pugilato a mani nude
James Dunn per “Mail On Line”
I lottatori si confrontano in cambio di enormi ricompense in luoghi nascosti dell’America, dedicandosi a uno sport brutale organizzato da ex gangster. Gli organizzatori sperano che la pratica diventi presto legale e passi dalle strade alle arene, trasformandosi in industria miliardaria.
incontro di fight club
«E’ per puristi del pugilato» dice Danny Provenzano, 51 anni, ex galeotto «e presto diventerà simile a un qualsiasi campionato di boxe». Di incontri lui ne ha organizzati almeno 60: «La boxe a mani nude richiede più abilità di quella coi guantoni. Se sbagli, ti rompi la mano. I nostri pugili quindi tirano meno pugni e corrono meno rischi di ferite serie. Si fanno male lo stesso, ma i danni non sono permanenti».
ex marine dreyton jackson
I concorrenti incassano fino a 100.000 dollari a incontro, ma le battaglie si fanno anche gratuitamente, per questioni d’onore. E’ successo la scorsa settimana nell’East Coast, all’interno di un garage.
eddie lynch campione di fight club
Bobby Gunn è considerato il migliore al mondo. Spiega: «Lo faccio per la mia famiglia e per tutti i lottatori che vogliono combattere legittimamente e guadagnarci. Personalmente lo faccio anche per orgoglio, combatto da quando avevo sei anni, e vorrei incontrare il mio rivale Kimbo Slice. Insieme porteremmo questo sport al grande pubblico».
due campioni di fight club
Intatto gli incontri sono illegali e attraggono anche brutti ceffi: «Eravamo in un magazzino di Brooklyn e io mi scontravo con un russo per vincere 100.000 dollari. Ho vinto ma non mi hanno pagato. I russi ci hanno messo una pistola alla testa e ci hanno fatto inginocchiare. Questi incidenti sono rari, ma capitano. Vogliamo far crescere questo sport e legittimarlo, quindi abbiamo vietato le scommesse». Intanto però stanno organizzando un incontro sulla barca, in acque internazionali, dove si può tirare pugni e scommettere a piacere.
danny provenzano organizzatore di incontri
2. PERCHÉ GLI UOMINI SI PICCHIANO E CI PIACE GUARDARLI?
Giulia Zonca per ''La Stampa"
La parola gabbia evoca solo sensazioni sgradevoli eppure un rispettato docente universitario, educato alle buone maniere e ai grandi autori, ha passato un paio di anni della sua vita nel tentativo di entrarci. O meglio di essere capace di uscirne.
bobby gun mister fight club
Jonathan Gottschall, insegnante di inglese in Pennsylvania, ha tentato un esperimento dal vero: per capire cosa spinge gli uomini a fare a pugni, prendersi a calci, insomma, a lottare è diventato un fighter. Uno di quelli che si danno alle arti marziali miste, che passano le sere in palestra e si presentano al lavoro con gli occhi tumefatti, uno di quelli pronti alla sfida estrema e indifferenti alla paura, capaci di ficcarsi dentro alla gabbia appunto, al recinto dove si può arrivare solo drogati di coraggio.
fight club in garage
Non l' uomo che ti aspetteresti in un' aula e infatti quando Gottschall parla di Il professore sul ring lo definisce «progetto», non libro, non saggio perché sarebbe riduttivo dare un' etichetta accademica a pagine che pulsano come i bozzi che lui si è procurato per scriverle.
fight club nei magazzini
Dimenticatevi Fight club , qui non si raccontano le storie di chi lotta se mai il motivo che li spinge a lottare, le pulsioni ancestrali, i duelli di una volta, l' onore, la patria, la famiglia e poi la scazzottata come rito di passaggio dove non si muore ma si diventa solo grandi, i comportamenti di gruppo, «la danza della scimmia» mutuata dal mondo animale, la difesa come ricerca di sé e soprattutto il molto meno nobile istinto di guardare due uomini che se le danno: «I nostri avi consumavano violenza reale, noi consumiamo perlopiù violenza simulata».
