• Dagospia

    IL GIORNALISMO SECONDO BLOOMBERG PREVEDE ANCHE IL CONFLITTO DI INTERESSI (QUANDO LA FONTE E IL CLIENTE COINCIDONO)


     
    Guarda la fotogallery

    Leonardo Maisano per "Il Sole 24 Ore"

    L'ambizione è rifondare la regola aurea del giornalismo anglosassone. Alle cinque W a cui un reporter deve attenersi (who, what, when, where, why ovvero chi, che cosa, quando, dove, perché) Bloomberg oppone le cinque F (Factual, first, fastest, final, future): la summa del cronista nell'era avviata dal sindaco di New York è costretta, così, fra il rigore dei fatti che predilige soggetto e verbo ad aggettivo e avverbio; la corsa per il primato nel diffondere la notizia; la velocità nel darne il seguito; l'autorevolezza della fonte; la contestualizzazione nello scenario prossimo venturo.

    TERMINALI BLOOMBERG jpegTERMINALI BLOOMBERG jpeg

    Cinque effe da moltiplicare per cinque a dar retta al Bloomberg-pensiero che s'appella a "cinque pezzi facili", con evidente richiamo al film-capolavoro del regista Bob Rafelson. Le effe che illuminano il giornalista vanno declinate, negli articoli, con cinque aree specifiche. «Per la gente che conta nessuna storia è davvero completa senza riferimenti a five easy pieces: mercati, economia, governo, politica e imprese».

    Parola di Matthew Winkler editor in chief di Bloomberg news l'uomo che nel novembre del 1989, quando era per sua stessa ammissione «probabilmente il più felice reporter del Wall Street Journal», fu chiamato da Michael Bloomberg a creare l'area editoriale di un business già consolidato.

    MICHAEL BLOOMBERGMICHAEL BLOOMBERG

    Lo si legge in "Bloomberg Way", un manuale cresciuto dalle 30 pagine originarie, zeppe dei codici di condotta per i reporter, alla realtà di oggi, volume di 379 pagine che ordina anche dove mettere le virgole. La summa della filosofia Bloomberg è illustrata con maniacale dettaglio e una stridente contraddizione alla luce dello scandalo sul promiscuo intreccio fra tutela della privacy dei clienti privati (coloro che usano i terminali per transazioni finanziarie) ed ansie di scoop giornalistici.

    «The Bloomberg Way - scrive Matthew Winkler nel libro - obbliga il reporter ad essere agente del lettore, mai agente della fonte. Gli utilizzatori di Bloomberg sono uomini e donne influenti... gente che quando si sveglia è consapevole che non conoscere anche una sola informazione può bastare a rovinarli...».

    BLOOMBERG MARKETSBLOOMBERG MARKETS

    Il panegirico del cliente è apprezzabile, il problema nasce quando la fonte è anche... cliente. Di un'area diversa della galassia Bloomberg, si dirà. Eppure galassia aperta alle scorribande dei reporter che aspirano ad essere "agente del lettore".

    Un conflitto d'interessi che a dare retta alla testimonianza anonima raccolta sul Financial Times da Andrew Edgecliffe-Johnson avrebbe già prodotto bizzarri comportamenti. «Una banca europea - ha scritto - era così preoccupata che i cronisti potessero scoprire il licenziamento di un trader da discutere l'ipotesi di tenere attiva la sottoscrizione al terminale anche dopo l'uscita dal gruppo dell'utente».

    Conflitto d'interessi in qualche modo accennato nell'autobiografia di Michael Bloomberg laddove si legge che «in ogni storia dovrebbe essere sottolineata, con attenzione all'etica, la capacità analitica dei terminali Bloomberg».

    TERMINALE BLOOMBERGTERMINALE BLOOMBERG

    Bloomberg way ci spiega che il cronista ideale deve «fare il titolo prima di scrivere l'articolo» per allenarsi a identificare la notizia. Il decalogo del giornalista perfetto insiste, così, su onestà, diligenza senso di responsabilità e umiltà. Il consiglio, o meglio il comando, che ne consegue è evidente. «Vuoi fare uno scoop? Preparati. Nulla rende le persone più fortunate di coloro che hanno un'adeguata preparazione».

    Il che parrebbe escludere ogni possibile caduta d'occhio sui terminali per scrutinare i comportamenti dei clienti alla ricerca di scorciatoie per assestare un bel colpo giornalistico.
    Per questo il danno che il gruppo ha inflitto a sè stesso sbatte, drammaticamente, con le prime righe di pagina 90 del manuale per giovani reporter. «Il nostro nome è Bloomberg - si ripete a ritmo battente - ed è un buon nome, non dobbiamo danneggiarlo con parole o azioni. La sola apparenza di comportamenti impropri causa danni alla reputazione pari a quelli di un autentico atto improprio... il conflitto d'interessi è un rapporto economico, politico, personale che può compromettere l'imparzialità del giornalista... ». Non si può che essere d'accordo, assolutamente d'accordo....

     

     

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport