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Marco Giusti per Dagospia
Il cinema perde la poesia, il buon gusto, lo sguardo acuto e l’energia inesauribile di Otar Ioseliani, grande regista georgiano, 89 anni, autore di film memorabili, di grande intelligenza e delicatezza come “C’era una volta un merlo canterino”, “I favoriti della luna”. Non il grande cinema che pensavano di fare i suoi compagni di strada, registi come Tarkovskij e Koncalovskij, che come lui a un certo punto si spostarono dalla Russia.
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Per Iosseliani “fare del grande cinema”, del “cinema forte”, era assolutamente impossibile. Mi disgusta, diceva. I registi che aveva amato di più, del resto, erano Boris Barnet, Vittorio de Sica, Jean Vigo, René Clair. “Questo era il mio universo. Non avrei mai potuto fare Via col vento, o, non so, un Satyricon, ma invece avrei potuto fare E la nave va”. Proprio il suo maestro, Barnet, gli consiglia di abbandonare il cinema e correre. “Perché tu sarai torturato per il resto della tua vita, perché non fai cinema come gli altri”. Fortunatamente gli insegna anche a bere.
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Nato a Tblisi, in Georgia, il 2 febbraio 1934, cresciuto in una famiglia molto ridotta, un nonno, una nonna, la madre, la zia, perché il padre e i suoi undici fratelli, tutti ufficiali, erano stati spazzati via dalla rivoluzione, il padre era addirittura venuto alle mani con Beria, Otar Iosseliani aveva studiato alla Scuola di musica di Tblisi, diplomandosi in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra nel 1953 per poi frequentare la facoltà di matematica all’Università di Mosca. Nel 1955 studia alfine cinema al VGIK, con una formazione che “avrebbe dovuto la propaganda”, seguendo i corsi prima di Aleksandr Dovzenko e, poi di Michail Ciaureli. Inizia da subito a girare cinegiornali, montare, far l’aiuto regista
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. Lo troviamo perfino attore. Nel 1958 dirige il suo primo cortometraggio, “Acquerello”, seguito da “Il fiore introvabile”. Nel 1961 si diploma e l’anno seguente dirige il suo primo cortometraggio, “Aprile”, che viene bloccato dalla censura, “E’ una favola. Le favole sono molto, molto pericolose per tutti i regimi totalitari”. Il film viene vietato per sempre. Si ritira e passa due anni come marinaio sui pescherecci. Lavora anche come operaio in uno stabilimento metallurgico che gli dà l’idea del suo secondo corto, “Ghisa”, del 1964. Tre anni dopo lo troviamo alla Semaine de la Critique di Cannes col suo primo lungometraggio, “La caduta delle foglie”, un film sulla classe operaia, con il quale vince il premio Sadoul, ma viene di nuovo vietato.
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Gira nel 1968 “Antichi canti georgiani” e nel 1971 il film che davvero lo lancerà internazionalmente, “C’era una volta un merlo canterino”, presentato a Cannes e poi alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. Un altro film, “Pastorale”, 1976, viene bloccato dalla censura fino al 1982, quando viene presentato a Berlino dove vince il premio Fipresci. Si trasferisce a vivere in Francia negli anni’80, dove gira “I favoriti della luna”, Gran Premio della Giuria a Venezia nel 1984, un film che viene dipinto erroneamente come molto legato al cinema francese.
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“Inizialmente volevo fare questo film in Georgia. Se fosse stato recitato in georgiano e se fosse stata girato nelle strade della Georgia, non ci sarebbe stata la questione dei cliché del cinema francese”. Si ripresenta nel 1988 con il documentario “Un piccolo monastero in Toscana”, poi gira, con la Rai, “Un incendio visto da lontano”, 1989, e ancora “Caccia alla farfalle”, 1992, “Briganti”, 1996, “Addio terraferma”, 1999. Dopo il 2000 gira “Lunedì mattina”, “Giardini in autunno”, “Chantraps” e “Chant d’hiver”, il suo ultimo film, del 2015.
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Molto amato dalla critica italiana di fine novecento, amico di Giovanni Buttafava, Marco Melani, Enrico Ghezzi, Marco Muller, ma anche di Federico Fellini, fu una presenza meravigliosa nei festival italiani e francesi. Cercò con tutte le sue forze di far vincere a “La messa è finito” di Nanni Moretti il primo premio a Berlino, (“era la storia di un piccolo prete, non era affatto male”), convinse anche Gina Lollobrigida a votare per lui, ma non ce la fece. Così decise di non partecipare più a nessuna giuria.
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Quanto a Moretti, ricordava di aver parlato con Fellini di lui. “… ed eravamo d’accordo che Moretti era una grande speranza del cinema italiano, salvo che, eravamo d’accordo anche in questo, c’era nel suo cinema un pericolo di appartenenza ideologica, che rende primitivi gli atti cinematografici…. È il solo pericolo che lo minaccia, perché è un ragazzo, un ragazzo attivo, un bravo ragazzo; ho un po’ paura per lui, è un vero peccato. Non ho alcun contatto, non è mio amico, sembra che non beva… è disperante per lui”. E’ morto dove era nato, aTbilisi in Georgia.
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