Tina A. Commotrix per Dagospia
RISTORANTE DAL BOLOGNESE PIAZZA DEL POPOLO
“Al Bolognese” non chiude a Roma, ma il passaggio delle consegne ai nuovi proprietari del ristorante di piazza del Popolo sembra chiudere definitivamente una lunga stagione avviata dalla famiglia Tomaselli all’inizio degli anni Sessanta.
L’anno dell’Olimpiade, sancita come la “più bella” della sua storia. Nei cinema trionfa la “Dolce vita” di Federico Fellini, che dopo le effimere speranze del dopoguerra farà da spartiacque anche nel vecchio mondo della cultura, fin lì rappresentato dai letterati nobili. Avanza una nuova generazione di letterati che darà vita al “Gruppo 63”. E segna il tramonto definitivo dell’epopea vanagloriosa di via Veneto.
il bolognese
E che anni, verrebbe da aggiungere ancora. Il boom economico fa capolino anche tra gli artisti, fin qui ospitati in camerette ammobiliate a basso costi nel centro storico. “Si abitava tutti, tra via Frattina e Piazza di Spagna (…) non si lavorava molto, si viveva come gli antichi, pochi impegni nella giornata, molto tempo per parlare e per leggere.”, annota Alberto Arbasino nel memorabile “Fratelli d’Italia”. Alla sera il rito delle lunghe tavolate con il solito interrogativo su dove andare a mangiare: da “Nino”, “al Bolognese”, da “Cesaretto”, alla “Taverna Romana” dai prezzi contenuti dalle “mezze porzioni”?
al bano romina power 77
Anche i pittori, gli scrittori, gli sceneggiatori e i cinematografari attratti dall’Hollywood sul Tevere, ben presto tracollata, da sempre habitué della trattoria dei fratelli Menghi sulla via Flaminia - dove si pagava “a pegno” o con qualche quadro da appendere alle pareti -, emigrarono anch’essi in piazza del Popolo. E stavolta la fortuna, capita spesso agli audaci, non girerà le spalle al fondatore del “Bolognese”, Ettore Tomaselli.
All’ex meccanico della Ducati scappato con la famiglia dal Marocco, tutti avevano sconsigliato di aprire “bottega” nella piazza disegnata dal Valadier non ancora trasformata in un immenso parcheggio. “I baiocchi veri girano a via Veneto”, lo mettevano sull’altolà gli amici. Piazza del Popolo? Méta soprattutto dei pellegrini richiamati dalle tre chiese che la circondano: la Basilica di Santa Maria in Montesanto detta degli Artisti; la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli e la Basilica di Santa Maria del Popolo.
BRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESE
“Abbandonammo via Veneto, il caffè Rosati, il Golden Gate, Doney”, ricorda Eugenio Scalfari riandando a quegli anni. “I primi a dare il via alla migrazione, furono Flaiano, De Feo ed Ercole Patti, che senza avvisare nessuno, si traferirono in piazza del Popolo, alternando, le loro soste” tra il bar Canova e il Rosati” prima di attovagliarsi al “Bolognese” o da “Otello” alla Concordia.
Dopo i fasti celebrati da Fellini, si smontano dunque gli ombrelloni sulla “spiaggia” di via Veneto (Gian Gaspare Napolitano) e quell’aria marina comincia a spirare, nella narrazione fatta da Fabio Mauri, tra i tavolini del “Rosati”, contiguo al “Bolognese”.
romina power al bano
Incanta con la sua scrittura leggera lo scrittore e artista che con la fotografa Elisabetta Catalano formerà la coppia più glamour per quegli anni (irripetibili): “Noi, gli avventori, nel tempo un po' famosi, più che famosi noti, li vedo come siamo, ansiosi: un'onda multipla di facce infusa di quel malumore universale che urta contro l'autorità lisa dei Camerieri…”.
Il cambio di stagione “al Bolognese” con le sue vicende mondane del passato, fa parte dunque della storia di Roma. Una storia ch’è scritta anche nei nomi delle vecchie trattorie, nelle facce dei camerieri, negli spigoli dei tavoli apparecchiati, nel libro dei clienti, nei bagni delle toilette. “Rimpianti e compianti”, per dirla con l’ironia di Alberto Arbasino. E quante vicende si sono consumate tra quei tavoli all’ombra del grande obelisco al centro della piazza voluto da papa Sisto.
Tra i numerosi, mentre si celebrano i 40 anni dalla proiezione a Festival di Cannes di “C’era una volta in America”, del grande regista Sergio Leone, la memoria ripesca il coup de théâtre consumatosi “al Bolognese” durante la preparazione del film. L’aneddoto è poco conosciuto fuori dal mondo dello spettacolo, ma di sicuro avrebbe potuto cambiare il viaggio professionale della nostra “eroina”. Ecco l’antefatto, o antipasto della cena (al buio).
Per il cast di “C’era una volta in America” tra i tanti, c’era un problema. Le ragioni riguardavano i sussidi pubblici. Occorreva assegnare il ruolo di Deborah, che avrebbe fatto coppia con l’innamorato Robert De Niro - chiamato a Roma per conoscere la futura partner -, a una attrice americana purché parlasse inglese e avesse il passaporto italiano.
sergio leone robert de niro
Al tavolo d’angolo rotondo, tra i più ambiti dalla clientela, prendono posto Leone e la star di “Taxi Driver”, con i loro accompagnatori. Nell’attesa dell’arrivo della convitata di pietra il regista s’interroga perplesso se scoppierà un feeling tra Bob, una maschera di cera impenetrabile, e la sua futura partner. Ah, saperlo.
Il brusio che si alza dagli altri commensali finalmente annuncia l’ingresso sulla scena con di lei, Romina Power, figlia d’arte di Tyrone Power e Linda Christian. Ma – sorpresa tra le sorprese - non è da sola a quella cena di lavoro arrivata con imperdonabile ritardo.
È scortata dal marito Albano Carrisi, in arte Al Bano. Così lo presenta ai suoi sempre più imbarazzati convitati. Mentre Antonello, lo storico caposala del locale, scivolando leggero nella confusione aggiungeva un posto a tavola (all’intruso geloso), la maschera di cera del prossimo De Niro-Noodles non si scioglieva neppure in uno dei suoi enigmatici e beffardi sorrisetti.
martino benvenuti
La cena appena cominciata era già finita per la Romina sull’orlo di una crisi di pianto. Sentitasi ignorata, tra lo stupore dei clienti -, si alzava di scatto e intimava al marito, strattonandolo: “Al Bano, alzati andiamo via…”. Già, c’era una volta “al Bolognese”.
PS. La voce, insistente, è che il Bolognese venga rilevato da Martino Benvenuti (general manager di Cattleya Events e già nell'ambito della ristorazione con una realtà nel centro di Roma - Giando) e dalla famiglia Chirichigno, eredi del defunto(ex) amministratore delegato di TIM
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