Elisabetta Ambrosi per “il Fatto Quotidiano”
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Lo disse anni fa Daniele Luttazzi: "C' è una grande differenza tra una prostituta e certi giornalisti: ci sono cose che una prostituta non fa". L'aforisma torna perfetto nei giorni delle polemiche tra (autodichiarata) stampa libera e vertici dei 5 Stelle, uno dei quali ha definito "puttane" i giornalisti, con conseguente ridda di dichiarazioni e contro-dichiarazioni al vetriolo. Ma se c'è qualcuno che dovrebbe scandalizzarsi sono soprattutto loro, le puttane.
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Chiamate in ballo ogni volta che c' è da screditare qualcuno nel modo più ingiurioso possibile perché "puttana", ancora oggi, è sinonimo per antonomasia del "vendersi per denaro". Peccato che ci sia una differenza abissale tra il mettersi al servizio di qualcuno per danneggiare altri e il fare sesso a pagamento: un atto di cui nessuno si scandalizza più, infatti, ma che le leggi considerano ancora riprovevole, se è vero che non può esserci una prostituzione tranquillamente legalizzata e, quindi, anche più sicura.
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Non è retorica: prostitute ed escort impediscono che la violenza deflagri. Tengono bassi i livelli di stress di milioni di uomini, spesso prendendosi cura di loro, emotivamente oltre che fisicamente. Fanno sì che i loro fluidi si scarichino, abbassando la soglia della rabbia (e quindi facendo un favore ai politici e alla casta). Eppure, ironia della sorte, mentre le puttane metaforiche sono visibili, le vere puttane non esistono.
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Nessuno parla di loro, neanche quando vengono uccise, fatte a pezzi, soffocate: non hanno diritto a una pagina sui giornali, come le donne uccise dai mariti e dai compagni. Loro, che lungi dal traviare i nostri uomini sono quelle che - forse - i nostri uomini li rendono persino meno peggiori. E allora sarebbe forse ora di smettere di usare il termine "puttana" per insultare. Politici e giornalisti, per favore, troviamone uno migliore.
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