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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - SE NE VA A 101 ANNI WALTER MIRISCH. UN GIGANTE, PROBABILMENTE L’ULTIMO GRANDE PRODUTTORE DEL CINEMA AMERICANO, VINCITORE DI BEN 5 OSCAR E RESPONSABILE DI CAPOLAVORI COME “WEST SIDE STORY”, “L’APPARTAMENTO”, “I MAGNIFICI SETTE”, “LA PANTERA ROSA" E "IL VIOLINISTA SUL TETTO"  - DEFINITO AI TEMPI D’ORO “UN UOMO SENZA ANEDDOTI”, DETTE VITA DAL 1957 ALLA MIRISCH CO., CASA DI PRODUZIONE INDIPENDENTE CHE RIVOLUZIONÒ NEGLI ANNI ’60 TUTTO IL MODO DI LAVORARE DELLE MAJORS DI HOLLYWOOD - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Muore un gigante. Probabilmente l’ultimo grande produttore del cinema americano. Walter Mirisch, vincitore di ben 5 Oscar e responsabile di capolavori come “West Side Story”, “L’appartamento”, “I magnifici sette”, “La Pantera Rosa”, “La grande fuga”, “Il violinista sul tetto”, “La calda notte dell’Ispettore Tibbs”, “Moby Dick”, “L’invasione degli ultracorpi”, amico di registi come Billy Wilder, Norman Jewison, William Wyler, Blake Edwards, John Huston, se ne va a 101 anni nella sua Hollywood dove ha lavorato fin dai tempi della piccola Monogram Pictures, quando, ancora ventenne, produceva noir e la serie di Bomba, e della Allied, che gestiva coi fratelli, specializzandosi nei piccoli western con Joel McCrea.

     

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    “Chi realizza film non molla mai,” disse al Times in 2004, a 82 anni.  “I produttori muoiono tutti con una sceneggiatura in mano.” Anche lui aveva un copione in mano che non riusciva a realizzare, quello di un giallo del suo amico Elmore Leonard, “La brava”. Definito ai tempi d’oro “un uomo senza aneddoti”, assieme ai suoi fratelli maggiori, più in ombra di lui e più uomini d’affari, Harold, morto nel 1968, e Marvin, morto nel 2002, dette vita dal 1957 alla Mirisch Co., casa di produzione indipendente che, legandosi alla United Artists, rivoluzionò negli anni ’60 tutto il modo di lavorare delle majors di Hollywood e spianò la strada, con film di grande successo e di grandi contenuti sociali, come “La calda notte dell’Ispettore Tibbs” di Norman Jewison, alla New Hollywood degli anni ’70. Mirisch, venendo dal seriale dei B-Movies, applicò prima di tutti la lezione dei sequel al cinema maggiore.

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    Così serializzò i suoi stessi successi, come i film dell’Ispettore Tibbs e quelli della Pantera Rosa. Ma, lontano dal modello di David O’Selznick e Samuel Goldwyn, non fu un padre-padrone dei suoi film né un dittatore. Legandosi ai grandi autori del tempo, fu un business man intelligente, lasciò loro pieno potere, o quasi, sulla realizzazione delle loro opere. La cosa funzionò perfettamente con Billy Wilder, per il quale produsse “L’appartamento”, “Irma la dolce”, “Un, due, tre”, e Norman Jewison, “La calda notte dell’Ispettore Tibbs”, “Il violinista sul tetto”, non a caso due autori ebrei, meno magari con John Huston, con il quale si scontrò pesantemente e ruppe i rapporti dopo una lunga collaborazione e amicizia.

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    Nato nel 1921 a Mahnattan, ultimo figlio di Max Mirisch, ebreo di Cracovia, già vedovo con due figli a carico, Irving e Harold, che si risposò e ne ebbe altri due, Marvin e lui, cresce nel Bronx e poi a Jersey City, sognando il cinema come fuga dalla realtà già ai tempi della Grande Depressione. Quando la famiglia si sposta a Milwaukee, studia storia alla Wisconsin University di Madigan, dove si laurea. Poco più che ventenne si sposta, seguendo il fratello maggiore Harold, sulla costa occidentale, e, in tempo di guerra, lavora alla Lockheed a Burbank.

