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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – SE NE VA RYAN O’NEAL, INDIMENTICABILE STAR DEGLI ANNI ’70 E ’80 – FU L’OLIVER BARRETT IV DI “LOVE STORY” E IL BARRY LYNDON DEL CAPOLAVORO DI STANLEY KUBRICK. FU PROTAGONISTA, ASSIEME ALLA FIGLIA TATUM, DI “PAPER MOON” DI PETER BOGDANOVICH – NON RIUSCÌ A ESPRIMERSI COME ALTRI ATTORI DELLA NEW HOLLYWOOD, JACK NICHOLSON, AL PACINO, ROBERT DE NIRO, DECISAMENTE PIÙ STRUTTURATI, E LA SUA FRAGILE BELLEZZA SE NE ANDÒ PRESTO. EBBE PERÒ MOGLI E FIDANZATE CELEBRI… – VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Se ne va Ryan O’Neal, 82 anni, indimenticabile star degli anni ’70 e ’80, fu l’Oliver Barrett IV di “Love Story”, fu il Barry Lyndon del capolavoro di Stanley Kubrick, fu protagonista, assieme alla figlia Tatum, di “Paper Moon” di Peter Bogdanovich e il Rodney Harlington di ben 500 episodi della serie televisiva “Peyton Place”.

     

    Recitò con Barbra Streisand in “What’s Up, Doc?” di Bogdanovich, in “The Main Event” di Howard Zieff, con Jacqueline Bisset in “Il ladro che venne a pranzo” di Bud Yorkin, con Isabelle Adjani nel fenomenale “The Driver” di Walter Hill, con Mariangela Melato nel trashissimo “Jeans dagli occhi rosa” di Andrew Bergman.

     

    Non riuscì a esprimersi come altri attori della New Hollywood, Jack Nicholson, Al Pacino, Robert De Niro, decisamente più strutturati, e la sua fragile bellezza se ne andò presto. Ebbe però mogli e fidanzate celebri, come Farrah Fawcett, Leigh Taylor Young, Ursula Andress, Melanie Griffith, Anouk Aimée, Jacqueline Bisset, Julie Christie, Britt Ekland, Anjelica Huston, Lauren Hutton, Bianca Jagger. E, soprattutto, un rapporto estremamente complicato con la figlia Tatum, forse perché aveva vinto lei l’Oscar e non lui per “Paper Moon”.

     

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    Non si sono parlati per anni e solo recentemente, dopo il risveglio dal coma di Tatum, dovuto a un infarto per abuso di droghe, e un lento recupero, si erano rivisti e fatto finalmente pace. Ma lui stesso era stato spesso al centro della cronaca nera di Hollywood, con risse di Capodanno, arresto per abuso di droghe, lunghi periodi di riabilitazioni.

     

    Figlio di Patricia e Cahrles O’Neal, madre attrice e padre sceneggiatore che ebbe non pochi problemi con Hollywood in quanto comunista, Patrick “Ryan” O’Neal nasce a Los Angeles nel 1941, fa il militare in Germania, studia da boxeur professionista e appena ventenne, biondo, bello, simpatico, lo troviamo fra i tanti giovani in cerca di successo nelle serie televisive del tempo. “The Many Loves of Dobbie Gills”, “Gli intoccabili”, “Bachelor Father”, “Empire”.

     

    Ma solo con “Peyton Place”, nel ruolo di Rodney Harlington che lo vedrà partner di una giovanissima Mia Farrow, tra il 1964 e il 1969, si metterà davvero in luce. E’ allora che Hollywood lo chiamerà. A quel punto Ryan O’Neal ha già avuto due figli, Tatum e Griffin, da Joanne Moore, anche lei attrice televisiva, di qualche anno più grande di lui, che ha incontrato nel 1962, sposato nel 1964 e dalla quale ha divorziato nel 1967. Non solo.

     

     

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    Andata via con i due figli, la moglie, dipendente dalle anfetamine, non è in grado di crescerli. Così, nel pieno del successo di “Peyton Place”, Ryan O’Neal se li riprende e li cresce lui. Al cinema gira due film, il thriller “Io sono perversa” diretto da Alex March con la sua seconda moglie, Leigh Taylor Young, che sposerà nel 1967, avrà un figlio, e dalla quale divorzierà nel 1974, e Lee Grant, attrice blacklisted che proprio “Peyton Place” ha sdoganato, e “I formidabili” dell’inglese Michael Winner con Michael Crawford e Charles Aznavour.

