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    NON SIETE STATO, VOI - IL MINISTERO DEI TRASPORTI AVREBBE POTUTO (E DOVUTO) VIGILARE SUI LAVORI AL PONTE MORANDI, INVIANDO GLI ISPETTORI E RENDENDOSI CONTO DELLA SITUAZIONE - POTEVA CHIEDERE UN’INDAGINE SULL’INFRASTRUTTURA E SENZA SPENDERE UN EURO PERCHÉ PER LEGGE I COSTI DELLE ISPEZIONI E DEI CONTROLLI SONO A CARICO DEL CONCESSIONARIO, CIOÈ I BENETTON - MA DI TUTTO QUELLO CHE POTEVA FARE, LO STATO NON HA FATTO NULLA. PERCHÉ?


     
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    1 - DAGONEWS

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    Il punto nodale della vicenda è che la responsabilità dei controlli, per legge, spetta al Ministero dei trasporti. Perchè non ha provveduto a controllare in modo scrupoloso? Tra l'altro questa “defaillance” sarà, probabilmente, il caposaldo della linea difensiva di Autostrade in caso di battaglia legale. Per la serie: “Abbiamo operato i controlli richiesti e nessuno ha mai contestato i nostri”. Il paradosso è che il gruppo rischia di avere ragione (magari davanti al Tar). Per questo il governo, nonostante le smentite, pensa ad un decreto legge…

     

    2 - VIGILANZA SUI LAVORI, IL MINISTERO DECISE DI NON DISTURBARE

    Daniele Martini per il “Fatto quotidiano”

     

    graziano delrio graziano delrio

    Lo Stato avrebbe potuto e dovuto vigilare in maniera puntuale sui lavori in corso sul ponte Morandi di Genova. Per legge il ministero dei Trasporti avrebbe avuto gli strumenti per esercitare questo potere su tutti i circa tremila chilometri della rete dei Benetton.

    Avrebbe potuto inviare i suoi ispettori a rendersi conto di come stavano procedendo le cose su quel ponte considerato da anni un grande ma insostituibile malato. Avrebbe potuto anche chiedere un' indagine sulle condizioni di quella infrastruttura ritenuta in fin di vita dagli esperti.

     

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    Avrebbe potuto affiancare questa indagine a quella richiesta dai Benetton al Politecnico di Milano. Avrebbe potuto mettere a confronto le conclusioni, discutere con il concessionario modalità e tempi di intervento. E avrebbe potuto farlo senza spendere un euro perché per legge i costi delle ispezioni e dei controlli sarebbero stati a carico del concessionario, cioè i Benetton. Ma di tutto quello che poteva fare, lo Stato non ha fatto nulla. Perché?

     

    Ad attribuire al ministero dei Trasporti precisi poteri e doveri di ispezione e indagine è l'articolo 28 della Convenzione unica voluta nel 2007 dal ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, e sottoscritta da una parte dall' Anas, che a quei tempi aveva ancora il potere di vigilanza sulle autostrade, e dall' altra da Giovanni Castellucci, amministratore di Autostrade per l' Italia (Benetton).

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    La Convenzione un anno dopo diventò legge per cui qualsiasi inadempienza ad essa collegata è passibile di sanzione giudiziaria. Il titolo dell' articolo in questione è "Vigilanza del Concedente", cioè lo Stato. Al comma 3 si stabilisce: "Il Concedente potrà richiedere tutti i chiarimenti necessari. Visita e assiste ai lavori, può eseguire prove, esperimenti, misurazioni, saggi e quanto altro necessario per accertare il buon andamento dei lavori. Il Concessionario deve fornire tutti i mezzi occorrenti provvedendo alle spese all' uopo necessarie".

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    Il comma 1 è altrettanto chiaro: "Il Concedente vigila affinché i lavori di adeguamento delle autostrade siano eseguiti a perfetta regola d' arte a norma dei progetti approvati, senza che per il fatto di tale vigilanza resti diminuita la responsabilità del Concessionario in ordine all' esecuzione dei lavori. Il Concedente vigila anche sui lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e sui ripristini".

     

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    Perché tutti i ministri dei Trasporti che si sono succeduti dalla firma della Convenzione ad oggi non hanno voluto usare i forti poteri di controllo e vigilanza sui lavori passati, in corso e futuri che riguardano le autostrade dei Benetton derivanti dall' articolo 28 della Convenzione?

     

    E perché anche i dirigenti pubblici responsabili della vigilanza sulle autostrade hanno chiuso in un cassetto la Convenzione senza avvalersene fino in fondo? Non ci sono risposte plausibili se non che il potere politico prima e a ruota gli alti dirigenti del ministero abbiano voluto che i Benetton sui loro tremila chilometri si regolassero da soli, come se quelle strade fossero roba loro e non dello Stato che le aveva pagate e costruite nei decenni precedenti.

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    Sono due i dirigenti statali che hanno avuto la responsabilità di vigilare per conto dello Stato sul comportamento dei concessionari. Il primo è Mauro Coletta, che ha svolto quel delicatissimo compito per una quindicina d' anni, all' inizio come alto dirigente dell' Anas.

