Marco Giusti per Dagospia
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Ecco. Se ne va anche Argoman, il mitico Roger Browne, 94 anni, il primo in Italia a indossare in un film la tuta un po’ da super-eroe un po’ da lottatore di catch in “Argoman – Come rubammo la corona d’Inghilterra” di Sergio Grieco. Pur se la sua carriera, costruita quasi interamente in Italia era divisa tra peplum e eurospy, non aveva il fisico né la faccia giusta per gli spaghetti western, Roger Browne alternò per quindici anni la carriera di attore a quella di doppiatore, cioè di doppiatore di film italiani in inglese per mandarli in ogni parte del mondo.
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Così se nei suoi peplum era doppiato in italiano dalla bella voce di Pino Locchi, era lui a doppiare Terence Hill nei suoi primi western perché aveva una pronuncia inglese con un accento tedesco. Ma doppiò una marea di film e di attori italiani, fino agli anni ’80, quando decise di tornare a casa, in America. Roger Browne era nato a Cincinnati, anche se i suoi erano del Northern Kentucky, e cresce a Lexington. Non finisce gli studi, fa un bel po’ di lavoretti, fino a diventare massaggiatore di star e attori a Hollywood. Grazie agli incontri con Rock Hudson e con Ramona Rush, sorella dell’attrice Barbara, inizia a pensare al cinema.
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Studia da coach come Estelle Harman, ma soprattutto Jeff Corey, grande attore bollato come comunista e quindi bannato da Hollywood, anche se attivissimo come insegnante. Nei primi anni ’60 fa delle partyicine in “Heroes Die Young” e “13 Fighting Men”, film di guerra senza grande storie. Sarà piuttosto la professione di massaggiatore a portarlo in Italia, a Roma, dove si iniziavano a girare i primi Ercole e Maciste. Grazie al fisico atletico, troviamo Roger Browne come gladiatore in “Barabba” di Richard Fleischer, poi in “Ponzio Pilato” di Irving Cummings, viene chiamato dal regista e produttore Emimmo Salvi (la E… era per darsi un tono) come antagonista, nel ruolo di Marte, in “Vulcano, figlio di Giove” con il forzuto iraniano Rod Flash Iloosh come Vulcano.
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Ma in “Marte, dio della guerra” di Marcello Baldi è protagonista. In “Accadde in Atene” di Andrew Marton incontra Jayne Mansfield. Lo troviamo poi nei film di gladiatori, “I 10 gladiatori” di Gianfranco Parolini con Dan Vadis e Mimmo Palmara, poi i due film gemelli, girati cioè contenporaneamente con lo stesso cast, “Gli schiavi più forti del mondo” di Michele Lupo con Giacomo Rossi Stuart e Gordon Mitchell e “La vendetta di Spartacus”. Mettiamoci ancora “I tre centurioni”di Roberto Mauri con Mimmo Palmara e Mario Niovelli e “Sette contro tutti” di Michele Lupo con Alfio Caltabiano.
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Ma l’operazione più bizzarra è la partecipazione a “Hercules and The Princess of Troy” di Alfred Band con Gordon Scott e Scilla Gabel, che doveva essere un pilota per una serie televisiva che poi non sarà mai realizzata, da girare completamente in Italia a bassissimo costo con tutta l’iconografia tipica del mitologico. Ideatore dell’operazione è stato Joseph Levine, colui che aveva lanciato negli Stati Uniti “Le fatiche di Ercole” con Steve Reeves. Quando finiscono i sandaloni, Roger Browne viene subito riciclato come sotto 007 all’italiana. Il primo a dirigerlo è Osvaldo Civiranoi in “Operazione Poker”, in sostituzione di Ken Clark, che non voleva tingersi i capelli.
