Estratto dell’articolo di Massimo Giannini per “la Repubblica”
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La resa di Toti, che si dimette dopo aver scagliato idealmente la stampella contro magistrati e alleati, ha un vago sapore allegorico e quasi oracolistico per una destra italiana troppo convinta della sua invincibilità. […] La sua ascesa e la sua caduta incrociano i destini delle tre destre al potere, in un continuo alternarsi delle trame con Giorgia e dei ticket con Matteo, dei garantismi di Crosetto e dei jemenfoutismi di Scajola. Con Toti, al dunque, frana un po’ anche la presunta compattezza dell’asse FdI-Lega-Forza Italia. Meloni ha palesemente perduto il tocco magico.
antonio tajani giorgia meloni matteo salvini
Sembrava quasi la nuova Merkel, dopo l’apparente successo dei suoi Fratelli nel voto europeo del 9 giugno e la tronfia esibizione da padrona del mondo e Regina di tutte le Puglie al G7 di Borgo Egnazia. Un mese e mezzo dopo, il clima è cambiato. E dopo la stupefacente disfatta autoinflitta a se stessa e al Paese nella partita delle nomine comunitarie, si ritrova di nuovo nei panni dimessi della Calimera d’Europa. […] Il partito meloniano, con tutta evidenza, non fa parte di quelle «forze democratiche».
È “altro” ed è fuori dal nucleo duro dei partner che nel bene o nel male governeranno il Continente per i prossimi cinque anni. E ne pagherà il prezzo, a dispetto delle mani avanti che la premier aveva provato a mettere dopo il voltafaccia all’ex amica Ursula: «Sarebbe vergognoso se ce la facessero pagare…». Da quel che vediamo nelle prime scelte sugli incarichi Nato e sulle Commissioni, purtroppo, è esattamente quello che sta accadendo.
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La tela strappata da Meloni a Bruxelles […] ha […] rivelato […] la sua vera natura di leader di una destra […] reazionaria e autoritaria, insieme alla sua indisponibilità politico-ideologica a compiere quel sano processo di de-diabolisation identitaria che prima e insieme a lei ha fallito anche Marine Le Pen in Francia. Altri […]si illudevano che la svolta “moderata” fosse dietro l’angolo. Non è così.
E non passa giorno che non dimostri che quell’abiura […] gliela impediscono i misfatti dei suoi «splendidi ragazzi»: dalle aggressioni squadriste di CasaPound contro il giornalista Andrea Joly, alle farneticazioni giustificazioniste di Ignazio La Russa. E a sanare queste vergogne […] non bastano i due principi fondamentali e costituzionali che ancora una volta ha ribadito Sergio Mattarella: la democrazia è potere di un popolo informato, gli atti contro l’informazione sono sempre eversivi. […] Adesso, però, c’è di più. Pare quasi che l’autodafè meloniana in Europa risuoni come parziale “liberi tutti” tra gli alleati.
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[…] sulla quinta della coalizione diventano visibili le crepe che rendono problematiche quelle «sinergie tra i partiti» di cui parla Toti. C’è la crepa di Fratelli d’Italia, che deve decidere se mandare a Bruxelles Fitto […] e approfittarne per un rimpasto, magari sacrificando gli impresentabili tipo Santanchè o Delmastro.
C’è la crepa della Lega, che continua a fare filibustering a manetta, tra multe tragicomiche per l’uso del femminile nelle cariche pubbliche e trovate surreali sul “Berlusconi Malpensa” (che detto così ha persino un suo fascino), proposte astruse sul canone Rai e purghe giorgettiane alla Ragioneria dello Stato e all’Agenzia delle Entrate.
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C’è la crepa di Forza Italia, soprattutto: scosso dal gancio sinistro di Marina e dal diretto al corpo di Pier Silvio — che con due interviste durissime hanno ricordato al partito che i Berlusconi non sono solo i custodi dell’amatissima salma — Antonio Tajani ha cominciato ad alzare la voce. Su Von der Leyen, sullo scioglimento di CasaPound e soprattutto sull’Autonomia Differenziata, che insieme al Premierato […] è diventato quasi un banco di prova per la tenuta della maggioranza. […]
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La campagna referendaria appena iniziata può diventare una via crucis per la maggioranza la via maestra per l’opposizione. […] Una legge già approvata dal Parlamento, che spacca in due il Paese, toglie 75 miliardi di risorse al Sud, distrugge il Servizio Sanitario Nazionale e la scuola pubblica, è un Totem per il partito padano che fu di Miglio e Bossi, ma dovrebbe essere un Tabù per un partito romano, sovranista e statalista, che ha fatto della Nazione il suo marchio identitario. Quattro Regioni hanno già chiesto di acquisire le competenze per le quali non occorre l’indicazione dei famosi Livelli Essenziali di Prestazione.
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Meloni potrebbe essere tentata di fermare la macchina, anche se questo farebbe scoppiare subito la “sindrome del Papeete” di Capitan Matteo. Ma la premier non può sottovalutare il pericolo che il referendum su una materia così esplosiva diventi la prima di una serie di sconfitte elettorali (alla quale seguirebbe fatalmente la seconda, quella sul referendum costituzionale per l’elezione diretta del presidente del Consiglio). Di qui, latente ma presente, la tentazione di giocare d’anticipo, far saltare il banco, aprire la crisi politica e andare a elezioni anticipate. Con la speranza di vincere l’intera posta e sbaragliare fratelli-coltelli e parenti-serpenti.
La sinistra, in questo marasma, ha un’occasione imperdibile. La battaglia sui referendum investe i valori fondanti di un “campo largo” che può fare della Costituzione il suo fertilizzante, il suo humus e insieme il suo raccolto. Ma anche per l’opposizione c’è un’incognita da non trascurare. Se nel quesito sull’Autonomia Differenziata c’è un Sud che grida no, ci può essere anche un Nord che vota sì. E prima ancora di questo, c’è la mucca in corridoio del quorum, cioè il voto di almeno il 50 per cento degli aventi diritto, senza il quale la consultazione è nulla. […] È un’impresa titanica. Ma non impossibile, se Schlein e Conte, Fratoianni e Bonelli, Renzi e Calenda escono dall’adolescenza ed entrano nell’età adulta. […]