Salvo Toscano per il “Corriere della sera”
Alessandro D' Antonio, il papà di Alessio, non ha più lacrime. La sua voce è quella di un uomo a cui è stato strappato quanto di più caro.
alessio e simone vittoria
Signor D' Antonio, ha detto di voler lasciare Vittoria dopo quanto è accaduto. Perché?
«Non Vittoria. Ho detto che vado via da casa perché non riesco più a entrarci. Li ho visti morire davanti ai miei occhi, mio figlio e mio nipote.
Dalla veranda stavo parlando con i bambini che erano giù, ho detto loro di entrare. Mia figlia di due anni chiamava suo fratello, ha visto tutto, come ho visto io. Ho visto mio figlio volare, lo hanno tagliato a metà. E mio nipote anche».
Cosa ha fatto a quel punto?
«Ho cercato subito di soccorrere mio nipote, mentre mia moglie si prendeva cura di mio figlio. Avevamo una speranza per Simone, ma non ce l' ha fatta. Mio figlio era a terra e respirava ancora, non so se poteva salvarsi. Il medico dice che il bambino andava soccorso. Lo dico perché dobbiamo migliorare la sanità».
L'autopsia ha stabilito che purtroppo Alessio non poteva essere salvato.
«Non lo contesto. Ma ciò che è successo a lui deve servire per migliorare le cose».
E per imparare a non guidare se si è nelle condizioni in cui si trovava l' uomo che ha investito i due bambini.
«Su questo io chiedo giustizia, sennò non risolviamo il problema. Mio figlio e mio nipote non ci sono più, se poi domani a questo danno uno o due anni, cosa abbiamo risolto? Voglio mandare un messaggio a chi governa: faccia qualcosa».
pirata della strada a vittoria
Lei chiede pene dure.
«Sì, per tutti, perché potrei sbagliare anche io domani, mi assumerei le conseguenze.
Questo non è un incidente come gli altri. Stiamo parlando di persone che vanno in giro sfrecciando come un missile. Una persona del genere non può uscire dopo pochi anni».
Si è sperato a lungo per suo nipote...
«Sì, abbiamo pregato tutti, anche in chiesa. I bambini erano talmente legati che forse doveva andare così. Speravo per mio fratello. Sono distrutto, il pensiero di non vedere più mio figlio mi toglie le parole. Non era un bambino, era un mezzo uomo».
Sì, parlano di Alessio come di un bimbo molto maturo.
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«Era più che maturo. Anche il figlio di mio fratello era così, erano uguali, sempre insieme. Gli avevo comprato anche la trottola in legno, volevano fare gli stessi giochi che facevamo noi da piccoli. Mi aveva detto: "Lo sai papà che i giochi vecchi sono meglio di quelli tecnologici?"».
Cosa amava Alessio?
«Aveva la passione della batteria. Era bravo, stava andando molto bene. Si era iscritto all' indirizzo musicale alle medie. E poi il kart, anche io prima correvo con le macchine. E Simone aveva la stessa passione: stessa tuta, stesso casco... erano gemelli in tutto».
C' era tantissima gente al funerale, un segno di vicinanza e di conforto...
«Io ringrazio tutti. Però quello che chiedo è una sola cosa: giustizia. Lo chiedo anche a voi giornalisti, non dobbiamo mollare. Prima che per me, lo dico per mia moglie.
Lei ha sofferto per partorirlo e ora deve avere il dolore di seppellirlo».
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Lei conosceva le persone che erano su quell' auto?
«No. Chi ha fatto questo deve pagare. Parlo a tutte le mamme e i papà, e anche a chi non è genitore: chiediamo giustizia, di cose sbagliate in Italia ne ho viste tante. Non dimentichiamo questi bambini».
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