Giacomo Amadori per “La Verità”
Luciano Portolano
Nella vicenda degli armamenti da vendere alla Colombia, Leonardo, che stava provando a piazzare più di 20 caccia M-346 all'aeronautica militare di Bogotà, avrebbe provato a tirare per la divisa anche il generale Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, cioè il responsabile della politiche per la commercializzazione di materiali militari.
Lo ha riferito lo stesso alto ufficiale durante l'audizione di ieri di fronte alla commissione Difesa del Senato: «Leonardo ha appreso dell'interesse della autorità colombiane per una piattaforma in grado di sostituire vecchi velivoli A37 in dotazione all'aeronautica colombiana e ha chiesto il supporto istituzionale del Segretariato in due occasioni».
Quindi, l'azienda, da una parte riforniva di brochure Massimo D'Alema e il suo «gruppo di lavoro», fatto di soggetti senza incarichi ufficiali e di ex paramilitari colombiani, dall'altra cercava una sponda ufficiale al ministero. Ma i due canali, scopriamo ora, procedevano parallelamente.
MASSIMO DALEMA
Portolano ha svelato: «In un primo momento, a seguito di una specifica richiesta da parte di Leonardo, e mi riferisco al periodo 22-26 novembre del 2021, una delegazione colombiana guidata dal generale Sanchez, capo della commissione selezionatrice per il Light combat aircraft, ha visitato il 61° stormo dell'aeronautica militare e le strutture della scuola di volo International flight training school di Galatina conducendo attività dimostrative con simulatori di volo e volo reale su velivolo m346 di Leonardo».
I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LO STATO DELLE TRATTATIVE DEI DALEMA BOYS CON LA COLOMBIA
Insomma l'Aeronautica sarebbe stata utilizzata per mettere in vetrina i caccia sulla cui vendita D'Alema contava di portare a casa decine di milioni di provvigioni. Ma le nostre fonti aggiungono particolari molto interessanti su quella trasferta: a Galatina il generale colombiano sarebbe stato accompagnato da Giovanni Basile, direttore della joint-venture Leonardo-Cae (Canadian aviation electronics) che si occupa della formazione dei piloti di jet.
Ma insieme con Basile, dentro all'aeroporto militare, ci rivelano le nostre fonti, sarebbero entrati anche il plurimputato Giancarlo Mazzotta e il discusso broker Emanuele Caruso, i collaboratori pugliesi di D'Alema in questo affare. A che titolo, se la notizia sarà confermata, abbiano potuto prendere parte a una visita ufficiale di una delegazione militare straniera non è chiaro, anche perché nell'area l'ingresso dei civili è severamente controllato.
Giancarlo Mazzotta
Comunque è la seconda richiesta di aiuto che Portolano ha giudicato irricevibile: «Successivamente, e siamo al 20 dicembre 2021, Leonardo ha chiesto al Segretariato di valutare l'opportunità di organizzare una visita urgente in Colombia ad alto livello in considerazione che la decisione finale da parte dell'autorità colombiana per la scelta della piattaforma del programma Light combat aircraft sarebbe avvenuta entro la fine di febbraio 2022».
Anche se Leonardo sperava di concludere l'accordo con le forze armate colombiane in tempi molto rapidi, addirittura entro due mesi, Portolano scelse di non intromettersi, forse sentendo puzza di bruciato: «Al riguardo, il Segretariato ha ritenuto opportuno di non dare seguito a tale richiesta nella consapevolezza che ogni azione intrapresa nell'imminenza della scelta da parte delle autorità colombiane avrebbe potuto interferire con il delicato processo di selezione in corso». Una valutazione che sarebbe stata presa dopo alcune interlocuzioni con l'addetto militare italiano in Colombia.
il servizio de le iene su massimo dalema e la compravendita di armi con la colombia 5
Quindi Leonardo, oltre ad aver ingaggiato in modo non ufficiale l'ex ministro degli Esteri, contemporaneamente ha prima cercato di coinvolgere Portolano e successivamente il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè. Canali attivati separatamente e senza informare il governo del ruolo di D'Alema, di cui Mulè è venuto solo casualmente a conoscenza.
