DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Anna Lombardi per “la Repubblica”
«Sono fiero di quello che ha fatto Nancy Pelosi. La sua determinazione nel visitare Taiwan ha mostrato il bluff di Pechino. Ha dimostrato che la Cina non può interferire con le regole internazionali e stabilire dove e quando si può volare. La sua missione va considerato un successo. Incoraggerà altri a schierarsi apertamente a fianco di Taiwan». Il generale a riposo Ben Hodges, 64 anni, dal 2014 al 2017 al vertice del Comando dell'esercito degli Usa in Europa dopo aver guidato truppe in Iraq e aver comandato il Pakistan Afghanisan Coordination Cell, oggi è analista del Cepa, Center for european policy analysis .
Pelosi ha lasciato Taipei senza conseguenze. Ma caccia cinesi hanno violato lo spazio di Difesa aereo dell'isola. E sono in corso importanti esercitazioni ai margini dello stretto di Taiwan...
«La Cina ha fatto e farà ancora molto rumore. Ma è tutto a beneficio interno. Il presidente Xi Jinping, lo sappiamo, è in cerca di un terzo mandato che dovrà essere confermato ad ottobre. Intanto però ha problemi economici e di salute pubblica interni molto seri. Ovvio che vuol mostrare forza in casa sua a beneficio di telecamere e propaganda tv».
Non teme una possibile escalation?
«È possibile, ma improbabile. Non siamo sull'orlo di una guerra o di un'invasione. I cinesi violano regolarmente lo spazio aereo di Taiwan. Lo scorso gennaio sono arrivati addirittura a 39 passaggi in un solo giorno, ben più di ieri. È un tipo di provocazione tesa a irritare l'avversario, certo. Usata, per dire, anche dai russi nel Baltico e sul Mar Nero. Si somma alle esercitazioni militari in mare, è vero. Ammetto che non è sano, ma soprattutto perché comporta il rischio di incidenti che, quelli sì, condurrebbero a qualcosa di più grave. Invece difficilmente avverrà qualcosa di intenzionale. I cinesi conoscono i loro limiti, sanno di essere anni indietro rispetto alla possibilità di dominare un eventuale conflitto».
Sta dicendo che non sono abbastanza forti?
«Avere molte navi non vuol dire possedere una grande Marina: adeguata, cioè, a condurre una guerra che si combatterebbe soprattutto in mare. Col rischio di coinvolgere l'intera regione pacifica provocando i potenziali interventi di Australia e Giappone, militarmente potenti e ben organizzati».
In quel caso gli Stati Uniti cosa farebbero? Qual è la linea rossa di Washington?
«Non posso dirlo con certezza. La politica estera americana nei confronti di Taiwan è sempre stata all'insegna dell'ambiguità strategica: riconosciamo il governo di Pechino ma forniamo armi di difesa a Taipei. Taiwan non è un nostro alleato diretto. Non c'è, per intenderci, lo stesso legame che esiste ad esempio con l'Italia. Voi siete membri della Nato, se vi attaccano interveniamo. Sull'isola la scelta sarebbe politica. Se Taiwan venisse invasa saremmo di fronte a uno Stato democratico aggredito dall'autocratico vicino. Bisognerebbe fare delle scelte etiche ma pure di opportunità geopolitica ed economica. Diciamo che per gli Stati Uniti, per ora, è preferibile mantenere lo status quo».
Pechino è però molto irritata. Cosa può fare Biden ora?
«Deve continuare a cercare il dialogo su questioni cruciali come commercio, energia, sicurezza. In tal senso spero che l'auspicato faccia a faccia con Xi in autunno si faccia: dobbiamo impedire che la Cina s' innervosisca al punto di voler pesare sulla guerra Ucraina».
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