Gabriele De Stefani per “la Stampa”
salvini meme sul risultato elettorale della lega
«Guardi, Salvini deve fare una cosa facile: andarsene. Noi abbiamo bisogno di politici con cui lavorare in pace, lui ne ha combinata una al giorno: il Papeete, i pieni poteri, Draghi mandato a casa, la vicinanza a Putin. Robe da matti».
Siro Badon fa scarpe di lusso nel Padovano, novanta dipendenti, clienti in tutto il mondo, ex presidente di Assocalzature. Piedi ben piantati a terra, elettore leghista con Luca Zaia come faro, «quello sì che è concreto, altroché Salvini che fa quello che dicono i social network e non sa cos' è il Paese reale». Il Nordest produttivo ha voltato le spalle al Capitano e i toni stavolta sono definitivi. La parola chiave è credibilità. Quella che Salvini ha perso.
Anche nel feudo leghista per eccellenza. Gliel'avevano promessa: «Ci ricorderemo di chi ha tradito le imprese» aveva avvisato Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, all'indomani dell'affossamento del governo Draghi.
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"Mona mi che te go creduo e anca vota'", scemo io che ti ho creduto e ti ho anche votato, era lo striscione con cui Salvini era stato accolto a Treviso in campagna elettorale. Detto, fatto: Lega al 14% in Veneto, il 32% di Fratelli d'Italia lontanissimo, le percentuali bulgare di Zaia alle regionali nemmeno immaginabili.
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Certo, la vendetta è stata anche dentro il partito: gli uomini del governatore fatti fuori dalle liste non hanno certo spinto in campagna elettorale, anzi. Ma il grande scollamento è con la base. «A noi servono due cose: una maggioranza chiara che dia stabilità al Paese e un governo serio e credibile, che collochi l'Italia al centro dell'Unione Europea e non vada a Bruxelles a litigare per fare altro debito e altri sprechi» sintetizza Luigi Vescovi, ex presidente di Confindustria Vicenza, dove il Capitano all'ultima assemblea nemmeno lo hanno invitato. «Qui non c'è un elettorato volubile, ma concreto - prosegue Vescovi - Salvini fa molti discorsi che stanno poco in piedi e quindi gli imprenditori lo hanno mollato. Lui ha fatto cadere Draghi, ma a noi serve stabilità.
Parla di scostamenti di bilancio, ma noi vogliamo i conti pubblici in ordine, perché il debito lo paga chi lavora. Vuole riformare la Fornero, ma quella legge semmai ha il difetto di essere troppo morbida».
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Se la bocciatura è limpida, meno diretto è il salto di un elettorato indipendentista nelle braccia della leader di un partito nazionalista. Massimo Calearo, imprenditore ed ex deputato dem, politicamente sta dall'altra parte ma conosce alla perfezione il mondo produttivo veneto: «Qui interessa poco se uno è di destra o sinistra, contano serietà e fermezza e per questo Meloni è stata premiata, come accade con Zaia. È solo una questione di pragmatismo».
Che sarà anche l'unico metro con cui giudicare la premier in pectore: «Ha i numeri per governare, darci stabilità, scegliere ministri capaci e competenti senza compromessi: il vincitore è chiaro, da oggi lo sono anche le sue responsabilità» avverte Vescovi. E piedi per terra anche in Europa: «Dell'Ue abbiamo bisogno - dice Badon -. Eviterei le amicizie di Orban e Le Pen: noi lavoriamo con Germania e Francia, con Macron e Scholz deve andare d'accordo».
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