior parte dei sindaci temono le «paure» dei loro cittadini, e così preferiscono lasciare strade, muri e giardini sporchi .
Oltre che incentivare il lavoro, per i condannati a pene lievi, è considerata necessaria anche la revisione dei criteri per l'accesso alle misure alternative alla detenzione, come l'affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà e la liberazione anticipata. Sono misure già adottate da tempo e con successo nel Nord Europa.
Era quanto previsto sempre nel provvedimento di revisione dell' ordinamento penitenziario, ma il decreto attuativo è stato stoppato a ridosso delle elezioni del 4 marzo 2018 e da allora la riforma langue. In tutto questo, per Strasburgo il nostro problema più urgente è cancellare la legge che vieta i permessi premio agli ergastolani mafiosi. E la Consulta gli ha dato pure ragione.