Marco Giusti per Dagospia
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Giornata nera per il cinema. Se ne va Jeanne Moreau, star assoluta della Nouvelle Vague, diva per i film di François Truffaut, Louis Malle, ma anche per Orson Welles, Luis Bunuel, Tony Richardson, Joseph Losey, Jackes Becker, Jean Renoir, Rainer Fassbinder, Elia Kazan, Wim Wenders. Un elenco di registi adoranti che va da Jean Dreville a Amos Gitai, da Jacques Demy a Luc Besson, passando da Marguerite Duras e Tsai Ming Liang.
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Impossibile non ricordare il suo immemorabile triangolo amoroso in Jules et Jim di François Truffaut, con lei che canta “Le tourbillon”, quasi un inno per la Novelle Vague, o la sua figura di dea vendicatrice in La sposa in nero, sempre di Truffaut, o la sua notte d’amore sacandalosa in Les amants di Luis Malle, o il suo ruolo da protagonista in Il diario di una cameriera di Luis Bunuel o la sua presenza così moderna in La notte di Michelangelo Antonioni. Welles la volle in Il processo e in Storia immortale, Joseph Losey in Eva, grande film non abbastanza ricordato, La trota e Mr Klein.
I registi mariti e/o amanti, come Jean-Louis Richard e Tony Richardson, la ebbero protagonista di Mata-Hari e Il corpo di Diana il primo e di Mademoiselle e Il marinaio del Gibilterra il secondo. Figlia di un ristoratore francese e di una ballerina di origini irlandesi, Jeanne Moreau si fa presto strada nel mondo del teatro e del cinema francese.
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A teatro, a La Comédie, la troviamo nel 1950 il “Les caves du Vatican” di André Gide, al cinema si impone solo nel 1954 con La regina Margot di Jean Dreville e Grisbi di Jacques Becker. Ma il grande successo internazionale le arriva solo con Louis Malle grazie alla doppietta di Ascensore per il patibolo e Les amants. Jeanne Moreau è la diva spregiudicata e preparatissima, fredda e sexy, di un nuovo cinema internazionale che si sta imponendo contro i modelli di standardizzazione hollywoodiana.
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Ovvio che la vogliano tutti, da François Truffaut, che la incontra a Cannes, dove ha appena vinto con Moderato cantabile di Peter Brook, a Welles, Bunuel, Antonioni. La Moreau, musa di un cinema di altissimo livello e regina di un tipo di sessualità pericolosa e contorta che i suoi registi esalteranno, non si perde una delle grandi occasioni a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Truffaut, Malle e Bunuel ne definiscono in qualche modo una tipologia ch ritroveremo negli anni successivi.
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Questo non le impedisce di girare film di avventure come Viva Maria o western come il curioso Monty Walsh di William Fraker assieme a Lee Marvin. O di apparire in stravaganze geniale come Joanna la francesa del brasiliano Carlos Diegues, un film tutto pensato per lei, o come Il teatrino di Jean Renoir. Passa da una storia d’amore con Tony Richardson a una con William Friedkin, permettendosi un buon ruolo in America in Gli ultimi fuochi di Elia Kazan.
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Ma è Fassbinder a offrirle un momento memorabile in un film di soli maschi come Querelle de Brest. E’ lì che la Moreau ritornerà a cantare. La ritroveramo poi in Fino alla fine del mondo di Wim Wenders, in Nikita di Luc Besson, in fiction assurde e non riuscite come La contessa di Castiglione per la Rai, diretta dalla sua amica Josée Dayan, ma tra la sua apparizione in Jules et Jim e quella in Querelle de Brest credo risieda il miracolo di tutto il suo fascino al cinema.
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