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    "I CINESI DIVENTERANNO AMICI DEI TALEBANI E COMINCERANNO A FARE AFFARI, ATTIRATI DALLE MATERIE PRIME. NOI ABBIAMO BUTTATO UN TRILIONE DI DOLLARI PER FARE UN FAVORE A PECHINO" - IL GRANDE FOTOGRAFO STEVE MCCURRY CHE A KABUL E' DI CASA: “SAPEVAMO CHE I TALEBANI GODEVANO DI UN LARGO CONSENSO TRA LA POPOLAZIONE, SOPRATTUTTO NELLE CAMPAGNE, PERCHÉ NELLE CITTÀ REGNAVA LA CORRUZIONE E TANTI, FRA COLORO CHE SERVIVANO L'ESERCITO O L'AMMINISTRAZIONE, ERANO LÌ PER ARRICCHIRSI…”


     
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    afghanistan le foto di steve mccurry afghanistan le foto di steve mccurry

    Marco Zatterin per “la Stampa”

     

    Ripete «shocking» cinque volte nel primo minuto di conversazione, ma non è mai la stessa cosa, il senso della parola muta con il contesto in cui viene calata. Steve McCurry ragiona sulla caduta di Kabul e la voce che vola da lontano esprime a turno rammarico, sorpresa, delusione, incredulità e rabbia, ingredienti inevitabili dello «shock» provocato dal ritorno dei Taleban.

     

    sharbat gula sharbat gula

    «Erano più forti, non poteva andare diversamente», riassume il grande fotografo, irritato per gli errori dell'America e dell'Occidente, preoccupato per il futuro dell'Afghanistan e soprattutto per le donne. «Mai stato facile per loro - ammette -, adesso sarà peggio». L'album degli scatti di McCurry, cittadino di Philadelphia, classe 1950, regala una sorpresa dopo l'altra, ma poi arriva «la Foto», quella dopo cui niente pare più lo stesso. Gli occhi di Sharbat Gula, la profuga afghana con lo sguardo profondo come un mare dai mille segreti, colpiscono con l'eloquenza di un'incertezza grave e tagliente.

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    Era il 1984 quando, ragazzina di dodici anni confinata in un campo profughi, fissò l'obiettivo di McCurry e divenne l'immagine della Passione, della sofferenza e del dubbio delle vittime di ogni conflitto. La foto fece il giro del mondo grazie all'americano che l'aveva fissata sulla pellicola, un giovane che amava quelle montagne e quella gente. Le avrebbe fotografate per anni, rivelandone i misteri e le mille anime, raccontandole come fosse la sua terra, e del resto in qualche modo lo era diventata. Trentasei anni dopo, McCurry legge le notizie e cerca di capire.

     

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    Si sforza di guardare avanti, critica Stati Uniti e Nato, ma pare disposto a sperare che i Taleban siano cambiati. Vede il Paese gravitare verso l'orbita russa e cinese. «Abbiamo speso così tanti soldi per arricchire gli altri», sospira. Avrebbe voluto assistere a un altro epilogo, ma nell'attimo in cui tira le somme concede che non poteva che finire altrimenti.

     

    Steve, si aspettava che Kabul cadesse e regalasse all'Occidente una nuova Saigon?

    «Sono stato sorpreso dalla velocità degli eventi, di come è successo, non del fatto che i Taleban si siano ripresi il Paese: era chiaro che sarebbe successo. Ci sono voluti pochi giorni, sembra quasi incredibile anche se sapevamo che godevano di un largo consenso tra la popolazione, soprattutto nelle campagne, perché nelle città regnava la corruzione e tanti, fra coloro che servivano l'esercito o l'amministrazione, erano lì per arricchirsi. Russia, Cina e Pakistan hanno lavorato contro il governo. I Taleban esprimevano una forza immensa. Non poteva durare».

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    Tutto scritto, insomma?

    «Nessuno ha guardato indietro bene. Era successa la stessa cosa trent' anni fa, quando i russi invasero l'Afghanistan. Gli americani non hanno imparato la lezione, evidentemente erano troppo occupati ad arricchirsi. Pazzesco che nessuno abbia capito cosa sta accadendo. Ci sono centinaia di analisti pagati molto bene per studiare la geopolitica che hanno fallito. È imbarazzante. Uno spreco di vite e di denaro. L'Afghanistan è costato un trilione. Quante scuole e ospedali avremmo potuto aprire in giro per il mondo, generando risultati migliori di questi? È incredibile e imperdonabile, da impazzire per la rabbia! Ne abbiamo parlato per anni e niente! Non ha senso. Non avevano una minima idea di cosa sarebbe capitato».

     

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    La strategia occidentale era sbagliata sin dal 2001?

    «Bisogna tornare all'inizio degli anni Ottanta, quando l'America sosteneva i mujahidin, con soldi e armi, per fermare l'avanza sovietica. Washington non pensava all'Afghanistan, voleva solo colpire i russi. Quando l'Armata Rossa è uscita di scena, anche gli Usa hanno smesso di occuparsene».

     

    Arriviamo all'11 settembre.

