Marco Giusti per Dagospia
Burt Reynolds
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Se ne va anche Burt Reynolds, 82 anni, “una delle poche prove dell’esistenza di Dio”, come diceva Isa Gallinelli a Eleonora Giorgi in Borotalco di Carlo Verdone. Certo, Burt era uno degli ultimi machi rimasti, mezzo irlandese e mezzo cherokee, il più grande baffo della storia del cinema dopo quello di Clark Gable. Una carriera che va dal personaggio televisivo di Hawk l’indiano nell’omonima serie allo spaghetti western Navajo Joe di Sergio Corbucci (“mi appiccicarono una vecchia parrucca con la colla in testa..”) al capolavoro di John Boorman, Deliverance, uno dei cinque film che salvava sul centinaio che aveva interpretato.
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Da popolarissimo Il bandito e la madama al genaiel Quella sporca ultima meta di Robert Aldrich, da Gator a El Verdugo di Tom Gries, dove fa a gara con Jim Brown e Raquel Welch a chi è più sexy e a chi mostra più i pettorali, da Cannonball Run al musical di Peter Bogdanovich, At Long Last Love, fino alle tante riscoperte negli ultimi trent’anni, Striptease, Boogie Nights di Paul Thomas Anderson, e di un soffio non è riuscito a girare Once Upon a Time in Hollywood di Quentin Tarantino, dove avrebbe dovuto interpretare il personaggio di George Spahn. Una leggenda.
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Lo hanno diretto registi famosi, Stanley Donen in In tre sul Lucky Lady, Don Siegel in Rough Cut, Samuel Fuller in Quattro bastardi per un posto all’inferno, Blake Edwards in I miei problemi con le donne, remake americano di L’uomo che amava le donne di François Truffaut. Ha fatto coppia con star del tutto diverse, come Catherine Deneuve, Hustle, Sarah Miles, L’uomo che amò gatta danzante, Liza Minnelli, Lucky Lady e Rent a Cop.
Rimanendo sempre se stesso, baffetto, sorriso ammiccante, occhi incavati, fisicatissimo e sempre a petto nudo. “Non ho la dignità di Ricardo Montalban, la classe di Dean Martin e l’humour di Bill Cosby, ma ho il cuore di un leone”. Amatissimo sia dal pubblico femminile che dagli intellettuali, ebbe mogli e partner celebri, come Judy Carne, Inger Stevens, bellissima e sfortunata, e come Sally Field, con la quale fece una coppia meravigliosa per una decina d’anni, forse i suoi migliori, anche se la tradì clamorosamente con Candice Bergen sul set di Starting Over.
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Al cinema d’autore americano alternò sempre film popolarissimi, come Dixie Dinamite e Patsy Tritolo o la saga di Il bandito e la madama. Si diresse anche da solo, come nel non fortunatissimo Pelle di sbirro, col nostro Vittorio Gassman. Perfettamente cosciente del proprio status di sex symbol, sempre ironico su se stesso, fu uno dei primi attori maschi a spogliarsi nudo, steso su una pelle d’orso con un sigaro in mano e un anello al dito, per “Cosmopolitan”, Ma lo troviamo ancora nudo sotto la doccia a casa sua a Hollywood, mentre Mel Brooks e Marty Feldman lo insaponano per convincerlo a fare il film muto con loro in Silent Movie.
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Difficile trovare un altro Burt Reynolds, malgrado i tanti parrucchini che il cinema americano gli impose per coprire una calvizie che lo colpì fin dagli anni ’60. Fece anche film imbarazzanti, penso a Skullduggery di Gordon Douglas, da noi tradotto come Tropis, uomo o scimmia?, dove un gruppo di esploratori si ritrova alle prese con delle scimmie davvero troppo simili all’uomo che finivano facilmente in pentola. Ma rimase sempre fedele a se stesso. “Che mi dici di Burt Reynolds?”, chiede Eleonora Giorgi al Manuel Fantoni falso di Carlo Verdone. “No, Burt è a posto”.
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