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    IL ‘MODELLO SVEDESE’ ANTI-COVID CON POCHE RESTRIZIONI HA FUNZIONATO? HA SALVATO IL PIL E LA SALUTE MENTALE O HA CAUSATO TROPPI MORTI? IL PROTOCOLLO DI STOCCOLMA HA PORTATO PIÙ DECESSI E CONTAGI CHE NEL RESTO DELLA SCANDINAVIA (E UN PIL NON MENO ABBATTUTO) MA ORA MENTRE LE CURVE DI TUTTA EUROPA, COMPRESE DANIMARCA E NORVEGIA, CONTINUANO A SALIRE VERSO L’ALTO, QUELLA SVEDESE RESTA MENO RIPIDA. È POSSIBILE CHE...


     
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    Irene Soave per corriere.it

     

     

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    «È presto per giudicare». Anders Tegnell - l’epidemiologo che ha guidato la Svezia attraverso la pandemia - ha ripetuto questa frase ad aprile 2020, a giugno 2020, a settembre, a dicembre e poi di nuovo ad aprile in ogni intervista, conferenza stampa, comunicato. «Giudicatemi tra almeno un anno».

     

    Il tempo passa, ma il giudizio sul «modello svedese» rimane, in larga parte, indecidibile. Tra quelli dei Paesi industrializzati, il protocollo con cui Stoccolma ha affrontato il Covid-19 è stato il più discusso e strumentalizzato. Mentre le autorità sanitarie di quasi tutta Europa, degli Stati Uniti e di gran parte dell’Asia chiudevano negozi, scuole e attività produttive, Tegnell insisteva sull’inefficacia dei lockdown.

     

    «È come cercare di uccidere una zanzara con un martello» è un’altra delle sue frasi più ripetute. A lungo le autorità svedesi hanno esitato a introdurre l’obbligo di mascherina: «Non ci sono prove che funzioni», ha sostenuto sempre Tegnell, e quando poi si è deciso, o piegato, a introdurla sui mezzi pubblici almeno nelle ore di punta, lo ha fatto con una «raccomandazione». Le scuole sono rimaste aperte, e così bar e ristoranti.

     

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    La sostanza della strategia non è cambiata nemmeno quando, a dicembre, re Carl XVI Gustaf ha rotto la tradizionale ritrosia a commentare gli affari correnti per andare in tv a scusarsi coi suoi sudditi: «Sul Covid-19», ha detto, «abbiamo sbagliato». Eppure nemmeno allora Tegnell ha intrapreso un’inversione a U.

     

    Il mantra è stato sempre lo stesso: «È presto per giudicare». A giugno l’epidemiologo ha poi ammesso soltanto che «se si ripresentasse la pandemia, con le cose che sappiamo ora, ci comporteremmo a metà tra quanto fatto e quanto ha fatto il resto del mondo». A oggi la Svezia ha registrato 1.122.139 casi di Covid-19 e 14.682 morti causate dalla malattia. È un successo? Una disfatta?

     

    I dati

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    Solo questa settimana, ad esempio, il quotidiano britannico Telegraph elogia l’«esperimento svedese» — «Ha salvato Pil e salute mentale» — mentre il magazine Business Insider lo stronca titolando «Troppi morti, non ha funzionato». Opinioni così polarizzate si alternano sulla stampa internazionale da 16 mesi. Sono però fondate sui medesimi dati.

     

    I casi registrati, un milione e centomila su circa 10 milioni di abitanti, indicano che ha avuto il Covid-19 circa l’11 per cento della popolazione. A confronto coi vicini, un record: ha avuto il Covid solo il 2,9% dei 5,3 milioni di norvegesi, ad esempio, e il 2,2% dei 5,5 milioni di finlandesi. Insieme alla capillarità della campagna vaccinale — a oggi l’81,5% degli svedesi ha ricevuto almeno una dose e il 65,8% le ha ricevute entrambe — questo dato può forse contribuire a spiegare come mai, in questa settimana in cui le curve di diffusione del contagio tornano a salire in molti Paesi industrializzati e soprattutto nelle vicine Norvegia e Danimarca, la curva svedese va invece ancora verso il basso.

