Estratto dell’articolo di Francesco Bertolino,Monica Colombo per il “Corriere della Sera”
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Al calcio italiano servono riforme, tutti d’accordo. Ma quali? E a chi spetta proporle? Da una parte, c’è la Figc che ha preparato un piano strategico di riforme, convocando per l’11 marzo un’assemblea per la modifica dello statuto, di giorno in giorno più in bilico. Dall’altra, c’è la Lega Serie A che, volendo contare di più nella gestione del pallone, accarezza l’idea di adottare il modello «Premier League»; di separarsi, cioè, dalla Federazione per ottenere maggiore autonomia.
In mezzo, le grandi — Inter, Milan, Juventus e Roma — che giocano la loro partita e hanno chiesto alla Figc di ridurre da 20 a 18 il numero di squadre in serie A, scatenando l’ira degli altri club che temono di vedere il diritto di autodeterminazione del format sacrificato sull’altare dei ricchi tornei internazionali.
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[…] le tensioni hanno raggiunto livelli di guardia, vicini alla soglia di una clamorosa spaccatura al vertice del pallone, un’industria che vale cinque miliardi all’anno. […] Il documento di 26 pagine e 12 punti che contiene una lunga serie di proposte per Figc, governo, Uefa e Fifa: dalla piena indipendenza degli arbitri dalla Federazione, alla valutazione di tetti agli stipendi della rosa (salary cap), passando per l’abolizione della Legge Melandri sulla vendita dei diritti televisivi e il ripristino del regime fiscale per gli impatriati, previsto dal Decreto Crescita. […]
Agli occhi dei vertici della Lega, però, questi e altri interventi hanno un pre-requisito: che la serie A abbia il potere di adottarli o, quantomeno, di assumere l’iniziativa. Oggi, nonostante produca l’85% dei ricavi del calcio e sostenga l’intero sistema, la serie A conta per il 12% nell’assemblea Figc (contro il 34% della Lega Nazionale Dilettanti) e schiera tre membri su un totale di 21 nel consiglio federale (contro i sei della Lnd). […]
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Su questo aspetto, il più delicato, la Figc pare disposta a modeste concessioni. Il piano strategico, elaborato dalla Federazione con Deloitte, prevede il taglio dei club professionistici da 100 a 80 e la riduzione automatica degli stipendi in caso di retrocessione, ma lascia sostanzialmente immutata la rappresentanza della serie A nella stanza dei bottoni, accogliendo però in parte il principio di «intesa forte». Il massimo campionato avrebbe diritto di veto non su tutte le decisioni che la riguardano direttamente, come proposto dalla serie A, bensì soltanto su quelle «che impattano significativamente» sulla Lega maggiore e sui suoi campionati.
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In questo contesto ha avuto effetti travolgenti all’interno della Lega, il vertice di venerdì a Roma fra i manager di Inter, Juventus e Milan con Gabriele Gravina. […] le tre big, con delega della Roma, hanno manifestato al presidente della Federcalcio la disponibilità a ridurre la A da 20 a 18 squadre, rinunciando al diritto di intesa per la A: in pratica, non servirebbero più i 14 voti in seno alla Lega per il cambio di format.
I telefoni nella serata di venerdì sono stati roventi: raccontano di una lite memorabile fra Claudio Lotito e l’avvocato dell’Inter, Angelo Capellini. In particolare, nel mirino dei presidenti è la figura di Beppe Marotta, che non solo è l’ad dell’Inter ma rappresenta tutte le società all’interno del consiglio federale. Ecco perché domani gli verrà richiesto, in un’assemblea che si preannuncia infuocata, di rassegnare le dimissioni dalla carica. Le big con Gravina, le medio-piccole con Casini: non sarà semplice arrivare a una sintesi.
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