Situazione altrettanto pasticciata quella descritta dall'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, il quale ha dovuto rispondere a domande riguardanti la Colombia e la trattativa, sponsorizzata dallo stesso D'Alema, per la vendita di due fregate e due sommergibili.
Emanuele Caruso
L'ad ha sostenuto di essere stato informato del ruolo dell'ex premier poco prima della partenza per Bogotà dei suoi manager, i quali sono andati a fine gennaio a firmare un memorandum of understanding a sua insaputa («L'ho appreso dalla Verità» ha detto), documento che, tra l'altro, non erano autorizzati a siglare: «Mi è stato detto che andavano in Colombia per incontrare il ministro della Difesa e mi hanno riferito che il contatto lo aveva procurato D'Alema attraverso i suoi precedenti contatti politici istituzionali è stato ministro degli Esteri è stato presidente del Consiglio, voglio dire niente di strano tutto aiuta nel Paese».
Quindi una spintarella dell'ex leader del Pds non era sgradita. Anche se il giudizio sulla sua squadretta non è dei più lusinghieri: «Se volete che esprima una mia opinione era più un millantare da parte di questi signori». In realtà nessun ministro dello Stato sudamericano ha firmato il Mou e questo Bono l'ha considerato anomalo: «Ho visto le firme e per i colombiani ho visto due capitani di fregata. Vabbe' che siamo un Paese però almeno il Capo della Marina, allora ho bloccato subito tutto. Basta, non si va più avanti».
il servizio de le iene su massimo dalema e la compravendita di armi con la colombia 13
Nella sua audizione Bono ha fatto riferimento solo al viaggio a Bogotà e non a quello del mese precedente dei suoi uomini a Cartagena, di cui il direttore generale della divisione Navi militari Giuseppe Giordo sostiene di averlo informato, facendo anche il nome di D'Alema.
Bono non ha fatto cenno nemmeno al pranzo del 21 dicembre con l'ex primo ministro e con il lobbista Luigi Bisignani, occasione in cui il politico lo avrebbe informato personalmente di «attività in Sud America».
Ma a far insospettire Fincantieri sarebbe stato anche il mancato completamento della due diligence sullo studio «segnalato» da D'Alema per l'attività di promozione, il Robert Allen law. Infatti gli addetti ai controlli avrebbero consultato «una piattaforma dove in campo internazionale vengono indicate le aziende, le società che hanno una reputazione che hanno una capacità di essere credibili sul mercato». Ma lo studio non avrebbe dato notizie di sé: «Non abbiamo avuto da parte dello studio Robert Allen nessuna informazione. Quindi da quel momento lì abbiamo detto "niente"».
MASSIMO DALEMA
Quanto ai pregressi rapporti di Fincantieri con D'Alema in Libano, Bono ha scaricato la colpa sul governo giallo-verde, che nel 2019, attraverso l'ambasciata e l'allora sottosegretario leghista Raffaele Volpi, avrebbe «sollecitato» l'azienda a cogliere un'occasione commerciale nel Paese dei cedri. Ha spiegato l'ad: «Allora per tutelarci, non sapevamo nemmeno la legislazione del Paese, le bande, le cose, abbiamo fatto questo contratto con una delle principali aziende del mondo, non con pizza e fichi». Ovvero con Ernst&Young, società che gli avrebbe fatto trovare a Beirut D'Alema. Con noi da Fincantieri confermano: «Noi siamo andati in Libano su sollecitazione del governo in modo ufficiale e il nostro rappresentante incontrò l'ambasciatore e altre istituzioni locali. Ci siamo resi conto che seguire un programma in Libano da soli era di fatto impossibile.
MASSIMO DALEMA - LA PROPOSTA DI CONTRATTO DA COMMISSIONE MILIONARIA
Per questo ci siamo affidati a una primaria società di consulenza che ha una sede lì come E&Y. Che D'Alema conoscesse bene il Libano e fosse consulente di E&Y non è un mistero, né c'è nulla di male. Bono è stato sollecitato a esplorare opportunità in Libano dal governo e non da D'Alema».