1. FMI SBUGIARDA I NUMERI DEL GOVERNO
Francesco Semprini per la Stampa
L' Italia veste la maglia nera in Europa con la crescita più bassa del Vecchio continente, superata finanche dalla «cenerentola» ellenica. Sul piano globale la congiuntura economica mostra un po' più di spinta, sebbene all' orizzonte permangano rischi eterogenei tra i quali lo spettro di una guerra commerciale.
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È questa l' istantanea scattata nel World Economic Outlook (Weo), il rapporto del Fondo monetario internazionale pubblicato in occasione degli incontri primaverili congiunti con la Banca mondiale. Un' istantanea che condanna l' Italia in ultima posizione non solo in Eurozona ma anche nell' Unione, con il Pil a +0,8% per il 2017 e il 2018 rispetto allo 0,9% del 2016. Le stime sono in ribasso dello 0,1% e dello 0,3% rispetto a quelle del Weo di ottobre, ma in rialzo dello 0,1% rispetto alla revisione di gennaio. In ogni caso ben inferiori a quelle del Def, che vede il Pil in crescita dell' 1,1% nel 2017 e dell' 1,0% nel 2018. Mentre l' Ocse lo fissa a +1,0% per entrambi gli anni.
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«L' output resta decisamente al di sotto del potenziale, così come quello di altri Paesi europei», spiega il Fmi, che ritrae però una prospettiva più rosea sul mercato del lavoro italiano.
Dopo l' 11,7% del 2016, il tasso di disoccupazione scenderà all' 11,4% nel 2017 e all' 11,0% nel 2018, mentre l' Eurozona segna 9,4% e 9,1%. Il debito pubblico resta sopra il 130%: dopo il 132,6% del 2016, il Fmi prevede un 132,8% del Pil nel 2017 e un 131,6% nel 2018. Sono previsioni migliori rispetto a quelle di ottobre, quando era stato previsto un debito al 133,4% per quest' anno e al 132% nel 2018.
Le stime restano superiori di qualche decimale rispetto a quelle contenute nel Def, che calcola 132,5% nel 2017 e 131,0% nel 2018. Il deficit italiano si attesterà al 2,4% del Pil nel 2017, invece, per poi scendere all' 1,4% nel 2018, a fronte delle previsioni di ottobre a 2,2% e 1,3%. Stime superiori anche in questo caso a quelle del Def, e in base alle quali il pareggio di bilancio per l' Italia ci sarà nel 2022.
fmi
A livello planetario il Fmi rivede leggermente al rialzo il Pil per il 2017 a +3,5%, ovvero 0,1% in più delle stime di gennaio, mentre per il 2018 lo lascia invariato a +3,6%. Un po' più di spinta che rischia di fare i conti con «significativi rischi al ribasso», in primis protezionismo e guerra commerciale: «Sarebbe una ferita auto-inflitta», afferma Maurice Obstfeld, capo economista del Fmi. Un monito rivolto all' America di Donald Trump, come quello sulla deregolamentazione spinta del settore finanziario che potrebbe tradursi in «eccessive prese di rischio e aumentare la possibilità di crisi».
Fra i rischi c' è anche quello di un rialzo «troppo veloce» dei tassi da parte della Federal Reserve , che potrebbe avere un impatto sull' economia globale. Ci sono poi le incognite sul futuro delle Economie emergenti, sebbene ad ora il blocco dei Brics - Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa - continui a crescere. Il Fmi conferma le stime di crescita per gli Stati Uniti, a +2,3% nel 2017 e +2,5% nel 2018. Di gran lunga distaccata Eurolandia, che segnerà un +1,7% per quest' anno e un +1,6% per il prossimo, in rialzo, rispetto alle revisioni di inizio anno.
La sede dell FMI a Washington
«La riprese economica dell' Area Euro procede», ma «l' incertezza di alcune elezioni e le incognite del dopo Brexit potrebbero pesare», sottolinea Fmi. L' uscita dall' Ue non sembra però penalizzare la Gran Bretagna, di cui il Fmi rivede al rialzo di mezzo punto percentuale il Pil per il 2017. Il rapporto afferma che la strategia monetaria della Bce dovrebbe restare accomodante, con spazio per un «ulteriore allentamento in caso l' inflazione non decollasse».