     

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    Ma la passione per il cinema è troppo forte e inizia a lavorare presto alla Monogram, ritrovandosi, a soli 29 anni, a dirigere la piccola casa di produzione di B-Movies di ogni tipo, dai noir agli avventurosi agli western. I primi film alla fine degli anni ’40 sono “Fall Guy” di Reginald Le Borg da un giallo di Cornell Woolrich, “L’impronta dell’assassino” di William Nigh, “Bomba: The Jungle Boy” di Ford Beebe con Johnny Sheffield. Bomba avrà tutta una sua lunga serie di film alla Monogram.

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    Ma produce pure fantascienza a basso costo, “Volo su marte” di Lesley Selander tratto da “Aelita” di Aleksei Tolstoy con Cameron Mitchell, anche se il western diventerà presto il genere dominante della Monogram. Ricordiamo “Il passo di Fort Osage” di Lesley Selander con Rod Cameron, “La valanga dei Sioux” di Kurt Neumann con Vince Edwards, già negli anni ’50. In pieno maccartismo farà girare un film sulla guerra in Corea anche al “comunista” Sterling Hayden, “Flat Top”.

     

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    E’ ancora lì quando la Monogram si trasforma nella Allied Pictures e, a fianco del produttore Walter Wanger, producono due celebri noir “The Big Combo” di Joseph H. Lewis con Cornel Wilde e “The Phenix City Story” di Phil Karlson con John McIntire, il bellissimo carcerario “Rivolta al blocco 11” diretto da Don Siegel, il western “Wichita” di Jacques Tourneur con Joel McCrea e un film che fece epoca come “L’invasione degli ultracorpi”, ancora diretto da Don Siegel, che si impose allora all’attenzione di Hollywood.

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    Tra il 1956 e il 1957 gira parecchi western per la Allied con Joel McCrea protagonista, “The First Texan” diretto da Byron Haskin, sulla vita di Sam Houston, “Petrolio rosso”, “I pionieri del west”, ma lavora anche a un western maggiore, come “La legge del signore” di William Wyler con Gary Cooper. Proprio nel settembre del 1957, dopo essersi staccato sia da Walter Wanger che dalla Allied, assieme ai fratelli Harold e Marvin, fonda la Mirisch co., forte della distribuzione della United Artists per i suoi primi 12 film, che poi diventeranno molti di più.

     

     In una fase iniziale seguiterà a produrre piccoli western con Joel McCrea, vecchia stella della Monogram e della Allied, come “Il forte del massacro” e “Duello alla pistola”, diretti da Joseph Newman, ma poi abbandona la vecchi star alla tv e si lancia in un western di serie A come “Dove la terra scotta”, dove accanto alla regia di Anthony Mann ritroverà una star come Gary Cooper protagonista. E’ lì che troneggia per la prima volta il nome di Walter Mirisch come produttore.

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    Grazie a questo passaggio di categoria e alla politica della Mirisch di legarsi a grandi registi, produrrà film importanti come “Soldati a cavallo” di John Ford con John Wayne e William Holden e, soprattutto, “I magnifici sette” di John Sturges con Yul Brynner, Steve McQueen, James Coburn, che rivoluzionerà totalmente il genere. Per Walter Mirisch e per i suoi fratelli sarà però solo l’inizio. Abbandonando i B-Movies, la Mirisch, che ha comprato i vecchi studios di Samuel Goldwyn, produce film importanti, un kolossal come “West Side Story” di Robert Wise nel 1961 o il meno fortunato ma coraggioso “Quelle due” di William Wyler con Shirley McLaine e Audrey Hepburn, che osa trattare un tema forte come l’omosessualità femminile.

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    Li alterna a produzioni più facili ma ricche con Elvis Presley protagonista, come “Lo sceriffo scalzo” di Gordon Douglas e “Pugno proibito” di Phil Karlson. Se “West Side Story” lo riporterà nella Manhattan da dove era partito e gli aprirà le porte della Hollywood dei grandi produttori, grandi successi saranno “La grande fuga” di John Sturges con Steve McQueen e “Uno spara nel buio” di Blake Edwards che, assieme al successivo “La pantera rosa”, sempre di Blake Edwards e sempre con Peter Sellers aprirà un clamoroso filone comico che andrà avanti fino al 2000.

