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Aris Roussinos per Unherd.com
https://unherd.com/newsroom/gladiator-ii-the-perfect-film-for-americas-declining-empire/
Ridley Scott è un bravo regista? È sorprendentemente difficile dirlo, così come è difficile dire, anche dopo aver visto Il Gladiatore II, se sia o meno un buon film.
Eppure il Gladiatore originale era un film perfetto, allo stesso modo in cui una canzone pop trash di tre minuti può essere perfetta. Una creazione del sistema degli studios che lavorava a pieno ritmo entro i limiti del genere, un prodotto progettato per piacere al maggior numero di persone possibile, ha comunque raggiunto una sorta di immortalità: la forma più pura, quasi platonica, del film di Hollywood.
Il sequel, nonostante un po' di violenza spettacolare, non tanto. Ma le differenze tra i due film, nonostante le loro trame quasi identiche, evidenziano come la cultura sia cambiata nel quarto di secolo intercorso.
Un titano dell'industria più che un autore, il fascino di Scott sta nel modo in cui assorbe e irradia le energie più ampie della cultura che lo circonda. Se nel 2000 ‘’Il gladiatore’’ ha reinventato l'epica spada e peplum nel momento preciso dell'apice imperiale dell'America, ‘’Black Hawk Down’’ del 2001, attraverso la misteriosa preveggenza del suo tempismo, ha colto l'umore della Guerra globale al terrore.
RUSSELL CROWE E RIDLEY SCOTT SUL SET DEL GLADIATORE
La sua epica più o meno esplicita della Guerra al terrore, “Le crociate- Kingdom of Heaven” del 2005, ha ancora il potere di frustrare e deliziare in egual misura, riformulando le Crociate attraverso la lente del liberalismo dei Boomer, assorbendo la visione del mondo dell'allora di moda Nuovo Ateismo.
Con il poco esaltante ‘’The Last Duel’’ del 2021, Scott aveva orientato la sua arte verso l'ondata #MeToo: gli entusiasmi dello zeitgeist attuale entrano nella mente del regista come materia prima e vengono sfornati, elaborati e confezionati come uno spettacolo patinato.
Cosa ci dice Il Gladiatore II sullo zeitgeist del 2024? È un film sorprendentemente di destra: se la trama fosse delineata in modo netto, potrebbe essere una sceneggiatura di Mel Gibson. Un umile contadino sposato vede la sua terra natale invasa; sua moglie viene uccisa e lui viene trascinato nella metropoli di un impero troppo esteso, ormai sprofondato nella decadenza.
La Roma del ‘’Gladiatore II’’ è più sporca e decrepita di quella del Gladiatore: la sua popolazione, solita a bruciare la città in proteste infuocate ma pacifiche, è significativamente più diversificata. Nel nazionalismo civico del sogno romano perduto, espresso con malinconia da un gladiatore indiano diventato guaritore, Scott rende esplicitamente la sua Roma l'America moderna.
donald trump a mar-a-lago - foto lapresse
Facendo eco al Francis Fukuyama di ‘’The Last Man a The End of History’’, Denzel Washington pronuncia un discorso eccentrico su Thymos per giustificare il suo desiderio di far crollare l'edificio marcio. "Roma deve cadere", dice. "Devo solo darle una spinta".
I malvagi imperatori gemelli, la fonte del marciume morale nel cuore dell'impero, sono bambini effeminati e viziati: nell'interpretazione di Scott sono anche esplicitamente, sorprendentemente queer nel senso moderno. La brusca svolta del film dall'estetica e dalla moralità dominanti degli anni 2010 è davvero sorprendente.
Se la Roma del Gladiatore era ancora la città splendente su una collina (o sette), che aveva semplicemente perso la strada attraverso il governo fortuito di un cattivo imperatore, la Roma del sequel è intrinsecamente malvagia, sfacciatamente immorale al centro e dedita a guerre straniere senza scopo.
"Conosco il caos che hanno creato", ci viene detto dei Romani. "Questa città è malata". Lo stesso regista teme per il prossimo futuro. "Il grande lupo buono, gli Stati Uniti, diceva sempre: 'Non farlo'. Tutto questo è sparito", ha detto in un'intervista questa settimana. "Penso che ci sia qualcosa di ancora peggio in futuro". O, come lamenta un personaggio: "Il sogno di Roma è la fantasia di un vecchio... non esiste un'altra Roma".
Creando un blockbuster di massa che è dark, pessimista e cinico nei confronti della società che l'ha prodotto, involontariamente o meno, Scott ha catturato lo zeitgeist trumpiano che gli turbinava intorno. Ancora una volta, il suo eroe outsider deve prosciugare la palude, questa volta per sempre. Ma anche se lascia la porta aperta per un altro sequel, la storia limita le sue scelte: non c'è ritorno dall'impero decadente alla repubblica virtuosa. Sappiamo già come finisce la storia.
ridley scott matt damon the last duel 1RIDLEY SCOTT RUSSELL CROWEdonald trump a mar-a-lago - foto lapressethe last duel 3Ridley Scott
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