2. IL DEBITO, LE BANCHE E L’INSTABILITA’ POLITICA
Andrea Montanino per la Stampa
Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato le sue previsioni per l' anno in corso e per il 2018. La buona notizia è che non ci sono crisi all' orizzonte e che anzi l' economia mondiale cresce più di quanto previsto solo sei mesi fa. La Brexit aveva portato gli economisti di Washington a immaginare una forte contrazione della crescita inglese; oggi il pericolo sembra rientrato e la revisione al rialzo è addirittura di 0,9 punti percentuali per il 2017, cosa abbastanza inusuale.
tabella Fmi
Lo stesso vale per gli Stati Uniti, dove l' attesa di politiche fiscali espansionistiche da parte dell' amministrazione Trump - tagli di tasse e spesa pubblica - spinge le stime verso l' alto. Tra i tanti segni «più», spiccano purtroppo i «meno» che riguardano l' Italia.
Per il 2017 e 2018 il Fondo monetario stima una crescita ferma allo 0,8 per cento, inferiore alle stime ufficiali del governo della scorsa settimana. Rispetto alle stime pubblicate dal Fondo monetario a ottobre dello scorso anno, il 2017 e il 2018 sono stati rivisti al ribasso rispettivamente di 0,1 e 0,3 punti di Pil. Quindi, mentre il mondo va meglio del previsto, per l' Italia ancora nubi.
Tre fattori influenzano queste valutazioni. Primo, l' alto debito pubblico. Malgrado il consistente calo dei tassi di interesse dovuto alla politica monetaria accomodante della Banca centrale europea, il debito italiano in rapporto al prodotto interno lordo ha continuato a crescere. La preoccupazione è che l' Italia si possa trovare in un futuro non troppo lontano a sostenere costi elevati per finanziare l' ingente debito, una volta che la politica monetaria avvierà la sua normalizzazione.
BANCHE
Secondo, lo stato del sistema bancario. Alti costi, bassa redditività e crediti incagliati trasmettono segnali ai mercati di un sistema ancora fragile e dove i problemi strutturali non sono stati risolti. Non c' è incontro a Washington dove, al momento di parlare di Italia, qualcuno non ricordi il valore dei crediti incagliati, sottolineando che gli altri Paesi europei, Spagna in testa, il problema lo hanno risolto.
Terzo, l' instabilità politica. A prescindere dal fatto che vi saranno o meno elezioni anticipate, l' Italia andrà al voto entro i prossimi 12 mesi in un contesto di forte incertezza sulla capacità dei partiti tradizionali e europeisti di riuscire a fornire un messaggio convincente all' elettorato. In più, la frammentazione che potrebbe derivare dal voto non garantirebbe la governabilità, proprio quando invece ci sarebbe bisogno di una leadership forte capace di dialogare con francesi e tedeschi sul futuro dell' Europa.
BANCHE
I tre fattori brevemente descritti sono naturalmente una rappresentazione parziale della realtà. L' Italia è l' unico Paese al mondo che ha avuto un avanzo primario nel suo bilancio pubblico ininterrottamente per 25 anni (unica eccezione, il 2009); le sue aziende esportano nel mondo prodotti di prima qualità generando un significativo surplus commerciale; importanti riforme della giustizia, della pubblica amministrazione e del lavoro sono già operative o in fase di implementazione; il governo Gentiloni sta continuando l' azione riformatrice intrapresa dal predecessore; grazie all' euro e all' Europa, non sappiamo più che cosa vogliano dire inflazione a due cifre e la svalutazione competitiva.
spagna andalusia
Ma l' Italia continua a rimanere fanalino di coda tra le economie europee, malgrado il contesto internazionale favorevole. Il rischio è che, una volta superate le elezioni francesi, si inizi a guardare all' Italia come all' anello debole. Bisogna allora risolvere quello che c' è da risolvere (banche), chiarire il percorso che porterà alle elezioni, e cambiare la narrativa intorno all' Italia per tornare ad attrarre talenti e capitali.
Un solo numero per capire quanta strada ancora possiamo fare: il valore degli investimenti di aziende americane in Italia è circa 28 miliardi di dollari (dati Bureau of Economic Analysis); in Spagna hanno invece investito 62 miliardi di dollari, più del doppio, in un' economia che è il 30 per cento più piccola della nostra.
Per attrarre investimenti, generare crescita e dunque abbassare il rapporto fra debito e Pil servono le giuste politiche e soprattutto stabilità politica in un orizzonte di medio termine. Sarebbe da dire: facciamo come gli inglesi e andiamo a elezioni, se non ci fosse quell' intoppo della legge elettorale.