GIORGIA MELONI OLAF SCHOLZ E EMMANUEL MACRON ALL'HOTEL AMIGO DI BRUXELLES
Estratto dell’articolo di Marco Bresolin per “la Stampa”
Per il via libera definitivo bisogna ancora passare dai negoziati con l'Europarlamento, ma l'accordo siglato ieri all'unanimità dai 27 ministri delle Finanze mette in cassaforte la riforma del Patto di Stabilità dopo quasi otto mesi di negoziati. La proposta presentata dalla Commissione ad aprile è stata significativamente modificata dal Consiglio e su molti punti va nella direzione auspicata dalla Germania e dagli altri Paesi del Nord.
OLAF SCHOLZ BRUNO LE MAIRE
Ma le nuove regole segnano comunque un cambio di paradigma rispetto al quadro normativo attuale. "Vanno in archivio il vecchio Patto di Stabilità e la stagione dell'austerity" ha sottolineato il commissario Paolo Gentiloni, riconoscendo "l'equilibrio tra stabilità e crescita". Se tutto andrà per il verso giusto, entro aprile la riforma sarà legge e servirà da base per preparare il Def in vista della sua applicazione a partire dal 2025.
giorgia meloni olaf scholz 3
[…] il vecchio Patto era sì molto più rigido, ma secondo i "falchi" non veniva applicato in modo severo. Soddisfatto a metà il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti: "Ci sono cose positive e altre meno". In ogni caso, ha riconosciuto, "le nuove regole sono più realistiche di quelle attuali". La premier Giorgia Meloni ha espresso "rammarico" per la mancata esclusione automatica degli investimenti dal calcolo della spesa. Durissime le opposizioni: secondo la segretaria del Pd, Elly Schlein, l'accordo "farà molto male all'Italia", mentre Giuseppe Conte parla di "Pacco di stabilità".
bruno le maire emmanuel macron
A sbloccare il negoziato è stato l'incontro di martedì sera a Parigi tra Bruno Le Maire e Christian Lindner. I due, in contatto con Giorgetti, hanno concordato le ultime modifiche al testo […] Rispetto alle posizioni definite all'Ecofin dell'8 dicembre, gli ultimi metri del negoziato hanno registrato un paio di concessioni importanti al gruppo di Paesi guidato dalla Germania.
In particolare, è stato rivisto al rialzo il valore dell'aggiustamento strutturale richiesto ai Paesi che non si trovano sotto procedura: servirà uno sforzo annuo primario (al netto degli interessi sul debito) dello 0,4% in caso di piani quadriennali e dello 0,25% nel caso di piani settennali: nella versione precedente i valori erano rispettivamente dello 0,3% e dello 0,2%, dunque più morbidi.
olaf scholz e Christian Lindner
L'altra concessione a Berlino riguarda il margine di sforamento consentito ai Paesi: era dello 0,5% l'anno, ma si è deciso di scendere allo 0,3% (mentre lo sforamento che si potrà accumulare nell'intero periodo scende dallo 0,75% allo 0,6%). Superata questa soglia, la Commissione dovrà redigere un rapporto nel quale terrà conto dei fattori aggravanti (come il livello del debito del Paese in questione) e di quelli attenuanti (come le spese per la Difesa), dopodiché deciderà se aprire la procedura.
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A quel punto il "braccio correttivo" imporrà aggiustamenti annui pari allo 0,5% del Pil: in via transitoria, esclusivamente per il periodo 2025-2026-2027, i Paesi in procedura potranno chiedere alla Commissione un margine di flessibilità se giustificato da un aumento del costo degli interessi sul debito. […] L'essenza della proposta della Commissione è rimasta e si basa su una traiettoria di aggiustamento "personalizzata", disegnata alla luce di un'analisi della sostenibilità del debito di ciascun Paese.
GIORGIA MELONI OLAF SCHOLZ
All'interno di questa, i governi dovranno negoziare con Bruxelles piani di rientro basati sul parametro della spesa e della durata di quattro anni. Potranno essere estesi a sette anni in cambio di riforme e investimenti, tra cui quelle del Pnrr. Ma il testo dell'esecutivo europeo – su richiesta di Berlino – ha subìto significative modifiche in questi mesi, soprattutto su due punti: per i Paesi che hanno un livello del debito superiore al 90%, i percorsi di aggiustamento dovranno assicurare un taglio effettivo annuo almeno dell'1%, inoltre non basterà portare il deficit sotto il 3%: bisognerà scendere fino all'1,5% in termini strutturali.