Lorenzo Lamperti per “la Stampa”
JOHN LEE
Ventitre minuti. È il tempo che è stato necessario per contare i voti e annunciare il vincitore delle elezioni per il capo dell'esecutivo di Hong Kong. D'altronde, il candidato era uno solo: John Lee, 64 anni, ex responsabile della sicurezza che ha guidato la repressione delle proteste del 2019.
Repressione sfociata in una draconiana legge di sicurezza nazionale e in una riforma elettorale che consente di candidarsi solo ai "patrioti". Le autorità la chiamano «democrazia con caratteristiche di Hong Kong». Si sono schierati con Lee in 1416, il 99,2% dei 1428 votanti.
JOHN LEE
«Il risultato dimostra che la città lo riconosce a pieno titolo», recita il comunicato dell'ufficio di collegamento con il governo di Pechino. Ma il diritto di voto è concesso a un comitato elettorale che rappresenta solo lo 0,02% dei 7,4 milioni di abitanti dell'ex colonia britannica. L'Unione europea, tramite l'alto rappresentante per gli affari esteri Josep Borrell, sostiene che l'elezione di Lee violi i principi democratici e rappresenti «un altro passo nello smantellamento del principio di un paese, due sistemi».
Un modello che avrebbe dovuto restare in vigore fino al 2047, a 50 anni dalla restituzione di Hong Kong alla Cina, ma che di fatto è stato pensionato molto prima. Con il passaggio di testimone da Carrie Lam a Lee gli attivisti e l'opposizione ormai disarticolata temono che qualsiasi residuo di autonomia venga cancellato definitivamente. Xi Jinping vede in Lee una figura non solo allineata ma anche più forte di quella di Lam, in grado di tenere sotto controllo la città.
JOHN LEE
La sua nomina rappresenta un chiaro messaggio agli Stati Uniti, visto che il dipartimento del Tesoro di Washington lo aveva sanzionato per il suo ruolo nella repressione violenta delle proteste. Prima della formalità del voto, Lee ha presentato un progetto di governo di 44 pagine nel quale individua quattro obiettivi principali: risolvere la questione abitativa, tutelare la sicurezza nazionale (e dunque il Partito comunista), rafforzare le capacità di governance e la competitività internazionale di quello che è stato a lungo il ponte tra Cina e occidente. Non sarà semplice preservare il ruolo di centro finanziario globale, visto che Hong Kong è sempre più una città cinese come le altre.