Andrea Galli e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
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Al contrario dell'immagine pubblica, decantata dai pazienti, anche il dottor Stefano Ansaldi aveva una profonda esistenza ignota. Se elementi di questo passato hanno intersecato la sua morte, tra le 18.01 e le 18.04 di sabato in via Macchi a Milano, lo stabiliranno gli investigatori. Ma restano i seguenti dati, acquisiti dal Corriere attraverso fonti diverse.
Otto giorni prima dell'assassinio, sul ginecologo 65enne la questura di Napoli, città dove Ansaldi abitava e lavorava, nell'ambito di un tracciamento aveva inserito in database una nota per un «soggetto segnalato»: a un numero molto elevato di persone, il medico fra queste, la polizia doveva rendere informazioni di un sospetto contagio da Covid. Eppure nemmeno la malattia, sempre che lui ne fosse a reale conoscenza, e quindi l'obbligo di non lasciare la propria abitazione, ha evitato il precipitarsi di Ansaldi, salito sul primo treno utile e forse «obbligato» a farlo.
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L'urgenza impossibile da prorogare potrebbe richiamare un vecchio procedimento innescato dalla denuncia di una donna, che aveva incolpato il dottore e tre colleghi della morte della figlia appena nata. O forse questa storia nulla c'entra e dobbiamo andare all'anno scorso, quando il ginecologo aveva denunciato la scomparsa di un assegno in bianco, da lui firmato. Aveva perduto l'assegno, non il resto che aveva con sé: chiavi, portafogli, documenti, soldi. Un'anomalia, certo, ma inferiore alla destinazione del denaro, una società di Malta inserita nell'elenco dei «Paradise papers», l'inchiesta sugli investimenti offshore condotta dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung.
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L'assegno era in bianco perché sarebbe stata premura del «contatto» del medico a Malta scrivere poi l'importo concordato. Il fatto che Ansaldi abbia ammesso un probabile giro di soldi in nero con quella denuncia, trova forse risposta nella volontà di dimostrare a interlocutori e soci che lui l'assegno l'aveva comunque pronto, come da accordi, se non già consegnato a un mediatore. La pista del denaro è una delle tante analizzate nelle ardue indagini del Nucleo investigativo, che hanno le coordinate centrali in quegli ultimi trentadue passi in fondo a via Macchi, angolo via Scarlatti, lì dove il marciapiede è coperto dal ponteggio per il rifacimento della facciata di un condominio.
Un luogo non casuale nell'organizzazione di un incontro forse per realizzare uno scambio, di che cosa non si sa, e ancor più nell'esecuzione di un omicidio, essendo protetto rispetto alla strada a senso unico. L'arma del delitto, appunto un coltello da cucina, spinge a non prevedere un killer di professione quanto la scelta veloce del primo strumento di morte a portata.
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I carabinieri non archiviano l'ipotesi di una rapina, in considerazione dell'attuale situazione dei dintorni della stazione Centrale, al netto delle schermaglie politiche e della campagna elettorale per il prossimo sindaco. Operatori della sicurezza che qui lavorano, parlano di un continuo fluttuare di soggetti pericolosi che approfittano di «basi» in fondo a via Ferrante Aporti e si spingono in viale Monza. La camionetta della polizia ormai dimorante nell'attigua via Benedetto Marcello spiega da sola i rischi di questo specifico territorio.
Ma forse l'azione di un predone di strada non c'entra nella fulminea agonia di Ansaldi il quale, colpito dal profondo fendente sferrato da un nemico forte e rabbioso, ha premuto le mani sul collo per tamponare una ferita letale. E di nuovo si torna indietro, stavolta alle ore antecedenti l'assassinio. Con i suoi rebus. Per esempio l'assenza di un biglietto di ritorno nonostante sabato fosse giornata d'assalto ai treni e l'assenza di un minimo ricambio necessario, concomitante con un'eventuale sosta in hotel (non prenotato), dallo spazzolino agli indumenti intimi.
Aveva soltanto quella 24 ore vuota, una classica borsa da medico, in pelle, e il Rolex. Insieme al coltello, l'orologio - modello classico dal significativo prezzo - era sul marciapiede. Chiuso. Ansaldi, che aveva mascherina e guanti in lattice, ha tolto il Rolex dal polso azionando la leva sul cinturino e ripetendo l'operazione in verso contrario, come quando si torna a casa poggiando ordinatamente l'orologio.
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Forse se lo è sfilato per consegnarlo al suo carnefice come pagamento, un anticipo o un saldo. Il dottore calzava scarpe Hogan e indossava pantaloni casual, maglioncino felpato e giubbetto. Rari, nell'ultimo periodo, gli spostamenti fuori Napoli, non le utenze straniere agganciate dal cellulare, l'unico oggetto che il killer ha voluto far sparire.
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