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“Ken Clark non era l’ideale ma aveva un nome e tanto bastava”, ricordava Civirani. “Dissi al suo agente, Perrone, che andava bene purché si fosse tagliato i capelli, con quella zazzera non poteva fare uno 007. Tutti e due mi assicurarono che non c’erano problemi. Gli dissi di andare dal sarto Brioni per i vestiti”. A tre giorni dalla partenza per Copenhagen, però, Ken Clark non si è tagliato la zazzera. “Gli chiesi perché non si era tagliato i capelli e lui rispose evasivamente… anzi cercò di convincermi che uno 007 poteva avere anche i capelli lunghi.
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Tagliai corto, avevo capito tutto”. Così si fa mandare da Perrone un altro 007, Roger Browne, che non aveva mai visto e che è pronto a tutto. “Il signor Klark non avrebbe fatto il mio film neanche se veniva con i capelli tagliati”. Così spedisice Browne prima dal sarto Brioni e poi lo manda a Copenhagen. Roger Browne gira subito dopo “Password: Uccidete agente Gordon” di Sergio Grieco, poi “Superseven chiama Cairo” di Umberto Lenzi per la Romana Film. “Ero un James Bond in miniatura”, ricordava Browne. Interpreta una spia canadese, certo Martin Sevens, al servizio di Sua Maestà Britannica. In giro c’è un nuovo metallo, il daltonio, cento volte più radioattivo dell’uranio.
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Lenzi lo richiama per “Le spie amano i fiori” dove se la vede tra Emma Danieli e Yoko Tani. Ricordava che Yoko Tani chiese a Lenzi di spiegargli “che cosa è fregna?”, una parola che aveva sentito sul volgarissimo set romano. E Lenzi rispose, “Tu fregna, Emma Danieli no”. Il film, a detta di Lenzi “ebbe un grandissimo successo perché come protagonista presi un attore americano, Roger Browne, con un fisico molto adatto a questo genere di film che era anche un ottimo atleta..”.
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Ma il capolavoro camp di Roger Browne è “Argoman – Come rubare la corona d’Inghilterra” di Sergio Grieco. “Quell’abito mi ha fatto impazzire, a cominciare dal cappuccio.”, ricordava Roger Browne, “Ero una spia che aveva dei poteri, come muovere delle cose o di vedere attraverso i muri.” Maurizio Amati, produttore esecutivo, ricordava che “Argoman non era un’operazione proprio riuscita. L’idea era quella di fare un Superman all’italiana ma non eravamo in condizione di farlo per mezzi e tecnica. Roger Browne era una brava persona, simpatico, estroverso, l’opposto di Ken Clark e Dominique Boschero era bellissima.” Browne mi ha raccontato che suo figlio ha ritrovato il film su You Tube e lo ha messo in un certo imbarazzo. Dominique Boschero ricorda che era il più carino dei suoi film spionistici.
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“Dovevo interpretare la regina del mondo. Ma quando ti dicono ‘tu devi fare la regina del mondo’ uno si chiede come farlo. Però era nuovo, era un film all’avanguardia per il suo tempo. Sergio Grieco era abbastanza bravo e poi c’erano un po’ più di mezzi del solito, anche più set, c’era Londra”. Gira ancora “Rififi ad Amsterdam” di Sergio Grieco, “Assalto al tesoro di stato” di Piero Pierotti, per poi passare all’erotico avventuroso di “Samoa” con una giovanissima Edwige Fenech, o a “Karzan, il favoloso uomo della giungla” diretto da Demofilo Fidani spacciando Villa Borghese e l’Orto Botanico di Roma come giungla, fino ad arrivare a “Emanuelle, perché violenza alle donne?” con Laura Gemser.
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Attore pronto a tutto, partecipò a parecchi film americani o internazionali girati a Roma, come “Cassandra Crossing”. Si sposò nel 1976 a Roma, ebbe figli, e ritornò nei primi anni ’80, come tanti altri attori americani in patria. L’ho incontrato e intervistato a Los Angeles assieme a un gruppo di vecchi adorabili attori che ancora ricordavano con piacere gli anni romani.
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