fight club in america
Gottschall seduce con il piacere delle ricostruzione: il viaggio che lo porta dalla cattedra alla gabbia è solo apparentemente distante dalla sua esistenza, in realtà usa la testa di professore per inventare un alter ego pugile, solo che poi arriva inevitabilmente il momento di farsi male e non esiste una via intellettuale. Lui dimagrisce, si definisce, impara ad atterrare, a subire ed è tutto uno schema per superare la paura, per trovare la forza, non tanto di vincere quanto di scansare il massacro: «Mi ero allenato quindici mesi per un combattimento durato 47 secondi».
fight club nella east coast
In quei 47 secondi ha davvero scoperto qualcosa di sé?
fight club ambisce a diventare sport legale
«Sono sempre stato attratto dal lato oscuro, ho cercato di entrare in contatto con quella parte. Volevo sapere che significa realmente essere coraggioso però anche cosa si prova a picchiare. Alla fine questo esperimento così lontano dalla mia quotidianità non mi ha danneggiato. Mi sono divertito».
Cioè vuole combattere ancora?
«Il mio fisico non regge. In quei due anni ero sempre rotto, ma a me piaceva davvero».
Sapere come picchiare ha cambiato il suo concetto di limite? È più facile perdere il controllo?
gottschall the professor in the cage
«Direi il contrario, chi sa come far male tende a stare quieto. C' è un grosso malinteso alla base dei combattimenti Ufc o Mma: ciò che succede nella gabbia è violento ma non lo è».
Non è un tentativo di esorcizzare la voglia di supremazia fisica?
gottschall the professor in the cage
«No. Se pensi a te stesso spinto a lottare ti immagini furioso, ferito o in pericolo, se invece davvero decidi di combattere in gabbia lì non sei animato da nessun sentimento negativo. Acquisire la capacità di atterrare un avversario non ha deformato la mia personalità».
Però ora non ha più paura.
«Ne ho sempre, ma non mi sono fatto paralizzare. Ho provato di non essere un codardo».
gottschall the professor in the cage
Avere il coraggio di battersi a calci e pugni può portare anche a trovare il coraggio di battersi per un' idea?
«Imparare che si può resistere alla stanchezza, alla sofferenza serve. Lo puoi applicare a tutto. Io ho usato queste doti per la scrittura: al talento serve la forza».
Quindi solo conseguenze positive da questo esperimento estremo?
«Sì perché l' allenamento o la frequentazione del mondo amatoriale della lotta non ti trasforma in un sadico assetato di sangue. Siamo noi che incapaci di affrontare certe prove ci immaginiamo queste persone come trogloditi che si scannano, in realtà non si tratta di immergersi nel lato disgraziato dell' essere umano solo di aprirsi. In palestra mi sono sentito tosto e orgoglioso però questo benessere non mi ha esaltato, non ha portato conseguenze. So domare meglio i miei istinti perché non ho più nulla da dimostrare».
jonathan gottschall a sinistra
Per dimostrare valore davvero bisogna spingersi a tanto?
«Forse no, è stato il mio viaggio però in effetti ho ritrovato legami con la nobiltà del duello, con la definizione della fierezza che non avrei saputo come risvegliare altrimenti. Va detto che il progetto si è fermato alla fase A: affrontare la paura. La fase B sarebbe stata provare a far male davvero ma non è successo. Non sono diventato abbastanza bravo».
Nel libro lei divide le donne dagli uomini ed è chiaro che non sia una questione di muscoli visto che descrive una lottatrice abile a superare i maschi, ma sul serio crede che i due sessi siano tanto distanti?
«Credo che reagiscono in modo diverso, non in tutto. Anzi, sostanzialmente sono molte di più le caratteristiche comuni solo che l' approccio alla violenza è radicalmente opposto».
jonathan gottschall a sinistra
È uscito dalla gabbia, il prossimo progetto dove la porta?
«Il coraggio servirà per scrivere il primo romanzo, vorrei raccontare di nuovo l' Odissea dal punto di vista di uno dei personaggi. Affascinante e complesso, ma ora sono allenato per resistere».