     

    Il successo, davvero planetario, arriva con il film più romantico e strappalacrime che potesse produrre Hollywood a quei tempi, “Love Story”, scritto da Erich Segal per il cinema (il romanzo lo scriverà dopo la sceneggiatura) e diretto da Arthur Hiller, che narra la triste storia di due ragazzi, lui, Oliver Barrett IV, ricco e sano, Ryan O’Neal, lei, Jenny Cavilleri, povera e malata, Ali McGraw. Tutto il mondo impara ben presto la frase “Amare significa non dire mai mi dispiace” e la musica romantica.

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    A questo punto la carriera di Ryan O’Neal si impenna. Può davvero girare cosa vuole. Lo troviamo in un bel western scritto e diretto da Blake Edwards con William Holden, “Uomini selvaggi”, che non ho più rivisto dal 1971, in un thriller molto sofisticato, “Il ladro che venne a pranzo” diretto da Bud Yorkin, scritto da Walter Hill con Jacqueline Bisset e Warren Oates, ma soprattutto lo vuole Peter Bogdanovich per la sua screwball comedy “What’s Up, Doc?”, scritta da Buck Henry da girare con Barbra Streisand. Ma anche con caratteristi del calibro di Madeline Kahn e Austin Pendleton.

     

    Un successo e sarà un successo ancora maggiore il dolcissimo “Paper Moon”, sempre diretto da Bogdanovich, dove Ryan O’Neal reciterà con sua figlia Tatum. Un viaggio in auto tra il Kansas e il Missouri nella Grande Depressione che farà vincere a Tatum l’Oscar da non protagonista a dieci anni nel 1974 e che la segnerà per tutta la vita. Perché crescere con un padre star di Hollywood non sarà il massimo per una ragazzina di dieci anni, che si ritroverà a dormire, come racconta Tatum nella sua autobiografia, con le tante amanti e compagne del padre, tra eccessi e abusi di ogni tipo.

     

    Anche se non ha vinto l’Oscar Ryan O’Neal si può consolare con “Barry Lyndon”, il capolavoro di Stanley Kubrick, che è la punta più alta della sua carriera. Ursula Andress si ricordava di averlo accompagnato, come sua fidanzata, sia sul set di “Paper Moon” che di “Barry Lyndon”.

     

     

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    Negli anni ’70 Ryan O’Neal è popolarissimo, anche se non funzionano come previsto film come “Vecchia America”/”Nickelodeon” di Bogdanovich con Burt Reynolds e Tatum O’Neal, o il sequel di “Love Story”, cioè “Oliver’s Story” di John Korty con Candice Bergen, o un secondo film con Barbra Streisand, “Ma che sei tutta matta?”(“The Main Event” di Howard Zieff. Non avrà quasi distribuzione “Quei 2” diretto da Jules Dassin con Richard Burton nel ruolo di un vecchio pittore che ha una storia con la ormai non così giovane Tatum.

     

    A un certo punto Ryan O’Neal sbaglia una serie di film, “Ghiaccio verde” di Ernest Day con Anne Archer, la folle commedia con Mariangela Melato “Jeans dagli occhi rosa” di Andrew Bergman, dove si inventa i jeans coi buchi sulle chiappe, la commedia coi poliziotti gay “Lui è mio” di James Burrows con John Hurt, il tardo film di Richard Brooks con Giancarlo Giannini “La febbre del gioco” e perfino “I duri non sbagliano” scritto e diretto da Norman Mailer con Isabella Rossellini.

     

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    Ryan O’Neal non riuscirà più a tornare al successo che aveva nei primi anni ’70, perde un bel po’ di quell’aspetto da giovane ragazzo ingenuo americano, come se “Paper Moon” e “Barry Lyndon” gli avessero mangiato l’anima.

     

    Ha avuto molti problemi con i figli, dovuti agli eccessi di droghe di tutta la famiglia. Suo figlio Griffin viene ritenuto responsabile dell’incidente che portò alla morte del figlio ventitreenne di Francis Coppola, Gian Carlo nel 1986. Lui stesso venne arrestato assieme al figlio Redmond, dopo un incidente nella sua villa di Malibu.

     

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    E sua figlia Tatum, che ha sposato il tennista John McEnroe, dal quale avrà ben tre figli, inizia un calvario di droghe, di crisi, di tentativi di suicidio che la faranno scontrare presto col padre. Non si parleranno per anni. Dal 2001 si ammala di leucemia e si limita a poche apparizioni in tv. Il suo declino fisico e artistico è quasi da manuale.  

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