Marco Giusti per Dagospia
giulio brogi
Era stato in gioventù un grande Enea per la tv, Mazzini, Italo Balbo, Don Giovanni, l’attore feticcio dei fratelli Taviani per tutti gli anni ’60 e ’70, da I sovversivi a San Michele aveva un gallo, aveva recitato per Glauber Rocha in Africa, Der leone Has Seven Cabezas, per Theo Anghelopolus in Grecia, Viaggio a Citera, per tutti i grandi registi italiani, da Marco Bellocchio, Il gabbiano e Fai bei sogni, a Ermanno Olmi, Il segreto del bosco vecchio, da Daniele Luchetti a Paolo Sorrentino, anche se la sua scena ne La grande bellezza venne tagliata.
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Ma il film che ricordiamo forse con più affetto e nostalgia di Giulio Brogi, grande interprete del teatro e del cinema italiano scomparso a 84 anni, è il fondamentale La strategia del ragno di Bernardo Bertolucci, tratto da un racconto di Borges, dove interpreta il “traditore” Athos Magnani. Forse meno forte e popolare, ma più sottile, più duttile di Gian Maria Volonté, con il quale divise la scena in Sotto il segno dello scorpione dei Taviani, ma anche tutta quella grande stagione di cinema, tv e teatro, Brogi fu l’immagine più chiara della rivoluzione culturale di una ben precisa generazione.
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Diciamo quella che dai Taviani andava a Liliana Cavani, da Marco Bellocchio a Bernardo Bertolucci, passando per Gianni Amelio, Gianfranco Mingozzi e Lionello Massobrio e per il teatro in tv di Mario Missiroli, riuscendo in un anno come il 1970 a passare dal set di Valerio Zurlini, La promessa in tv, a quello di Glauber Rocha a quello di Bertolucci per trionfare poi nell’Eneide tv di Franco Rossi.
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E portandosi sempre e comunque dietro tutte le contraddizioni e le mille giravolte ideologiche di Athos Magnani e dei suoi eroi negativi e malinconici. Al punto che quando, negli anni ’80 e poi ’90, venne riscoperto dalle nuove generazioni di cineasti, seguitò a rappresentare ancora un vecchio protagonista contraddittorio e ambiguo. Così, curiosamente, lo ritroveremo ne Il portaborse, a fianco di Nanni Moretti, in Piccola patria di Alessandro Rossetto, ma anche in tanti film e serie recenti, come 1993, dove è Alberto Muratori, padre e padrino del “cattivo” Stefano Accorsi, in Dove non ho mai abitato di Paolo Franchi o nel recentissimo ultimo episodio del Commissario Montalbano, “Un diario del ’43”, andato in onda con dieci milioni di spettatori proprio due sere fa nell’ultimo giorno della sua vita.
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Meno fortunato di Gian Maria Volonté e di Giancarlo Giannini, Giulio Brogi, dalle prime apparizioni in tv, , a fianco di grandi del teatro come Lina Volonghi e Tino Carraro, Le baruffe chiozzotte e I persiani e al cinema, dove esplose ne I sovversivi dei Taviani, percorre da assoluto protagonista gli anni ’70 non negandosi mai a un film d’impegno o difficile, da Quanto è bello lu murire accisu di Ennio Lorenzini a La città del sole di Gianni Amelio, o alle opere non così di successo di Gianfranco Bettetini scritte da Aldo Grasso, Stregone di città e Semmelweiss.
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E continuando sempre a far teatro. Escludendosi così dal mondo del cinema più di genere, dove forse con la sua bellezza, la sua duttilità avrebbe potuto ottenere qualcosa di più in termini di popolarità, oltre a apparire in un lontano Gangster 70 di Mino Guerrini a fianco di Joseph Cotten e Franca Polesello. Ma certo il suo Enea in tv gli dette allora una immensa popolarità che nessun film né di genere né d’autore avrebbe potuto raggiungere.
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