L’addio al veleno tra Spalletti e De Laurentiis nelle parole di Antonio Corbo sull’edizione napoletana di Repubblica.
spalletti de laurentiis
Bentornati, tra feste e veleni. Luciano Spalletti smette l’azzurro dei campioni d’Italia per quello della Nazionale. Già finito il suo anno sabbatico, nessuno immaginava così presto, è durato solo 40 giorni.
Diventa Ct. Era fuggito per “troppo amore”, come disse per spiegare lo strappo del 3 maggio un minuto dopo lo scudetto, temeva di non ricambiare quanto i napoletani gliene davano. Proprio vero, in amore vince chi fugge Non dispiace ad Aurelio De Laurentiis, non si sopportavano un minuto in più, finti anche i sorrisi nelle foto, Luciano lo definiva il Sultano con un risolino più acido che divertito il mattino del 4 maggio al coffee-break dell’hotel udinese “La dimorèt” sulla stradona che porta al confine di Tarvisio, ma l’adorazione dei sudditi lentamente svanisce, se mai c’è stata.
Basta leggere quel dettaglio infilato tra le righe dal previdente Andrea Chiavelli, genio delle clausole. Penale se l’allenatore cambia club o Federazione. Gravina balla sul vuoto, quindi.
DE LAURENTIIS
Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
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Luciano Spalletti è il nuovo commissario tecnico della Nazionale. Al di là degli aspetti tecnici, il primo dato è che Federcalcio e tecnico se ne sono infischiati della minaccia di De Laurentiis. E non è una buona notizia, al di là dell’esito dell’eventuale contesa in tribunale. Così come, al di là delle effettive ragioni e degli effettivi torti, non ci pare una buona notizia la nascita di questo presunto movimento della purezza con a capo il presidente del Napoli che ora gode di vastissimo consenso tra i nostri concittadini. I tifosi sono eccitati all’idea di Napoli contro tutti, è una sorta di prosecuzione dello striscione esposto dai tifosi dopo la conquista dello scudetto: “campioni in Italia” non d’Italia. Populismo con una spruzzata di secessionismo. Afrodisiaco.
A noi, almeno a me personalmente, questa prospettiva non eccita. Decisamente meglio il tweet di Ferragosto di De Laurentiis: «Ci onoriamo di essere una squadra napoletana ma anche italiana» rispetto a quel comunicato che potrebbe condurre a uno scontro da cui, a nostro avviso, il Napoli avrà ben poco da guadagnare. Ci sono tanti modi per far valere le proprie ragioni, non tutto si può sempre ridurre a “qua le pezze e qua il sapone”.
aurelio de laurentiis spalletti
Aggiungiamo due cose. Una è che Adl sa benissimo che i contratti nel calcio non contano più niente, altrimenti non avrebbe triplicato l’ingaggio a Osimhen come sembra che annuncerà nei prossimi giorni, o non avrebbe “consigliato” a Lozano e Zielinski di rinnovare pena restare un anno fermi. E l’altra è che facciamo fatica a comprendere il perché delle numerose interviste quotidiane dell’avvocato Grassani. Parlare troppe volte è un segnale di debolezza, si finisce naturalmente per perdere efficacia. Non a caso Grassani è arrivato a dichiarare che Spalletti se n’è andato impedendo al Napoli di prendere top allenatori perché si erano già sistemati. Come a dire che Garcia è stato un ripiego. Che ci sembra pure verosimile ma non ci aspetteremmo mai di ascoltarlo dall’avvocato mediaticamente associato al club.
LUCIANO SPALLETTI IN LACRIME DOPO LA CONQUISTA DELLO SCUDETTO
Ovviamente questa situazione coglie in contropiede solo coloro che hanno fatto finta di credere alla sceneggiata di fine stagione. Spalletti, come scritto più volte, non è andato via per il troppo amore ma perché non tollerava più De Laurentiis. Girava da tempo con un quadernino con su annotati tutti gli sgarbi (eufemismo) che a suo dire il presidente gli aveva fatto in due anni. Ne parlava a chiunque gli capitasse a tiro. In due parole: lo detestava. Non che Aurelio lo amasse. Ma in questa contesa il presidente ha commesso un errore grave per lui e preoccupante per noi: non ha capito quel che stava avvenendo. Era sicuro di convincere Luciano a rimanere, come fatto in passato con Mazzarri e Sarri. De Laurentiis è un profondo conoscitore dell’animo umano, quasi sempre sa toccare le corde giuste.
LUCIANO SPALLETTI DOPO LA CONQUISTA DELLO SCUDETTO
Ma stavolta non aveva inquadrato la situazione. E – ripetiamo – è una spia pericolosa. A scudetto vinto, il primo e unico pensiero di due protagonisti importanti del successo – Giuntoli e Spalletti – è stato di scappare a gambe levate. Insomma, siamo molto vicini al classico elefante nella stanza. Che a Napoli tutti fanno finta di ignorare, del resto siamo ancora in piena fase orgasmica. De Laurentiis ha reagito all’affronto alzando l’asticella: dimostrerò che il merito è mio e soltanto mio, vincerò lo scudetto senza di loro. Come se non fosse stato lui il protagonista principale della vittoria. È in questa cornice che va inquadrato tutto quel che è accaduto in queste settimane e che accadrà nelle prossime (calciomercato e rinnovi compresi).
napoli campione d'italia - vignetta di macondo
De Laurentiis ama i conflitti, se ne nutre. L’aria dei tribunali gli apre i polmoni, proprio come a Noodles la puzza della strada. Ma è anche uno capace di giravolte repentine. Non dimentichiamo che dopo un decennio a parlare di legge Thatcher contro gli ultras, si è messo in posa per la foto di rito e ora è tutto un tubare con la tifoseria organizzata. La politica non gli si addice. Non è uomo da battaglie di trincea, di resistenza. Nel merito potrebbe avere ragione, probabilmente ne ha, ma avrebbe potuto governare e gestire diversamente questa ragione. Senza per questo obbligatoriamente rinunciare ai soldi o a vantaggi di posizione.
Metterla sul piano della purezza, o farsi trascinare sul piano della purezza, storicamente non è una scelta che porta benefici. In genere finisce che si trasforma in un boomerang. E in tempi di società liquida i consensi basati sul populismo sono più ballerini che mai. Del resto è passato in pochi mesi da uomo più odiato della città a vendicatore di presunti atavici soprusi. Alla fine, come sempre, conterà solo il risultato del campo. E in questo la campagna acquisti sembra confortante. Il resto è accessorio.
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