    «L'attacco alle Torri gemelle ci ha risvegliati. Abbiamo pensato "ci stanno assediando" e siamo andati a occupare l'Afghanistan. L'obiettivo era liberarsi di Al Quaeda, senza tuttavia avere la capacità di andare oltre. Eravamo timidi e spaventati. Abbiamo deciso di spendere un sacco di soldi e gli afghani di Kabul sono stati ben lieti di farcelo fare sinché volevamo. Così, quando è stato deciso il ritiro, si sono detti "la festa è finita, prendiamoci i soldi e cacciamoli fuori". Dal loro punto di vista, non c'era cosa migliore da fare. Finita la festa, hanno cambiato gioco».

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    Abdul Ghani Baradar cerca di accreditare un universo taleban più moderato. C'è da fidarsi?

    «Forse sono naïf, ma credo che i Taleban saranno molto più attenti, questa volta. Se stringeranno troppo sui diritti, o se copriranno una nuova ondata di terrorismo, le potenze occidentali non avranno scelta se non tornare e cercare di fermarli. La mossa migliore sarebbe quella di concedere terreno alle libertà. Se vogliono potere e soldi, non devono farsi notare troppo. C'è una linea che devono fare attenzione a non attraversare, perché a quel punto ricominceranno a dar loro la caccia».

     

    E le donne? Non si mette affatto bene.

    «Per loro è sempre stato un problema, anche nel migliore dei tempi. Le donne faranno fatica, senza alcun sostegno tra gli uomini di questa società maschilista e machista in cui non hanno voce in capitolo».

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    Andrà peggio, adesso?

    «Non c'è dubbio. Purtroppo».

     

    In quale scenario?

    «Abbiamo combattuto una proxy war, una guerra per procura. Ora che è finita, la situazione si è fatta complessa. Gli afghani devono cavarsela da soli. La maggioranza pashtun alla fine gioca per il controllo del potere. Molte regioni e tribù non hanno una tradizione di democrazia e di diritti umani. Ci sono poche persone che hanno studiato. Sarà una girandola di attribuzione di responsabilità. I Taleban inseguiranno una stabilità, anche nei confronti del resto del mondo. Possiamo star certi che i cinesi diventeranno buoni amici loro e cominceranno a fare affari, attirati dalle materie prime. Noi abbiamo buttato un trilione di dollari per fare un favore a Pechino. E gli occidentali, per un poco, saranno i cattivi della situazione. E fuori gioco».

     

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    Fantastico. Noi abbiamo speso e i cinesi fanno i soldi.

    «Non solo. Anche i russi, i pakistani, gli iraniani, i sauditi, tutti attirati dalle materie prime. Gli indiani no, probabilmente. I cinesi faranno come in Africa, investimenti senza badare a chi li prende e come, ma soltanto al profitto. E noi avremmo buttato miliardi dalla finestra per nulla».

     

    Nulla? Biden dice che abbiamo sgominato Al Qaeda. Cosa poteva fare?

    «Ho trovato strano quando disse "lasceremo l'11 settembre". Non mi sembrava una mossa ingegnosa. Quando lasci frettolosamente un'ambasciata, bruci le carte, te ne vai in elicottero e lasci i tuoi collaboratori alle spalle è molto imbarazzante. Distruggi la tua dote di fiducia».

    sharbat gula rifotografata da steve mccurry nel 2001 sharbat gula rifotografata da steve mccurry nel 2001

     

    C'erano alternative?

    «Potevano farlo meglio, quantomeno. Mi spiace per tutto, ma in particolare per gli afghani che hanno passato tutti questi anni ad aiutare gli americani pensando di poter salvare il loro Paese. In tanto sono rimasti lì, in pericola. È una cosa che fa proprio rabbia».

     

    Arriveranno molti rifugiati. L'Europa è già divisa tra chi li vuole e chi no. Anche in Italia c'è chi dice «non ne entra uno». Eppure, sono esseri umani senza colpa.

    «La Cina non accoglie rifugiati. La Russia non ne prende. Neanche l'Arabia Saudita, i loro fratelli musulmani. È interessante. È come se scambiassero vite umane con il desiderio di sostenere il regime taleban e i propri interessi nazionali. È una scommessa rischiosa».

     

    steve mccurry steve mccurry

    C'è solo un futuro tempestoso per l'Afghanistan?

    «Nel breve termine, sì. Sarà un viaggio turbolento, quello di Kabul. Non riesco a immaginare i Taleban nella parte dei bravi ragazzi, ma farebbero bene a essere più morbidi, a tenere a bada il terrorismo, ad aprire sui diritti. Ciò non toglie che per i giovani e le donne sarà dura almeno per qualche anno».

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    Si riparla di minaccia terroristica. È reale?

    «Anche i Taleban vogliono difendere il potere, le poltrone, gli uffici e le auto con l'aria condizionata, andare in giro per il mondo a parlare, a raccontarsi alle Nazioni Unite. Il terrorismo è un passato che potrebbe ripetersi. Loro dovranno fare molta attenzione per evitarlo. Il loro futuro dipende da come si porranno con il resto del mondo. Non sanno se ci sarà opposizione interna - che l'America riprenderà a finanziare - e devono evitare che l'Occidente si riarmi contro di loro. Lo scenario è aperto».

     

    Ha voglia di tornare in Afghanistan?

    «Sì, ma ora non è possibile. Quando le acque si calmeranno, lo spero davvero. È una terra straordinaria. Come il suo popolo».

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