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    IL FALSO STORICO SULLE NOTTI MAGICHE/2 – CHIAMATO IN CAUSA DA CAZZULLO ‘IL NAPOLISTA’ FA CHIAREZZA SU CHI TIFO’ IL SAN PAOLO TRA ITALIA E ARGENTINA NELLA SEMIFINALE DEL ’90 – IL PEZZO DI RONCONE, LE PAROLE DI VICINI (“IL TIFO A ROMA ERA STATO DIVERSO”) - "GIANCARLO DOTTO, NEL SUO LIBRO SU CARMELO BENE, RICORDA IL POMERIGGIO TRASCORSO A TIFARE BRASILE, IL 5 LUGLIO DEL 1982. MA NESSUNO CI HA IMBASTITO UN PROCESSO"


     
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    IL NAPOLISTA RISPONDE A CAZZULLO

    Massimiliano Gallo per www.ilnapolista.it

     

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    Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, chiama in causa il Napolista per provare a dipanare un’intricata matassa nazionale. Italia-Argentina del 90 è uno snodo ineludibile della storia patria, calcistica e no. E anche della narrazione che Napoli ha scelto per sé, sempre più evidente col passare degli anni. Contraddistinta da un mix di auto-ghettizzazione, irrefrenabile desiderio di diversità e una suscettibilità sempre più debordante.

     

    La stessa che ha portato a bollare il recente – bellissimo – documentario di Kapadia su Maradona come un film contro Napoli, perché il regista ha osato mostrare la camorra, Forcella, i Giuliano. The dark side di Diego a Napoli. Un documentario potente, senza alcuna tesi precostituita, che si affida alle forza delle immagini. Scorrono anche quelle di Italia-Argentina che Kapadia descrive in assoluta buona fede, senza addentrarsi nella polemica. E mostra napoletani sì rispettosi per Maradona – non fischiarono l’inno argentino – eppure sinceramente schierati per l’Italia e infine affranti per la sconfitta.

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    Il San Paolo, non ce ne voglia Paolo Sorrentino, tifò decisamente Italia. Chi scelse Maradona e l’Argentina – e io sono qui ad autodenunciarmi -, lo fece in silenzio. E non per questioni meridionalistiche. Maradona era il fratello, la fidanzata, l’amico. E poi era Maradona. Il “tifo contro” è per definizione minoranza. E può essere legato a mille motivi, non ultimi quelli strettamente estetici, calcistici. Giancarlo Dotto, nel suo libro su Carmelo Bene, ricorda il pomeriggio trascorso a tifare Brasile, quel 5 luglio del 1982. E nessuno ci ha imbastito un processo.

     

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    Quella sera, nella conferenza post-partita, Vicini si aggrappò a una ciambella di salvataggio. Non lui che aveva sbagliato formazione, con Baggio in panchina e Vialli di nuovo in campo. Non Zenga che era uscito a farfalle su Caniggia. Non la squadra che si era ritrovata con le gambe molli dopo un Mondiale fin lì esaltante. Disse che sì, a Roma, all’Olimpico, nelle partite precedenti, il tifo era stato diverso. Umano. Comprensibile. La verità, in fondo, è quel che le persone vogliono sentirsi dire.

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