     

    E quando poi l' Anas ha dovuto cedere questa funzione al ministero dei Trasporti, si è spostato solo di qualche centinaio di metri e da via Monzambano a Roma sede dell' azienda delle strade si è trasferito negli uffici ministeriali a Porta Pia. Un anno fa ha lasciato l' incarico ed è stato sostituito da Vincenzo Cinelli, un alto funzionario che fino a quel momento si era occupato di vigilanza sul sistema delle dighe. Dicono che in quell' incarico abbia fatto di tutto per non farsi notare e aggiungono pure che alla Vigilanza delle autostrade fino ad ora non si sia discostato da questa impostazione.

     

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    Per effettuare concretamente le ispezioni e i controlli sulle autostrade della rete Benetton e anche su i tratti delle altre concessionarie la Direzione del ministero dei Trasporti può contare su un organico di un' ottantina di persone. Che grosso modo sono i dipendenti della vecchia Ivca, Istituto di vigilanza sulle concessionarie autostradali in capo all' Anas, spostati al ministero.

     

    Per anni è stata ripetuta la solfa che non c' erano soldi per pagare ispezioni e trasferte. Nessuno ha mai detto che a pagare non doveva essere lo Stato, ma i Benetton. I quali, peraltro, hanno fatto ricorso anche per non pagare i costi delle ispezioni relative alla sicurezza stradale.

     

    3 - GENOVA, NEL MIRINO DELLA PROCURA IL VIA LIBERA DEL MINISTERO AI LAVORI

    Tommaso Fregatti e Marco Grasso per “la Stampa”

     

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    Le prime audizioni potrebbero essere fissate già nei prossimi giorni. E il rischio concreto è che i passi iniziali dell' inchiesta sul crollo del Ponte Morandi mettano in serio imbarazzo la commissione ministeriale che, su mandato del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, indaga in parallelo sul disastro. In tempi molto brevi la procura di Genova ha intenzione di convocare, in qualità di persone informate sui fatti, i membri del comitato tecnico del ministero che, nel febbraio di quest' anno, si pronunciarono sul progetto di ristrutturazione dell' infrastruttura presentato da Autostrade per l' Italia e che, da quel momento, erano informati delle criticità dell' infrastruttura.

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    In altre parole, l' inchiesta penale e quella governativa, sono già prossime al cortocircuito, dato che Roberto Ferrazza, presidente del comitato tecnico, il provveditore alle opere pubbliche di Piemonte, Liguria e Val d' Aosta, è anche a capo degli ispettori del ministero, e rischia di trovarsi in due ruoli, in potenziale conflitto d' interesse: quello di testimone, chiamato dai pm a riferire sull'operato del ministero; e quello di capo dei tecnici incaricati dal governo di fare luce sulle responsabilità, possibilmente prima della magistratura.

     

    In una posizione simile, sebbene più defilata, anche l'ingegnere Alberto Brencich, anche lui membro di entrambe le commissioni. Ieri, intanto, la Guardia di finanza ha sequestrato nuovi documenti presso la sede di Autostrade per l'Italia.

     

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    I documenti sequestrati Roberto Ferrazza aveva già spiegato di essere «tranquillo», avendo offerto «solamente un parere tecnico». Al tempo stesso, aveva anche ribadito di essere pronto a rassegnare le proprie dimissioni dall' incarico ispettivo. Al centro dell' attenzione del procuratore aggiunto Paolo D' Ovidio, e dei sostituti Massimo Terrile e Walter Cotugno, c' è il parere tecnico emesso dal comitato tecnico del Provveditorato alle opere pubbliche il primo febbraio 2018, sul progetto di «retrofitting» di Ponte Morandi.

     

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    Una relazione di 30 pagine giudicata dagli investigatori «molto interessante», sotto almeno due profili: il primo è che da quel momento in poi il ministero entra in possesso di due dossier (il primo della società privata Cesi, il secondo del Politecnico di Milano) incentrati sulle carenze strutturali del ponte, che evidenziano in particolare le anomalie delle prove sugli stralli (i tiranti d' acciaio rivestiti di cemento che sostenevano l'intera struttura) «indeboliti del 20%» e invitano la società a dotarsi di sensori; il secondo riguarda le osservazioni del comitato tecnico, che pur ritenendo quel progetto «valido» segnalano ad Autostrade che i calcoli sulla tenuta strutturale potrebbero essere viziati da «sovrastime sulla resistenza del 100% del calcestruzzo», per via di un metodo scientifico «fallace».

    Il nodo del «miglioramento» Dopo un primo il blitz di due giorni fa al Provveditorato alle opere pubbliche, ieri la finanza ha sequestrato nuovi documenti presso la sede di Autostrade per l' Italia.

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    Fra i documenti in corso d'acquisizione c'è la convenzione che regola la concessione della rete autostradale ad Autostrade per l' Italia, la parte pubblica e, soprattutto, gli allegati riservati. In quei documenti i magistrati sperano di trovare più di una risposta sul perimetro normativo che regola i rapporti fra la concessionaria e il ruolo di controllore del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

     

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    Fra gli aspetti da chiarire c' è anche la qualificazione dell' intervento che Autostrade era intenzionata a fare: il progetto era denominato di «retrofitting», dunque un miglioramento del ponte, non una «semplice» manutenzione straordinaria. La distinzione fra queste due categorie potrebbe avere rilevanza in merito agli oneri dell' intervento, che nel primo caso potevano essere scaricati in parte sugli aumenti delle tariffe.

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