Annalisa Lo Monaco per "www.vanillamagazine.it"
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Un ragazzo ebreo di soli diciassette anni, un omicidio politico poi spacciato come passionale, e la famigerata Notte dei Cristalli: un filo rosso, che nel corso dei decenni si è sfilacciato fino a quasi a scomparire dalla memoria, lega il gesto criminale del giovane Herschel Grynszpan a quella notte, tra il 9 e il 10 novembre del 1938, durante la quale i nazisti distrussero negozi, abitazioni, cimiteri e luoghi di preghiera degli ebrei, oltre a rastrellare circa 30.000 uomini, condotti nei campi di concentramento. L’inizio dello sterminio di massa del popolo ebreo.
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Impadronirsi di tutti i beni degli ebrei per sanare il debito pubblico era da tempo lo scopo delle autorità naziste, che comunque approfittarono di un fatto di cronaca, l’assassinio di un diplomatico tedesco per mano di un giovane ebreo, per scatenare quella che agli occhi del mondo doveva essere una rappresaglia per quell’attentato, consumatosi a Parigi il 7 novembre 1938, proprio all’interno dell’ambasciata tedesca.
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Il gesto di Grynszpan era la dimostrazione, secondo i nazisti, della volontà di distruzione del popolo ariano da parte degli ebrei di tutto il mondo. Invece, l’autore del crimine era un ragazzo di appena 17 anni, Herschel Grynszpan, che, nonostante la giovane età, aveva già dovuto superare parecchie difficoltà.
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Era nato nel 1921 ad Hannover, in una numerosa famiglia di ebrei polacchi, emigrati in Germania nel 1911. I Grynszpan, che vivevano assai modestamente, ebbero sempre e solo la cittadinanza polacca, compresi i figli nati in territorio tedesco.
A 14 anni Herschel si iscrisse a una scuola ebraica di Francoforte, ma dopo un anno se ne tornò a casa, per cercare un lavoro come apprendista, che non trovò perché ebreo. Cercò anche di ottenere il visto per emigrare in Palestina, che gli fu rifiutato in considerazione della sua giovane età.
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Forse consigliato da qualcuno, il ragazzo, con il consenso del padre, decise di emigrare in Francia, dove vivevano degli zii. Herschel passò attraverso il Belgio per eludere la sorveglianza franco-tedesca alla frontiera, e dopo qualche giorno trascorso a Bruxelles da un lontano parente (disposto a ospitarlo per un tempo limitatissimo) riuscì a entrare clandestinamente in Francia. Era il settembre del 1936.
Il paese, una volta accogliente con i rifugiati, stava cambiando politica verso gli immigrati, e il ragazzo non riuscì a regolarizzare la propria posizione, tanto che l’11 agosto del 1938 ricevette un provvedimento di espulsione, che decise di ignorare. I suoi documenti erano scaduti, la Polonia aveva tolto la cittadinanza a tutti coloro che risiedevano all’estero da più di cinque anni, e lui, diventato improvvisamente apolide, non poteva più essere accolto in nessun paese.
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A fine ottobre, mentre viveva da clandestino a Parigi, ricevette una notizia che lo scosse profondamente: i suoi familiari, che vivevano ancora ad Hannover, erano stati portati (insieme ad altre migliaia di ebrei polacchi) al confine tra la Germania e la Polonia, che rifiutò di accoglierli.
Il 3 novembre Hershel ricevette una cartolina dalla sorella, che gli chiedeva denaro per affrontare la difficile situazione di stallo alla frontiera polacca. Forse fu proprio la richiesta d’aiuto da parte della famiglia a far maturare la decisione di compiere un gesto eclatante, che avrebbe dovuto portare all’attenzione del mondo intero la tragica situazione degli ebrei in Germania.
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La mattina presto del 7 novembre Herschel Grynszpan andò all’ambasciata tedesca, e sparò tre colpi di pistola alla pancia di Ernst vom Rath, un giovane diplomatico nazista noto nella capitale francese come assiduo frequentatore di locali gay (particolare che si rivelerà successivamente non privo d’importanza).
Rath morirà due giorni dopo, e al suo omicidio venne dato un enorme risalto: tutti i quotidiani tedeschi riportarono la notizia in prima pagina, ma se ne occuparono anche i giornali di molte altre nazioni, Stati Uniti compresi, dove l’assassinio del diplomatico fu paragonato a quello dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo, che aveva scatenato la prima guerra mondiale.
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Herschel venne subito arrestato dalla polizia francese, e giustificò il gesto come una vendetta per le persecuzioni subite dagli ebrei da parte dei nazisti. E poi si sfogò con queste parole: «Essere ebreo non è un crimine. Io non sono un cane. Io ho il diritto di vivere ed il popolo ebraico ha il diritto di esistere su questa terra. Dovunque sia stato sono stato inseguito come una bestia».
Il 9 novembre, giorno della morte di Rath e 15° anniversario del Putsch di Monaco, nonché 20° della sconfitta tedesca nella Prima Guerra Mondiale, sarà da allora ricordato anche per quella terribile notte passata alla storia come Kristallnacht.
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La comunità ebraica internazionale prese le distanze dal gesto di Grynszpan, definito come un gesto di follia commesso da un singolo, seppure in seguito all’intollerabile trattamento riservato agli ebrei all’interno del Terzo Reich.
Grynszpan, che rimase in un carcere minorile parigino fino al giugno del ’40, non fu mai processato dalle autorità francesi. Nel luglio del 1940, quando il paese si era arreso ai tedeschi, il ragazzo fu prelevato e spedito in Germania. Il ministro della propaganda nazista, Joseph Goebbels, voleva istruire uno spettacolare processo contro il ragazzo, per dimostrare che a progettare l’omicidio di Rath era stata una “congiura internazionale ebraica”. Argomento che avrebbe in qualche modo giustificato, di fronte al mondo, le violenze commesse durante la Notte dei Cristalli.
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Goebbels tuttavia aveva sottovaluto il giovane Herschel, che riuscì a contrastare i piani del ministro nazista, declassando il suo omicidio da politico a passionale. Disse che tra lui e la vittima era in corso una relazione sentimentale, finita tragicamente perché il diplomatico tedesco non aveva mantenuto la promessa di aiutarlo a regolarizzare la sua posizione. Questa testimonianza avrebbe talmente screditato la vittima, e più in generale i nazisti, che Goebbels rinunciò al processo.
Ma che fine fece Grynszpan?
Fu internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, dove la sua presenza è documentata fino al 1942. Si presume che sia morto prima della fine della guerra, ma secondo alcuni voci che circolarono dopo la fine del conflitto, riuscì a salvarsi e a rifarsi una vita in Francia sotto falso nome.
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Voci mai suffragate da prove, finché una ricerca negli archivi del Museo ebraico di Vienna non hanno riportato il caso Grynszpan alla ribalta. Una fotografia del luglio 1946, scattata in un campo di sfollati nel sud della Germania, sembrerebbe ritrarre proprio Herschel, con una probabilità del 95%, secondo i test condotti.
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La possibilità che sia sopravvissuto alla detenzione in un campo di concentramento non rende meno tragica la storia di Herschel Grynszpan, un ragazzo che volle compiere un gesto eroico, ma che trovò il coraggio di uscire dalla storia, forse raccontando una bugia, pur di lottare contro quel male assoluto che era il nazismo.
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