Elena Barlozzari Alessandra Benignetti per ilgiornale.it
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C'è chi abbassa la serranda sconfortato, chi si ribella e decide di sfidare i divieti e chi, invece, spera di tamponare i danni con il digitale. Sono tante facce della stessa medaglia, dello stesso dramma. Quello di palestre e centri sportivi è un settore ridotto all'agonia.
Antonio Vita, romano di sessantasei anni, fa parte di quella categoria di imprenditori che faticano a realizzare. Ieri mattina ha salutato i suoi dipendenti e radunato le sue cose. Il suo centro sportivo, nella zona nord della Capitale, ripartirà, forse, il 24 novembre. "Mercoledì sera sono venuti i Nas a fare dei controlli, hanno trovato tutto in regola", racconta.
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Tra termoscanner, cartellonistica, gel igienizzanti e pannelli di plexiglass ha speso più di diecimila euro. "La mia palestra - continua a ripetere - è sicura". Non riesce a darsi una spiegazione: "Avete visto in che condizioni si viaggia sui mezzi pubblici di Roma? Sono un carnaio, perché la mia palestra è considerata più pericolosa di un vagone affollato?". Un interrogativo, il suo, che per ora rimane senza risposta. Per Ciro Santucci, proprietario di Audace, un franchising di palestre milanese, il prezzo per adeguarsi ai protocolli sanitari è stato ancora più salato: trecentomila euro.
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"Abbiamo smontato sauna e bagno turco, rifatto gli spogliatoi, messo le tubazioni in rame nelle docce, acquistato disinfettanti, termoscanner, macchinari nuovi e alla fine - denuncia – abbiamo dovuto chiudere ugualmente". "Soldi buttati nel water", si sfoga. "Anche da noi sabato mattina sono arrivati i Nas e come tantissimi colleghi siamo risultati a norma, su un gruppo di cinquecento palestre non c'è stato né un focolaio né un caso di Covid, questo - commenta - dimostra che sono luoghi sicuri".
È la stessa linea della catena Virgin Active: "Per quanto ci riguarda, abbiamo attuato dei protocolli di sicurezza molto severi fin dalla riapertura nella primavera scorsa e i clienti hanno premiato i nostri sforzi riprendendo ad allenarsi in maniera costante". Ora i soci del club dovranno ripiegare sugli allenamenti casalinghi. "Non ci fermiamo", assicurano dal gruppo, annunciando il rafforzamento dell’offerta digitale "con allenamenti on demand e sessioni live ogni settimana".
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Se le grandi catene approdano in rete per ovviare alle chiusure, chi gestisce attività a conduzione familiare pensa ad azioni eclatanti per far cambiare idea al governo. Mery Pellanda, imprenditrice di Codigoro, nel Ferrarese, ha deciso che la sua palestra resterà aperta. Come? "Gli associati si alleneranno all’esterno", ci spiega al telefono.
È qui che Mery ha posizionato macchinari e attrezzature. "Il decreto lo permette – incalza – e poi non posso fare altrimenti, perché ho troppi debiti ". La sua azienda è sotto di sessantamila euro, tra costi sostenuti per adeguarsi ai protocolli sanitari e mancati incassi nei mesi di lockdown. "Mi sono indebitata per far fronte a tutte le spese – si sfoga – non posso mica chiudere i battenti, tra un mese chi pagherà per me?".
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Alle promesse del premier non ci crede più. "Sono stata esclusa addirittura dal bonus affitti senza neanche uno straccio di spiegazione", si lamenta. È scettico anche Santucci. "I miei dipendenti aspettano ancora la cassa integrazione di maggio, da questo governo - attacca - non mi aspetto più nulla, stamattina ci sono quaranta persone in più in mezzo alla strada che passeranno un Natale di ristrettezze". È lo stesso cruccio di Antonio: "Sono preoccupato per dipendenti e collaboratori - si sfoga - perché siamo una grande famiglia". "Li aiuterò come potrò anche se - ci dice - dalla scorsa primavera ho accumulato più di cinquantamila euro di debiti".
Se lo scorso aprile molte aziende avevano anticipato i soldi ai lavoratori, ora, dopo mesi di mancati guadagni, nessuno può più permetterselo. "Ci hanno preso in giro – attacca ancora Santucci – non hanno fatto un controllo da giugno ad ottobre, questa settimana hanno mandato i carabinieri in tutte le palestre alla ricerca di presunte irregolarità che motivassero le chiusure, non le hanno trovate, evidentemente era un provvedimento che si voleva prendere comunque". "A Conte suggerisco di dimettersi, come fa - si domanda - a non capire che se crollano le aziende crolla anche tutto il resto?".
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Intanto, mentre da Nord a Sud le piazze si infiammano, gli operatori del settore stanno protestando in piazza del Pantheon, a Roma. "Lo sport è salute, il danno lo avete fatto a tutto il tessuto sociale", recita lo slogan impresso sulla locandina della manifestazione. "Quattro di noi verranno ricevuti a palazzo Chigi nel pomeriggio, le nostre richieste – spiegano dalla piazza – sono: ripristino delle condizioni precedenti all’ultimo Dpcm, erogazione di fondi a titolo di risarcimento del danno di immagine per le aziende e l’inizio dei lavori per il riconoscimento dei collaboratori nel CCNL".
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Venerdì a mezzogiorno si ricomincerà da piazza Duomo a Milano. "L'iniziativa è nata con il passaparola ed i social network, ognuno di noi si sta dando da fare come può", ci spiega Sara Carminati, membro del Movimento istruttori nuoto, allenatori e assistenti bagnanti (Minaab). "Siamo rimasti in silenzio per troppo tempo - conclude - adesso basta".
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Se anche voi siete tra le "vittime" della decisione del governo, raccontateci la vostra storia con una mail a segnala@ilgiornale.it e indicate nell'oggetto "Lavorare è un diritto, riaprite le palestre".
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