Mario Baudino per "la Stampa"
eco07 umberto ecoUmberto Eco, nel Cimitero di Praga, ha scritto la storia nera di un «corvo» ottocentesco, anche se non vaticano. Un intrigo di documenti falsi, rivelazioni, ricatti, delitti, fino alla stesura e al lancio mondiale di quel clamoroso falso antisemita che furono i «Protocolli dei Savi di Sion».
PAOLO GABRIELEL'ambiguità del documento è uno dei suoi temi preferiti. Non è che sta pensando a un romanzo Vaticanleaks, con banchieri, cardinali, ombre mafiose? «No - risponde divertito lo studioso narratore, oggi ad Asti per il Festival Passepartout -. Però, per risolvere la cosa alla buona, dato che l'inchiesta vaticana è talmente complicata, l'unica cosa che si può dire è che non sta succedendo niente di nuovo».
In che senso?
«Nel senso che basta una buona storia della Chiesa, anche scritta da un cattolico, per rendersene conto. C'è evidentemente da fare un distinzione tra la Chiesa come istituzione, chiamiamola divina, e lo Stato Pontificio come appunto Stato. Dove succedono tante cose. Sono quasi duemila anni che il Vaticano è al centro di lotte di potere. E di leggende, come ad esempio quella della Papessa Giovanna, secondo cui a un certo punto salì al soglio pontificale un donna. Ma pensi, che so, al processo postumo contro Papa Formoso».
Il cui cadavere fu dissotterrato, ripulito, posto sul trono e condannato per sacrilegio. Era l'897.
«Ci sono storie incredibili. Certo non erano rese pubbliche, ma diventavano oggetto di mormorazioni, anche pettegolezzi, e per il resto stavano chiuse nelle mura del Palazzo. La novità è che la globalizzazione dell'informazione ha rotto questo tabù. Un personaggio, non sappiamo mosso da chi e per quali ragioni, ha consegnato del materiale a un giornalista, che l'ha pubblicato. Una volta questo non succedeva».
Il rischio di fare una brutta fine, in effetti, era piuttosto alto. Non che sia svanito del tutto, a giudicare dal memoriale di Gotti-Tedeschi.
«C'è però anche un'altra differenza importante, ed è l'incontrollabilità dell'informazione. L'impossibilità della censura. Ai giorni nostri - è un argomento che toccherò nella mia conferenza di oggi - c'è un solo modo di praticare la censura: non costringendo a tacere, ma realizzando una massa di rumore».
La prospettiva si è rovesciata.
«Prima una maggiore quantità di informazioni era in ogni caso un bene; oggi l'abbondanza rischia di diventare, in certi casi, un male. Su Internet mi può arrivare una massa tale di informazioni da impedirmi di capire che cosa è vero e che cosa è falso»
Confusione per abbondanza?
«Non vale solo per Internet. Prenda un quotidiano di oggi, sessanta pagine. È già abbastanza difficile leggerlo tutto, e isolare le notizia che contano. C'è stato per lungo tempo un tg in Italia che non diceva le cose importanti ma raccontava continuamente che è nato un cane con due teste o uno ha spaccato la testa a un altro. In quell'insieme enorme di notizie scompariva o veniva taciuta quella importante. O pensi a quanta gente non sa più come è scomparsa, che so, Emanuela Orlandi o qualsiasi altra povera ragazza: ci sono ottanta trasmissioni che ogni giorno propongono informazioni nuove, poco utili perché altrimenti sarebbero state usate dalla polizia. Il chiacchiericcio continuo non ci fa capire come sono andate le cose».
Vede la stessa prospettiva per i corvi del Vaticano?
«Se fossi un funzionario interno che vuole tenere coperte le informazioni - e premetto che non mi pare ciò stia avvenendo -, le moltiplicherei. La censura del silenzio era per qualche aspetto più permeabile. Permetteva la mormorazione e le notizie più imbarazzanti circolavano. Tutti durante il fascismo sapevano che Claretta Petacci era l'amante di Mussolini. Oggi provi a dire chi è l'amante di Berlusconi».
Forse non lo sa....
«Neppure lui. Forse è proprio così»
Professore, sta delineando un quadro assai fosco.
«Fosco? È il quadro di una celebre maledizione cinese».
Quale?
«Quella che dice: ti auguro di vivere in un'epoca interessante».