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    È l’effetto a lungo termine a cui puntava Anders Tegnell quando, circa un anno fa, in un’intervista al Financial Times parlava di «sostenibilità» della risposta al Covid-19. Si era sul finire di un’estate in cui la pandemia sembrava recedere, e il «modello svedese» tornava d’interesse: proprio in quei giorni il premier britannico Boris Johnson aveva invitato Tegnell per un’audizione che gli sarebbe servita a pianificare le riaperture. Pur smentendo la possibilità di puntare a un’«immunità di gregge»,

     

    Tegnell citava l’alto tasso di svedesi immunizzati perché guariti dal Covid-19, chiedendosi anche: «Cosa proteggerà, per esempio, i danesi? Nuovi lockdown?». Sarebbe facile pensare che Tegnell abbia avuto ragione. Nella stessa intervista, però, pronosticava che per la Svezia il peggio fosse passato: «Non mi pare possibile che avremo nuovi picchi». La settimana seguente ripartiva in Svezia un’ondata di nuovi casi che non si sarebbe spenta fino alla primavera 2021, in un autunno nero che sarebbe culminato, a dicembre, con le scuse in televisione del re.

     

    Casi di Covid in Svezia Casi di Covid in Svezia

    Che sia sempre Anders Tegnell a enunciare, difendere, spiegare — «ripeto volentieri le cose cento volte a chiunque me le chieda» — la strategia svedese di contenimento della pandemia non è un caso di protagonismo. Dirigente della Folkhälsomyndigheten, l’agenzia di salute pubblica di Stoccolma, sarebbe dovuto partire per una missione in Somalia all’inizio del 2020, ma le cose sono andate diversamente. La Folkhälsomyndigheten fa parte di una serie di agenzie pubbliche su materie tecniche che sono, secondo la costituzione, totalmente indipendenti dal governo. Questa estraneità alla politica e la natura «tecnica» della Folkhälsomyndigheten sono state spesso citate da Tegnell come spiegazione della sua maggiore libertà di movimento e con essa dell’eccezione svedese.

     

    «Se non fossero paralizzati dalle istituzioni», dice in un’intervista della scorsa primavera, «molti altri ufficiali di salute pubblica, in altri Paesi, avrebbero seguito policy come le nostre».

    Bar a Stoccolma Bar a Stoccolma

     

    Salvo che da parte dell’estrema destra parlamentare, che ne chiede regolarmente le dimissioni, Tegnell gode di un diffuso appoggio da parte della popolazione anche dopo 16 mesi di pandemia: un «Anders Tegnell fan club» su Facebook ha 32 mila iscritti e viene regolarmente aggiornato, e il 34enne Gustav Lloyd Agerblad, che la scorsa estate si è fatto tatuare la faccia di Tegnell sull’avambraccio, ha lanciato una piccola moda hipster. Il rapper svedese Shazaam gli ha dedicato un brano, «Anders Tegnell», che ne loda l’equilibrio. «Non sono un uomo solo contro il mondo», ripete spesso Tegnell — che ha però sospeso per il momento le interviste con la stampa internazionale, e si esprime solo per conferenze stampa — e cita il sostegno dei più di 500 colleghi che lavorano con lui alla Folkhälsomyndigheten. È innegabile, comunque, che sia il volto della lotta al Covid-19 nel Paese.

     

     

    La strategia e i (pochi) cambi di rotta

    A inizio 2019 un report globale della Johns Hopkins University classificava la Svezia come uno dei Paesi «più pronti» ad affrontare una pandemia.

     

    Anders Tegnell Anders Tegnell

    Il primo caso di coronavirus in Svezia si manifesta il 31 gennaio 2o20: è una donna di Jönköping, tornata una settimana prima da un viaggio a Wuhan. Sentendosi male, con sintomi respiratori, e avendo sentito parlare in Cina di una nuova influenza in circolo, la donna si chiude intuitivamente, volontariamente in casa. Non contagia nessuno.

     

    Facendo affidamento su un simile senso civico il governo svedese non obbliga i cittadini a restringere i movimenti, ma «raccomanda» di limitare gli spostamenti nelle città e fuori al minimo necessario. Gli esercizi commerciali, i bar e i ristoranti restano aperti. Funzionerà: uno studio sulle celle telefoniche citato dal «New Yorker» mostra che gli spostamenti degli svedesi si sono massicciamente ridotti sin dai primi giorni della pandemia, nonostante non sia mai stato indetto un lockdown.

     

    Già a gennaio 2020, con le prime allerte internazionali, Tegnell avverte in alcuni scambi privati (pubblicati poi dal «New Yorker») che le sole misure da prendere saranno quelle basate sull’evidenza scientifica; questa linea prevarrà nei primi mesi di pandemia, quando in mezzo all’Europa che chiude Tegnell nega che vi siano evidenze sull’efficacia del lockdown, inventando il famoso slogan che «è come uccidere una zanzara con un martello». «Non ci sono epidemiologi che ne sostengano l’utilità a lungo termine», è da sempre la sua difesa.

