Tommaso Labate per corriere.it
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«Aaaaaahhhh, bella, bella!», esclamò in un freddo giorno di gennaio del 1994 Pier Ferdinando Casini mentre guardava, impressa su un foglio di carta, la vela rigonfia di vento dell’arca che l’avrebbe portato in salvo.
L’aveva disegnata Giorgetto Giugiaro su richiesta del democristiano Silvio Lega, quella vela destinata a diventare nel giro di pochi giorni il simbolo del Centro cristiano democratico.
pierferdinando casini umberto bossi
Neanche qualche settimana prima, la carriera parlamentare del futuro presidente della Camera, eletto per la prima volta a Montecitorio nel 1983, sembrava arrivata al canto del cigno; la dissoluzione della Democrazia cristiana aveva messo lui e molti fedelissimi di Arnaldo Forlani in un angolo soprattutto per volontà di Mino Martinazzoli, che stava trasferendo il poco che restava della storia dello scudocrociato nel Partito popolare italiano.
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E così Casini, inabissandosi come un palombaro alla fine del 1993, era scomparso dai radar fingendo rassegnazione per l’amaro finale di una giovane carriera, che pareva già scritto; salvo poi riemergere a inizio 1994 — insieme a Clemente Mastella — con un partito tutto nuovo (il Ccd), un simbolo figlio della penna del più celebre designer italiano (Giugiaro), una prospettiva diversa da quella di Martinazzoli (l’alleanza col centrodestra), l’accordo con l’uomo che ha scompaginato il finale di una storia già scritta (Silvio Berlusconi) e una carriera nuova di zecca da prim’attore della scena politica (la sua).
MATTEO RENZI PIERFERDINANDO CASINI
Più di un quarto di secolo dopo, Casini e Berlusconi si trovano nella condizione di «una poltrona per due» sognando l’approdo al Quirinale.
Un’ambizione che il secondo coltiva praticamente alla luce del sole; e il primo, al contrario, insegue invece obbedendo alle regole di navigazione subacquea che già in un altro gennaio, quello del 1994, gli avevano allungato la vita in politica.
PIER FERDINANDO CASINI PALOMBARO - MEME BY DEMARCO
Da qualche mese è scomparso: le partecipazioni ai talk show televisivi si sono interrotte all’improvviso, le dichiarazioni pubbliche vicine allo zero e — come dice scherzando un suo autorevole amico — «se non si fida al cento per cento dell’interlocutore, Pier non risponde neanche a messaggini sul cellulare tipo “come stai?” o “che cosa hai mangiato ieri sera?”».
Escluso Matteo Renzi, che gli ha fatto un endorsement pubblico, non ha grandi elettori alle spalle. Ma dall’esperienza nelle istituzioni da presidente della Camera, soprattutto grazie ai tantissimi consigli dell’allora segretario generale di Montecitorio Ugo Zampetti (oggi segretario generale del Quirinale), una serie di regole auree le ha fatte proprie. Una di queste è quella secondo cui non essere di fatto sostenuti da nessuno vuol dire potenzialmente trovarsi nella condizione di essere sostenuti da tutti.
pierferdinando casini matteo renzi
E, se non proprio da tutti, da tanti. In fondo, alla scuola dei dorotei a cui era cresciuto — quando i seniores erano nomi del calibro di Flaminio Piccoli, Attilio Ruffini e soprattutto Toni Bisaglia — insegnavano anche questo.
Rappresentazione vivente di come il motto dei gesuiti (fortiter in re, suaviter in modo, energicamente nella sostanza, dolcemente nei modi) possa funzionare anche al contrario, Casini ha sempre vissuto la sua carriera politica ostentando modi tutto sommato energici ma approdando a scelte sempre moderate.
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Distante anni luce dal mondo di Nino Andreatta e dei prodiani — di cui in gioventù è stato fiero oppositore, ricambiato — è arrivato nel 2018 a essere candidato dal Pd nel collegio uninominale della loro (e della sua) Bologna e a vincerlo pure.
Il tutto per essere riuscito nell’impresa, nel corso del derby ultra ventennale tra berlusconiani e antiberlusconiani, di rimanere perfettamente in mezzo pur non standoci mai, nel mezzo.
ENRICO LETTA PIERFERDINANDO CASINI
Chi lo conosce da una vita giura che il segreto, soprattutto negli anni caldi dello scontro bipolare, sia stato nella ricetta della pozione magica custodita gelosamente nel taschino e mai rivelata: «A Berlusconi non bisogna mai dire né sì né no. Perché se gli dici di sì, ti fagocita; se gli dici di no, si offende». Pozione magica che adesso, ai tempi in cui la poltrona è una e i pretendenti tanti, tra cui lui e Berlusconi, è destinata finalmente a un cassetto. Insieme all’immaginetta della Madonna di San Luca, a cui — disse diventando presidente della Camera — «come tutti i bolognesi mi affido anch’io».
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