Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
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Alla sardina Mattia Santori succede ogni volta che va in tivù: con buona pace di sua madre che se ne dispiace, gli danno sempre del tu. All' attore Gioele Dix succede quando va a comprare un paio di jeans: il capo di abbigliamento «giovane» autorizza le commesse e i commessi a trattarlo da «giovane»; sul tema ci ha imbastito un passaggio del monologo teatrale Vorrei essere figlio di un uomo felice .
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Al presidente francese Emmanuel Macron successe durante la cerimonia del 18 giugno dell' anno scorso, quando uno studente con un po' di imprudenza gli chiese «ça va Manu?» e lui replicò fermo: «No, no, no, sei a una cerimonia ufficiale, mi devi chiamare signor presidente della Repubblica o signore».
La scomparsa del lei sembra ormai un lutto solo per la famiglia degli allocutivi (quei pronomi personali usati per rivolgersi a un' altra persona) e per pochi nostalgici delle buone maniere. Colpa forse dell' inglese, dove usa comunemente «you», «tu». Ma l' alibi anglofilo non convince Samuele Briatore, presidente dell' Accademia italiana galateo: «La lingua inglese rende la formalità con la costruzione della frase.
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Anche se usano il "tu", la formulazione è rispettosa dei ruoli». Il linguista Marco Santagata, piuttosto, nel declino del lei ci vede qualcosa di più sostanziale: «Mi chiedo se non sia venuto meno il modo di rapportarsi con rispetto e dignità con gli altri». Appiattire il linguaggio significa appiattire le relazioni, ma le relazioni non sono tutte uguali, hanno intensità diverse.
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E su questo si fonda la «ribellione» di Gioele Dix: «Non rifiuto il tu per snobismo, che poi non ti fa nemmeno dispiacere quando ti dicono ciao. La tua illusione è che ti vedano giovane, ma non è così. Penso invece che i linguaggi debbano essere adeguati ai contesti, non puoi parlare allo stesso modo nello stesso luogo con tutti».
La lingua italiana, però, è fluida e pertanto destinata a cambiare. Combattere il tu talvolta può essere una battaglia inutile, ma vale la pena insistere in certe circostanze.
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«Sul posto di lavoro è da preferirsi il lei, sempre. Immaginate una lite tra colleghi: se fatta con il tu perde di valore, mentre il lei mantiene la giusta distanza che la rende definitiva», spiega Briatore.
Anche in un negozio è da preferirsi il lei: «È una questione di rispetto. Del cliente, nei confronti del professionista che lo sta servendo. E del commesso, che in quel momento rappresenta anzitutto l' azienda per cui lavora».
Il punto dirimente, allora, è chi dà del tu a chi. Briatore insiste: «È grave quando c' è una relazione impari, e chi dà del tu lo fa stabilendo una gerarchia di potere. Piuttosto lo si chiede prima, possiamo darci del tu?». Ma Santagata è realista: «Il lei è venuto meno, assieme al congiuntivo.
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Questi sono fenomeni storici non governabili. È inutile stracciarsi le vesti per gli anglismi imperanti. Però forse la scuola può fare un' operazione di salvaguardia di alcuni atteggiamenti formali tra generazioni. Ormai i genitori non ci riescono più...».
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