     

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    Nel 1962, in soli cinque anni, mentre majors importanti come la Metro e la Fox stanno perdendo milioni di dollari con kolossal costosi come “Gli ammutinati del Bounty” e “Cleopatra”, la Mirisch può vantare, dicono i fratelli, ben 100 milioni di dollari di utili con soli 35 milioni di dollari di spesa per realizzare i film. La loro è una società totalmente familiare. Hanno anche chiamato a lavorare il vecchio padre, Max, ormai ottantenne.

     

    PETER SELLERS LA PANTERA ROSA PETER SELLERS LA PANTERA ROSA

    La politica rimane quella dei grandi registi. Walter Mirisch si lega così, oltre a Billy Wilder e a Blake Edwards, a Fred Zinneman, pensando di affidare a lui la lavorazione di un kolossal come “Hawaii”, tratto dal best seller di James Michener, che la Mirisch ha pagato ben 600.000 dollari. Zinneman propone un copione di Daniel Taradash che non piace a Mirisch perché porterà il film a una durata di quattro ore per un film diviso in due parti. Si scontrano su questo. Mirisch porta un nuovo copione scritto dal blacklisted Dalton Trumbo e Zinneman se ne va.

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     Al suo posto arriva George Roy Hill, che con la Mirisch ha già diretto “Toys in the Attic” con Dean Martin. Il film, interpretato da star come Julie Andrews, Richard Harris e Max Von Sydow ha molti problemi alle Hawaii, Mirisch interviene. Licenzia Hill e chiama al suo posto Arthur Hiller. Ma tutti gli attori e le comparse del posto stanno dalla parte di Hill. Se lui se ne andrà se ne andranno anche loro. E Mirisch è obbligato a riassumere Hill e a rimandare a casa Hiller.

     

    IL VIOLINISTA SUL TETTO IL VIOLINISTA SUL TETTO

    Le cose funzionano meglio con Norman Jewison, al quale produce prima il divertente “Arrivano I russi, arrivano I russi” con Alan Arkin, e poi il clamoroso “La calda notte dell’Ispettore Tibbs” con Sidney Poitier, Rod Steiger e Lee Grant, “Il caso Thomas Crown” con Steve McQueen e Faye Dunaway e “Il violinista sul tetto”. Qualcosa di più di grandi successi nazionali. Sono film che faranno la storia del cinema. Se con Jewison il rapporto filerà liscio, le cose andranno diversamente con un vecchio amico, John Huston, che ha aiutato da produttore esecutivo ai tempi di “Moby Dick” e "Moulin Rouge”.

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    Con lui avrà un terribile scontro durante la lavorazione e il montaggio di “Sinful Davy” (“La forca può attendere”) con un giovane John Hurt protagonista, piccolo film costruito sulla scia di “Tom Jones” girato in Scozia. Prima convince Huston a sostituire con Pamela Franklin la figlia Anjelica che il regista aveva imposto come co-protagonista, ma troppo alta rispetto al partner John Hurt. E già questo non deve essere molto piaciuto a Huston, che Hurt ricordava sul set sempre mezzo addormentato o più attento a leggere il giornale che a dirigere gli attori.

     

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     Poi gli rimonta il film, che Huston non riconosce più come suo. Con un doppio risultato. Un fiasco clamoroso del film, anche rimontato, e la fine di un’amicizia. Intanto, sulla scia del successo dell’Ispettore Tibbs, produce film innovativi sul tema dell’integrazione, pur se diretti da registi bianchi, come “Halls of Anger” di Paul Bogart con l’afro-americano Calvin Lockhart, su una scuola integrata, o “Il padrone di casa” di Hal Ashby, ma scritto da Bill Gunn, con Beau Bridges e Louis Gossett Jr, su un condominio di Harlem dove si cerca una qualche integrazione.

     

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    Sfonda agli Oscar con “Il violinista sul tetto” di Norman Jewison tratto dal musical di Joseph Stein e dai racconti di Sholom Aleichem. E produce un po’ di tutto negli anni successivi, da “La battaglia di Midway” a “La banda di Harry Spikes”, da “Salvate il Gray Lady” a “A muso duro” con Charles Bronson. Ritroveremo il suo nome sui titoli di testa come produttore esecutivo del recente remake nero de “I magnifici sette”, stavolta anche diretto da un regista nero, Antoine Fuqua. E siamo nel 2016. A 95 anni.

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