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    IL MAGONE PER LA “MAGONA” – IL CRAC DELLA SOCIETÀ INGLESE "GREENSILL CAPITAL" METTE A RISCHIO ANCHE LA STORICA ACCIAIERIA DELLA “MAGONA” DI PIOMBINO: COM’È POSSIBILE, VISTO CHE L’IMPIANTO NON HA PROBLEMI DI DOMANDA E LAVORA A PIENO REGIME? TUTTA COLPA DI UN FINANZIAMENTO CONCESSO DA UNA BANCA TEDESCA CONTROLLATA DALLA SOCIETÀ DI LEX GREENSILL, SPECIALIZZATA NEL “REVERSE FACTORING” - IL MEF STA MONITORANDO LA SITUAZIONE, E C’È GIÀ L’IPOTESI DI UN INGRESSO DELLO STATO…


     
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    Gianluca Paolucci per “la Stampa”

     

    La chiave per l'ingresso dello Stato c'è già, tra le clausole di un contratto di finanziamento che è anche il problema principale della Magona di Piombino. Il paradosso è che la storica acciaieria toscana, nata 130 anni fa come La Magona d'Italia, lavora. Per i suoi acciai zincati e preverniciati c'è una buona domanda, ci sono ordinativi e clienti. Peccato che la Magona sia incappata in un crac finanziario globale con pesanti effetti in Gran Bretagna, Francia, Germania, Australia. E Piombino, appunto.

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    Sì, perché le azioni della Liberty Magona, 500 dipendenti tra operai e impiegati, sono tutte in pegno alla Greensill Bank, istituto tedesco controllato da Greensill Capital e adesso commissariato dalle autorità tedesche. Le azioni sono in pegno in virtù di un finanziamento di 86 milioni concesso, nell'agosto scorso, dalla banca al gruppo Liberty, controllato dal magnate indiano Sanjeev Gupta.

     

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    In pegno a Greensill sono finite anche le azioni della Liberty Steel Distribuzione, altra società italiana del gruppo che controlla quattro impianti ex Ilva ad Arcore,Rieti, Granarolo e Graffignana (Lodi), acquisiti da Arcelor e subito affittati al gruppo Aartee. Greensill, un gruppo finanziario che si diceva fintech ma che di fintech in realtà aveva ben poco e molto di innovazione finanziaria nel senso peggiore - nel frattempo ha fatto crac.

     

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    Un crac rumoroso, che coinvolge il fondatore Lex Greensill, l'ex premier britannico David Cameron, 10 miliardi di dollari di clienti del Credit Suisse. E Gupta, appunto. Perché proprio Greensill Capital era il principale finanziatore del suo gruppo Liberty Steel. Che vuol dire circa 5000 dipendenti in Gran Bretagna, altri 2400 in Francia e svariate migliaia in giro per il mondo. La specialità di Greensill era il «reverse factoring»: ovvero, Greensill pagava i fornitori per conto di Liberty, che quando incassava per la vendita dei prodotti saldava Greensill.

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    Una delle modalità di finanziamento scoperte dopo il crac - e riferita da un'inchiesta del Financial Times - era particolarmente innovativa: Liberty comunicava a Greensill aziende con le quali non faceva affari ma avrebbe voluto farne una cifra X. Greensill approvava e anticipava denaro in cambio di questi affari «prospettici». In tutto questo, il prestito di 86 milioni concesso alla Magona di Piombino è una goccia nel mare.

     

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    Sul prestito c'è la garanzia di Sace, concessa in virtù del decreto Cura Italia che copra fino all'80% dell'importo. Le azioni però sono ancora in pegno alla curatela della banca tedesca, probabilmente a garanzia della parte del prestito non coperta da Sace. Finché la Magona lavora e ripaga gli interessi sul prestito, nessun problema. Ma i problemi finanziari del gruppo Liberty sono seri e diffusi.

     

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    Nei giorni scorso il governo di Parigi ha dovuto anticipare 20 milioni di euro per far fronte alle scadenze delle attività francesi. Ai sensi del contratto tra Liberty e Greensill, visionato da La Stampa, proprio la garanzia di Sace - a sua volta controgarantita dal ministero dell'Economia - può rappresentare lo strumento per consentire un intervento in tempi rapidi del governo, qualora la situazione dovesse degenerare. I sindacati, dopo l'allarme lanciato sul rischio di restare senza forniture, hanno scelto la linea del silenzio.

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    Al momento la situazione della Magona non desta particolare allarme, spiegano le fonti interpellate, ma il Mef sta comunque monitorando da vicino gli sviluppi. Ironicamente (si fa per dire) Liberty e Gupta sono arrivati in Italia nel 2019, quando il gruppo ha acquisito le attività che ArcelorMittal ha dovuto dismettere per avere il via libera europeo all'acquisizione di quello che è il principale problema di politica industriale degli ultimi governi: l'Ilva di Taranto.

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