     

    L’immunità di gregge

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    Nei mesi che seguiranno, Tegnell e l’intera agenzia di salute pubblica negheranno che lo scopo sia mai stato quello di perseguire una «immunità di gregge», cioè uno stato in cui una maggioranza della popolazione sia immune al virus, per averlo già contratto, e quindi il virus cessi di circolare. Anche perché è ben presto chiaro che l’obiettivo sarebbe irrealistico.

     

    Eppure alcune inchieste giornalistiche mostrano uno scambio di mail — datato 14 e 15 marzo — tra la Folkhälsomyndigheten e l’omologa agenzia finlandese in cui Tegnell resiste a indire la chiusura delle scuole, spiegando che tenendole aperte «i giovani si sarebbero immunizzati più presto». I finlandesi rispondono che con le scuole chiuse la proiezione è che i contagi tra gli anziani possano diminuire anche del 10%. La risposta di Tegnell è lapidaria: ne vale la pena? «Siamo di fronte a una malattia che è qui per restare», ha sempre detto l’epidemiologo, «ed è necessario costruire sistemi che possano farvi fronte in maniera duratura».

     

    coronavirus tamponi a malmo coronavirus tamponi a malmo

    Il «modello svedese» affascina da subito il Regno Unito di Boris Johnson, e i contatti tra gli ufficiali di salute pubblica sono sistematici. Nelle prime settimane della primavera 2020, la risposta alla pandemia segue nei due Paesi simili traiettorie di volontarietà e libertà. Poi in Regno Unito i casi schizzano: anche per la densità demografica: gli svedesi sono sono 10 milioni e il 20% vive a Stoccolma, non a caso infatti i casi in Svezia sono sei volte tanto che nel resto del Paese, mentre il Regno Unito è assai più densamente urbanizzato. Già il 23 marzo il Regno Unito chiude le scuole. Poi a Pasqua Boris Johnson si ammala e rischia di morire e la sua strada si separa fatalmente da quella di Tegnell.

     

     

    I primi segni di sfiducia e il commissariamento dell’Agenzia

    Carl XVI Gustaf svezia 1 Carl XVI Gustaf svezia 1

    Ad aprile 2020 in Svezia — dove le scuole restano aperte fino ai 16 anni e i presidi minacciano i genitori di ricorrere agli assistenti sociali se i figli vengono tenuti a casa — si verifica una prima crepa nella fiducia che la collettività accorda a Tegnell. Un articolo scientifico dell’università di Uppsala raggiunge gli organi di stampa prima di essere approvato. Contiene proiezioni per i mesi a seguire: se la strategia continua così, il 50% degli svedesi si infetterà entro un mese e 80 mila moriranno.

     

    È panico generale. Non andrà così; ma il tasso di morti su 100 mila abitanti diventa ben presto tra i più alti d’Europa, con una vera e propria strage nelle case di riposo. Questo dato, più delle pressioni sempre più insistenti dell’opposizione parlamentare e dei cittadini, spinge il governo a aggiungere due misure restrittive: chiudere al pubblico tutte le case di riposo e vietare i raduni di più di cinquanta persone. Tegnell compare spesso in pubblico a discutere della strategia adottata. Il mantra è sempre: «È presto per giudicare».

     

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    In estate i casi declinano e la situazione sembra migliorare, tanto che a settembre Tegnell e i suoi incontrano Boris Johnson per un’audizione sul loro modello, che il premier britannico (guarito a Pasqua) studia con attenzione. Il protocollo svedese, dopo una primavera di sfinenti lockdown in tutto il mondo, sembra tornare in auge; a luglio 2020 una lettera di 25 scienziati svedesi lancia un appello, «Non fate come la Svezia, non ha funzionato». È di quei giorni l’intervista al Financial Times in cui Tegnell prevede, disinvoltamente, che «difficilmente la Svezia vedrà nuovi picchi».

     

    Due mesi dopo, a novembre 2020, le terapie intensive di Stoccolma e Malmo sono piene.

    Escono i primi sondaggi preoccupanti: la fiducia generale nelle istituzioni a ottobre è del 68%, a dicembre del 52%. Il governo crea una commissione di vigilanza sulla risposta al Covid. La commissione emette un giudizio severo, particolarmente sulla gestione del Covid negli anziani . «La strategia per proteggere gli anziani è stata fallimentare». Il 17 dicembre il discorso del re. «Abbiamo sbagliato».

     

    La schermaglia sulle mascherine

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    È in quei giorni che una legge introduce un’eccezione alla costituzione: lo stato potrà, se necessario, ordinare la chiusura delle attività produttive. Il 18 dicembre la Folkhälsomyndigheten di Tegnell diffonde una raccomandazione di indossare mascherine almeno nell’ora di punta sui mezzi - comunque ribadendo che il distanziamento è il vero antidoto alla trasmissione.

