1. TERREMOTO ED IMPEGNI INTERNAZIONALI ALLONTANANO LE URNE
Federico Geremicca per la Stampa
Un coro. Apparentemente generale. Che sarà arrivato magari attutito nelle austere sale del Quirinale, ma non fino al punto da non esser comprensibile. Il coro dice «al voto, al voto». E preannuncia, dunque, altre giornate non facili per Sergio Mattarella. È la reazione - largamente diffusa e largamente prevedibile - con la quale gran parte delle forze politiche ha accolto le decisioni della Corte Costituzionale sul cosiddetto Italicum.
meloni salvini a firenze
Da Grillo a Renzi, da Salvini alla Meloni, molti chiedono di stringere i tempi e tornare in fretta alle urne. Qualcuno lo vorrebbe davvero, sentendo il vento teso nelle vele; qualcun altro lo dice per far sapere, semplicemente, di non averne paura. Ma sottotraccia già si intravedono - al di là degli orientamenti del Quirinale, che vorrebbe una normale conclusione della legislatura - ostacoli oggettivi e volontà politiche capaci di rendere la strada verso le elezioni una difficile corsa a ostacoli.
BEPPE GRILLO VOLEVA REFERENDUM PER USCIRE DALL EURO
Il perché è presto detto. Il giudizio della Corte Costituzionale, in realtà, consegna al Parlamento una legge solo teoricamente «di immediata applicazione». L' Italicum, infatti, non è stato «raso al suolo»: la Consulta ha sì cancellato il ballottaggio tra i due maggiori partiti (in caso nessuna forza politica raggiungesse il 40% al primo turno) ma ha dichiarato legittimo il premio di maggioranza. Ciò rende la nuova legge del tutto disomogenea rispetto a quella del Senato (interamente proporzionale) imponendo al Parlamento la necessità di intervenire. Ed è appunto attorno a questa necessità che già si sente un sinistro tintinnar di sciabole.
berlusconi con gli amministratori di forza italia 5
A non volere elezioni entro la primavera sono Forza Italia, i gruppi centristi e mezzo Pd (la cosiddetta minoranza). Vorrebbero invece un voto in tempi brevi tutte le forze definite anti sistema (da Grillo a Salvini) e la parte di Pd fedele a Matteo Renzi: ma i fautori di un ritorno immediato alle urne sono divisi e in disaccordo tra loro circa la legge con la quale riandare al voto. La maggioranza del Pd intende infatti difendere quel che sopravvive dell' impianto maggioritario dell' Italicum e spinge per un ritorno al Mattarellum, mentre Grillo, Salvini e Meloni si dicono pronti a tornare alle urne anche con una legge del tutto proporzionale.
TRATTATO DI ROMA
La partita, insomma, comincia ora: ed ha sbocchi imprevedibili. Si svolgerà in un clima tra i peggiori degli ultimi anni, nel quale le difficoltà e gli impegni che sono di fronte al Paese (dalla ricostruzione ai problemi economici, fino al G7 di fine maggio) sembrano contare poco o nulla rispetto alle fortune di questo o quel partito. Eppure, al di là dei tempi del voto, il bivio che è di fronte al Parlamento è di quelli storici: proseguire sulla via del maggioritario o tornare indietro (molto indietro...) rispolverando un sistema proporzionale?
La scelta da compiere non è semplice, ed è difficile fare previsioni. Una sola cosa può esser considerata certa: e cioè che non sarà facile per il Presidente della Repubblica portare a scadenza naturale una legislatura che già era boccheggiante e che ora, dopo la sentenza della Consulta, pare in piena e irreversibile agonia.
2. MATTEO SCALDA I MUSCOLI MA NON STRAPPA CON MATTARELLA
Tommaso Ciriaco e Carmelo Lopapa per la Repubblica
RENZI ASSEMBLEA PD2
È il calcio d’inizio della partita elettorale, il segnale che diceva di aspettare. Matteo Renzi la vive così e scalda i muscoli. «Calma e gesso - predica quasi euforico ai suoi al Nazareno - Tenteremo di tornare al Mattarellum, ma con queste leggi della Consulta si può già andare a votare». Non più tardi di giugno, anche se il “partito del rinvio” resta sempre in agguato.
Per come si erano messe le cose dopo il referendum, la Corte non poteva fare altro che cancellare il ballottaggio. «Il doppio turno - confida l’ex premier - era già morto il 4 dicembre». La sentenza, nell’ottica renziana, diventa un punto a favore. Di più, un punto a favore delle urne. Non è il solo a pensarla così, dato che pochi minuti dopo il responso Grillo e Salvini (non Luigi Di Maio, che chiede «correttivi al Senato») urlavano già “al voto, al voto” con il “Legalicum”. Resta fuori, si mette di traverso e minaccia barricate soltanto Silvio Berlusconi.
