Manuela Iatì per “La Verità”
tamponi
Da 77 laboratori iniziali, tutti pubblici, ai 731 attuali, oltre la metà privati. Dalla prima circolare ministeriale su dove sottoporsi a «diagnosi molecolare» (20 marzo 2020) a oggi (i dati sono del 19 aprile), le strutture italiane autorizzate ai tamponi molecolari sono decuplicate, grazie principalmente ai privati. Il loro ingresso in quello che si rivelerà un affare si era reso necessario già a inizio pandemia.
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I contagi salivano, sempre più, e i cittadini, smarriti, spaventati, magari isolati in vigile attesa dopo un contatto stretto, erano alla disperata ricerca di test irraggiungibili, complice una farraginosa burocrazia in capo a disorganizzate Asl. Ecco allora che, il 3 aprile 2020, una nuova circolare, che già individua nuovi laboratori, prevede di poterne ampliare ancora il numero.
È così che nascono i primi drive-in e gli hub, ma anche, appunto, il business privato: centri analisi, ambulatori, cliniche si attrezzano per farsi accreditare dalle Regioni e si moltiplicano, a volte neppure in linea con i contagi - e quindi i bisogni - dell'area. L'esempio più eclatante è la Sicilia. Solo 3 laboratori iniziali, ora è prima per numero di strutture: 215, una ogni 22.000 abitanti, e quasi tutte private.
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Per un confronto: in Veneto, stessa popolazione (4,8 milioni di residenti), i laboratori autorizzati sono solo 38, ovvero uno ogni 126.000 abitanti; in Lombardia 85 (uno ogni 116.000); in Piemonte 29 (uno ogni 153.000). Molti meno che anche in altre zone del Sud, come la Calabria (24 strutture, cioè una ogni 75.000 abitanti) e, soprattutto, la Puglia (91, una ogni 43.000).
CODE PER FARE IL TAMPONE
Al di là dei motivi di questa sproporzione, il proliferare di centri per i molecolari ha certamente rassicurato i cittadini, soprattutto nei primi mesi di pandemia, quando questo era l'unico test per il virus: per quanto a pagamento, infatti, chiunque avrebbe potuto accedere alla diagnosi, e in tempi ben diversi da quelli pubblici, tuttora lunghissimi. Ma, altrettanto certamente, il servizio è stato ghiotta occasione di speculazione.
Già nel 2020 il Codacons - che ora chiede al governo tamponi gratuiti o a metà costo, anche per frenare l'affare - si rivolse alla procura di Roma per i prezzi esorbitanti di molte strutture (fino a 170 euro).
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Tanto che la Regione Lazio impose tariffe calmierate di 60 euro. Ma con il green pass, che ha obbligato a tamponi regolari a prescindere dallo stato di salute, solo per poter vivere il quotidiano, il business è esploso. Prendiamo il picco del 25 gennaio: 258.665 molecolari su 1.400.000 tamponi (fonte Lab24). Ipotizzandone una metà a pagamento, a 60 euro in media, il volume d'introiti avrebbe toccato gli 8 milioni di euro. In un solo giorno, da distribuire tra i circa 400 laboratori privati accreditati. Moltiplichiamo queste cifre per mesi e possiamo capire di che giro d'affari parliamo.
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