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    “IL MODO IN CUI LA VITA PARLA E' IL JAZZ" (E INFATTI 'NZE CAPISCE UN CHEZZ) - TRE NUOVI FILM RACCONTANO LA STORIA DEL JAZZ RIMETTENDO AL CENTRO I PROTAGONISTI: MUSICA NERA RACCONTATA DA NERI, VISSUTA DA NERI, SENZA I CLASSICI FILTRI HOLLYWOODIANI - IN “SOUL”, GIOIELLO PIXAR SU "DISNEY+", IL RAPPORTO TRA L'ANIMA, LA VITA E LA MUSICA È DIPINTO ATTRAVERSO L'ESPERIENZA DI UN PIANISTA SUL PUNTO DI MORIRE – VIDEO


     
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    Ernesto Assante per “la Repubblica”

     

    Ci sono tre film in circolazione che potrebbero farvi cambiare idea sul blues e sul jazz. C' è chi dice, e sono tanti sfortunatamente, che è musica complicata, difficile da capire e da ascoltare; chi l' ha chiusa nelle sale da concerto, tutti zitti e seduti; chi pensa che sia una faccenda da intellettuali ed esperti; chi semplicemente ritiene che il jazz sia cervellotico e il blues noioso. Invece, come dice Viola Davis che interpreta magnificamente il personaggio della grande cantante Ma Rainey, il blues e il jazz "sono il modo in cui la vita parla".

     

    La vita trasformata in musica, con tutti i suoi alti e bassi, i suoi momenti esaltanti e la sua disperazione, musica che respira, soffre, esulta e che Ma Rainey' s Black Bottom , su Netflix, diretto da George C. Wolfe, racconta in maniera magistrale. La forza e la grandezza di Ma Rainey sono messi in evidenza come le sue debolezze, il mondo razzista dell' America degli anni Venti e lo scontro generazionale con il giovane musicista Levee, interpretato da un bravissimo Chadwick Bosemann (l' ultima sua interpretazione prima della scomparsa).

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    Ma è la musica a occupare la scena, musica nera raccontata da neri, vissuta da neri, senza i classici filtri hollywoodiani.

     

    Ed è così anche in Sylvie' s love , diretto da Eugene Ashe, su Amazon Prime Video, che racconta la storia di un giovane sassofonista e di una produttrice tv, e soprattutto in Soul , gioiello Pixar su Disney+, diretto da Pete Docter e Kemp Powers, dove il rapporto tra l' anima, la vita e la musica è dipinto attraverso la singolare esperienza di un pianista sul punto di morire.

     

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    Sono tre film, come faceva notare anche il New York Times , che non puntano a raccontare il jazz visto con gli occhi di chi lo ascolta oggi, ma con quelli dei musicisti che lo suonano, lo interpretano e lo vivono, e spingono lo spettatore a comprendere meglio il rapporto che c' è tra l' immaterialità della musica e quella della vita, tra sentimenti e musica, tra sensazioni e musica, che il jazz traduce nella sua improvvisazione, nella creatività del momento, nel racconto della vita stessa.

     

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    Non è stato sempre così, anche se la storia del jazz e quella del cinema hanno camminato di pari passo e spesso si sono incrociate. C' è stato jazz, tanto, quando i pianisti coloravano con i loro suoni i film muti, c' è stato nei musical, ci sono stati film biografici dedicati a grandi jazzisti e altri in cui il mondo del jazz offriva lo scenario. Alcuni hanno cercato di farci capire il rapporto tra il jazz e la vita, pensate solo al bohémienne Scat Cat che prova a insegnarlo all' elegantissima Duchessa negli Aristogatti , ma molti altri hanno contribuito alla definizione dello stereotipo, "musica difficile/artisti complicati", ponendo l' accento sulle vite al limite di tanti jazzisti.

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    E tantissimi hanno raccontato il jazz visto da registi bianchi e attori bianchi, lasciando troppo spesso gli afroamericani, veri protagonisti della storia, al lato. È accaduto in maniera clamorosa in alcuni casi come La città del jazz del 1947 con Louis Armstrong e Billie Holiday, che in realtà racconta la storia di due ragazzi bianchi, Il re de jazz del 1955 in cui il "sovrano" è il bianchissimo Benny Goodman, e Cotton Club di Francis Ford Coppola, con fascinoso Richard Gere nel 1984.

     

    Ma ci sono state anche storie in cui jazz e vita erano in sintonia: Mo' better blues di Spike Lee nel 1990 o il magnifico Round Midnight di Tavernier nel 1986 o Bird di Clint Eastwood del 1988, esempi brillanti di un modo di raccontare il jazz senza finzioni, cercando di catturarne l' anima, il "soul" appunto.

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    Ma senza farsi una cultura nel campo del jazz con film che raccontano le gesta dei grandi protagonisti, c' è modo di viverne le vibrazioni, restando nell' ambito del grande cinema:

     

    c' è tanto jazz in capolavori come L' uomo dal braccio d' oro del 1955, diretto da Otto Preminger e interpretato da Frank Sinatra, primo esempio di colonna sonora jazz composta appositamente per il film, da Elmer Bernstein; c' è jazz in Paris Blues con Paul Newman e Sidney Poitier entrambi jazzisti nel film diretto da Martin Ritt nel 1961; o in New York, New York di Martin Scorsese con Robert De Niro e Liza Minnelli, sassofonista e cantante nel capolavoro del 1977.

     

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    Ma il più bello e realistico esempio di cinema jazzistico è Ombre di John Cassavetes, 1959, in cui il jazz di Charlie Mingus, che realizzò parte della colonna sonora, si mescola alla visione del mondo giovanile e della beat generation.

     

     

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    Oggi il jazz sta vivendo una nuova stagione d' amore con il cinema, in anni recenti l' hanno usato come "scenario" fondamentale La la land e Whiplash , ma soprattutto Ray del 2004, un bellissimo ritratto di Ray Charles, o Miles Ahead diretto e interpretato da Don Cheadle nel 2015 che racconta Miles Davis alla fine degli anni Settanta, o ancora Born to be Blue del 2015, in cui Ethan Hawke veste i panni di Chet Baker, esempi di come il rapporto tra musica e vita messo in scena dal jazz trova una delle sue migliori rappresentazioni.

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