RENZI ASSEMBLEA PD1
L’ex premier, tornato in maniche di camicia, è chiuso nella stanza da segretario al Nazareno. Intorno alla scrivania, nel giorno in cui licenzia con un sms l’intera segreteria, resta la cerchia davvero ristretta dei fedelissimi. Niente trionfalismi, è la parola d’ordine, non tira aria di questi tempi. E poi non è il momento di far rullare i tamburi, con i terremotati da assistere, le banche da tenere d’occhio, gli importanti dossier che il governo Gentiloni deve mettere al sicuro, primo tra tutti quello dei conti pubblici. Detto questo, per Renzi il pronunciamento dei tredici giudici della Corte è né più né meno che la conferma della tenuta costituzionale della sua legge elettorale.
Resta in piedi il premio di maggioranza, sopravvivono perfino le pluricandidature. Ci sono insomma le condizioni per andare a votare così, per il leader dem. Tanto più con la Lega e il Movimento che si agitano nelle piazze: «Non possiamo dare l’impressione di essere quelli che hanno paura del voto - è il ragionamento del segretario - anche perché non è così e siamo ancora il primo partito».
IL BLOG DI RENZI
Ci saranno dei passaggi da consumare e saranno consumati. Il Pd attenderà senza eccessive forzature le motivazioni della Consulta, entro il 25 febbraio, sarà aperto un tavolo con le altre forze politiche, «vedremo se davvero hanno intenzione di cambiare le regole o piuttosto di tirare per le lunghe». Se andrà bene, qualche ritocco lo si farà in poche settimane, altrimenti dritti al voto. Renzi, d’altra parte, si sente già in campagna elettorale. Prima tappa, la due giorni di Rimini di domani e domenica con gli amministratori, alla quale potrebbe fare la sua comparsa anche il premier Paolo Gentiloni. E se è per questo, il segretario ha deciso perfino dove si misurerà: collegio senatoriale in Toscana, perché vuole entrare in Parlamento «a suon di preferenze».
GOTOR
L’umore è schizzato a mille, la sentenza vissuta come una rivincita sulla sinistra interna. I volti dei big della minoranza, ieri in Transatlantico, non sprizzavano certo gioia. Con questo sistema, per loro, le vie di fuga sembrano minime. «A dire il vero - sostiene Miguel Gotor - cade l’idea renziana iper maggioritaria della democrazia del capo». Il problema è che proprio il capo avrà in mano le liste elettorali. «Me l’ha detto anche un leader che ho sentito oggi - racconta in privato l’ex premier - “Matteo, ora avete il coltello dalla parte del manico”». Vale anche nei confronti degli altri capicorrente.
FRANCESCHINI 2
I cento capilista li selezionerà il segretario, mentre gli altri dovranno combattere furiosamente a colpi di preferenze per un esiguo bottino di seggi. Ed è proprio in questo delicato braccio di ferro tutto interno al Pd che si decideranno i tempi del ritorno alle urne. Serve un patto tra le diverse anime, oppure sarà scontro. E se Matteo Orfini è al fianco del leader, Andrea Orlando ha qualche dubbio in più sulla rincorsa elettorale. Per non parlare di Dario Franceschini e del resto del “partito del rinvio”.
BRUNETTA
E Forza Italia? «Renzi farà “’o pazz” per andare a votare, ma lui non è il Pd», provoca a Montecitorio Renato Brunetta, reduce da cinque minuti di colloquio in buvette con il ministro pd Anna Finocchiaro. Il fatto è che per Silvio Berlusconi l’affare si complica non poco. Il Cavaliere - che ieri è finito di nuovo al San Raffaele per esami - ha l’esigenza primaria di guadagnare tempo e di allontanare le elezioni, nell’attesa della sentenza della Corte europea sulla sua candidabilità che dovrebbe arrivare entro il 2017.
GHEDINI
Altro che urne subito, insomma. Prima del ricovero i big riescono a sentirlo. E la linea non cambia: «Questo sistema non ci favorisce », detta il Cavaliere. Ha il vantaggio dei capilista bloccati, ma tiene in vita le odiate preferenze. Con la bozza che hanno invece messo a punto Ghedini e Letta un mix di mini collegi e proporzionale - sogna di riportare in Parlamento almeno 150 fedelissimi. Sfilandosi dalla stretta di Salvini.