    Lo scetticismo sull’uso delle mascherine, all’inizio della pandemia addirittura vietate in certi ospedali, è diventato uno dei simboli dell’eccezione svedese. La Folkhälsomyndigheten, all’inizio, ne scoraggia addirittura l’uso: non solo, è la spiegazione ufficiale, non ci sono sufficienti evidenze scientifiche che serva.

     

    Ma spesso le mascherine sono usate in modo scorretto, o addirittura sembrano una misura di protezione sufficiente che fa sì che ad esempio chi le indossa non tenga le distanze. La linea anti-mascherine è più forte soprattutto nei primi stadi della pandemia, quando le certezze della loro utilità, tra gli scienziati, erano poche - e c’erano poche certezze al riguardo. Ad aprile 2020 Tegnell scrive all’European Center for Disease Control chiedendo di sospendere le raccomandazioni in tema, dicendo che «gli argomenti contro sono almeno altrettanti che quelli a favore». Tegnell insiste sempre sul distanziamento.

     

     

    MORTALITA' IN ECCESSO CORONAVIRUS ITALIA VS SVEZIA MORTALITA' IN ECCESSO CORONAVIRUS ITALIA VS SVEZIA

    Il confronto con gli altri Paesi

    Per valutare l’efficacia delle misure adottate da Stoccolma, con quali Paesi ha senso confrontarle? L’orientamento della comunità scientifica internazionale è più spesso quello di confrontarli con quelli degli altri Paesi scandinavi, comparabili per diversi fattori chiave — dalle strutture del sistema sanitario al contesto socioeconomico — ma più rigidi nel limitare spostamenti, assembramenti e attività produttive.

     

    In questo caso i contagi per milione di abitanti e la mortalità sono peggiori in Svezia che nei Paesi vicini. A oggi i morti complessivi di Covid-19 sono 14.682. I casi totali sono 1.122.139. Ha avuto il Covid-19 l’11% degli svedesi. In Norvegia: 152.714 casi totali, 814 morti. I norvegesi sono 5,3 milioni: lo ha avuto il 2,9% dei norvegesi. Finlandia: 124.285 casi, 1.019 morti. I finlandesi sono 5,5 milioni e lo ha avuto il 2,2% dei finlandesi Danimarca: 342.861, 2.575 morti. I danesi sono 5,8 milioni. E così via.

     

    Anders Tegnell ha sempre sostenuto però che la Svezia vada confrontata — per la maggiore densità abitativa, avendo il doppio degli abitanti della Norvegia — con il resto d’Europa. Anche per quanto riguarda la percentuale di stranieri sul territorio, la Svezia somiglia più a un Paese Ue che ai suoi vicini scandinavi. Eppure non ci sono evidenze epidemiologiche di una maggiore incidenza del Covid-19 tra gli stranieri in alcun altro Paese d’Europa.

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    L’Italia e la Danimarca hanno una simile percentuale di stranieri residenti (il 10% circa) ma statistiche Covid-19 ben diverse. In senso ancora contrario va invece una ricerca del dipartimento di salute pubblica pubblicata a primavera 2021: nella popolazione di migranti ci sono molti più ospedalizzati per Covid-19 e meno vaccinati. Insomma, i migranti pesano o no? Anche qui, «è presto per giudicare».

     

    L’impatto sul Pil, viceversa, non è stato tanto più clemente: la Svezia nel 2020 ha perso circa il 3 per cento, meglio della media europea ma non della media scandinava.

     

    Quel che ha funzionato

    Anche confrontando la Svezia con i vicini scandinavi più rigoristi, comunque, la pandemia a oggi non è stata una catastrofe. Non si sono avverate, per esempio, le proiezioni tragiche del paper dell’università di Uppsala. Perché? La risposta sanitaria, con ospedali di alto livello, è stata all’altezza.

     

    birretta in svezia alla faccia del coronavirus birretta in svezia alla faccia del coronavirus

    Ma soprattutto le restrizioni, forse, non sono state davvero così lassiste come sono parse nel resto del mondo. Gli svedesi, già inclini a isolarsi — come la paziente zero — si sono davvero mossi assai meno che in tempi normali. Le scuole sono sì rimaste aperte, ma le superiori e le università hanno trasferito online tutte le attività, e la didattica a distanza ha preso piede sopra i 16 anni in modo capillare.

     

    Queste misure sono forse state sufficienti, di per sé, ad arginare il propagarsi incontrollato dei contagi. E mentre le curve di tutta Europa, comprese Danimarca e Norvegia, continuano a salire verso l’alto, quella svedese resta meno ripida. È possibile che dopo 16 mesi di pandemia si stiano davvero mietendo i frutti di una politica che a molti è parsa controcorrente? Anche in questo caso, «è presto per giudicare».

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