Marco Giusti per Dagospia
ruggero deodato
Eterna gloria a Ruggero Deodato, regista di un capolavoro cannibal imitato in tutto il mondo come “Cannibal Holocaust”, uno dei grandi Italian Kings of B’s celebrati da Quentin Tarantino che davvero cambiarono le regole del cinema internazionale di exploitation, che se ne è andato a Roma a 83 anni, ma ancora così attivo e generoso.
Eppure Ruggero, che per tutta la vita fu un vero ragazzo dei Parioli, al punto che partecipò come attore anche all’omonimo film di Sergio Corbucci, “I ragazzi dei Parioli”, era nato, cinematograficamente parlando, neanche ventenne come assistente adorato di Roberto Rossellini (“Il generale della Rovere”, “Era notte a Roma”, “Anima nera”, “L’età del ferro”), e assistente alla regia fu per tanti film di Totò diretti da Sergio Corbucci e poi per i peplum e gli horror di Antonio Margheriti, al punto che completò, senza firmarlo, “Ursus e il terrore dei Kirghisi”.
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Braccio destro di Sergio Corbucci quando iniziò il western all’italiana su capolavori western-spaghetto come “I crudeli”, “Navajo Joe” e “Django”, non vedeva l’ora di girare i suoi film e uscire dai troppi assistentati. Ma si dovette accontentare, agli inizi, ormai in pieno 68, di piccoli avventurosi e musicarelli, “Fenomenal e il tesoro di Tutankamen”, l’erotico-esotico “Gungala, la vergine della giungla”, girato a Roma con Kitty Swan e Angelo Infanti, “Donne… botte e bersaglieri” e “Vacanze sulla Costa Smeralda” con Little Tony, dove incontrò una giovanissima e bellissima Silvia Dionisio, che diventò la sua prima moglie e che diresse in moltissimi film successivi.
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Dirige un solo western, ma per ironia della sorte comico, scritto da Maurizio Costanzo, “I 4 del Pater Noster”, con Villaggio, Montesano, Toffolo e Lionello. “Non era bello, ma ci sono delle gag divertenti di Villaggio e Toffolo”, ricordava Deodato. “E’ stato un film sofferto, sul set e quando uscì. Alla fine l’ho pagata cara. Il film non andò bene e io sono finito sul genere comico.”
Passa così al primissimo seriale televisivo, “Il triangolo rosso” e “All’ultimo minuti”, dove si mostrò efficientissimo. E dirige, nel 1969, anche uno dei rari cine-fumetti-erotici, lo spintissimo “Zenabel” con Lucretia Love e Mauro Parenti, suo marito e produttore, John Ireland e Lionel Stander. “Mi divertii molto a farlo, ma non ebbe una grande distribuzione. (..) Lionel Stander non voleva mai girare perché diceva che aveva caldo… ma poi bastava che gli mettessi due o tre donne seminude lì vicino ed ecco che saltava subito in piedi…”.
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Al di là del valore del film, dimostra che sa come inquadrare le sue attrici. Del resto se ne è sempre vantato. E’ una dote che gli frutterà un nome nella pubblicità, ma anche al cinema, come dimostrerà il suo primo vero film erotico, “Ondata di calore” con Silvia Dionisio che si spogliava per la prima volta.
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Negli anni ’70 esplode davvero e dimostra di poter dirigere di tutto, a cominciare dal poliziottesco alla Di Leo (qui sceneggiatore) “Uomini si nasce, poliziotti si muore” con Marc Porel e Ray Lovelock. Ma è con il nascente generale cannibal, efferati avventurosi che divide con Umberto Lenzi, che dimostra di essere insuperabile. Prima gira “Ultimo mondo cannibale” con Massimo foschi, reduce dall’Orlando furioso di Luca Ronconi, Me Me Lay, una giovane vigilessa asiatica inglese, e il torvo Ivan Rassimov, e poi con il fenomenale “Cannibal Holocaust” nel 1980, che diventerà il suo film di maggiore successo e che gli darà negli anni una fama internazionali.
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Ancora oggi stupisce la forza del film perché Deodato tratta il genere con un realismo che nessuno dei registi del tempo possiede. Anche la storia e la struttura narrativa precedono di molti anni la struttura dei piccoli film costruiti col finto footage. “Cannibal Holocaust”, che pure portò molti guai legali a Deodato per la crudezza di molte scene e che oggi non sarebbe più possibile fare con la stessa libertà, segnò la nascita di un cinema di genere completamente libero, anche narrativamente, che svegliò il pubblico e i giovani cineasti di tutto il mondo.
Deodato diresse tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, molti altri film di terrore e di exploitation, “La casa sperduta nel parco”, “I predatori di Atlantide”, “Inferno in diretta”, “Camping del terrore”, dimostrandosi un vero maestro del genere e distribuendo i suoi film in tutto il mondo. Diresse anche un tardo peplum alla post-Conan, “I barbari” con i gemelli forzuti David e Peter Paul. Diresse i maggiori cattivi del tempo, David Hess, Richard Lynch, Michael Berryman.
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Per poi tornare, con la fine del cinema di genere italiano, al seriale televisivo, dove dette vita a un successo come “I ragazzi del muretto”. Negli ultimi vent’anni non riuscì a girare i suoi film come avrebbe voluto e potuto fare. Dovette adattarsi alla miseria del nostro cinema e al suo scarso coraggio. Ma venne “riscoperto” da Eli Roth che lo omaggiò con tanto di partecipazione da cannibale in “Hostel”, e poi da Tarantino a Venezia, che lo celebrò con una proiezione speciale di “Cannibal Holocaust” l’ultimo giorno del festival.
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Diresse ancora, ne ho viste almeno tre diverse versioni, un ultimo vero film, “Death in Blood”, una sua versione dell’omicidio di Margareth Kirchner, molto violento e molto erotico, che ci piacerebbe che qualche televisione mostrasse. Perché Deodato, al di là delle celebrazioni più o meno sentite, era un grande regista. Uno degli ultimi grandi registi italiani.
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